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Che fare? Obiettivi e contenuti della battaglia sull’Euro/pa
Sergio Cesaratto
Pubblichiamo la traccia delle considerazioni che ho presentato in occasione di NOEURO, International Forum - Chianciano 16-18 settembre 2016
Ogni volta che devo intervenire a un convegno politico sull’Euro/pa mi prende un po’ di ansia. Cosa dire di nuovo, che non ci siamo già detti. E che fare? Sia disegnare vie d’uscita dal presente, che delineare il futuro, sono compiti impervi. All’interno della crisi europea, inoltre, il nostro paese vive una crisi verticale che viene da lontano. Su questo ho scritto in una delle lezioni del mio libro: la scelta delle classi dirigenti di questo paese, con poche eccezioni, è stato di scontro con le istanze popolari, da ultimo attraverso il vincolo estero, prima dello SME e poi dell’euro. Il paese nel suo complesso ha pagato duramente tale incapacità a governare in maniera progressiva il conflitto sociale. Oggi il paese è impoverito sotto ogni punto di vista, materialmente, culturalmente, tecnologicamente, ed è privo di classi dirigenti oneste e capaci a quasi ogni livello.
Il dibattito ha tuttavia fatto emergere in questi giorni alcuni temi su cui esercitare un nostro sforzo di analisi.
Quale strategia di superamento dell’euro? Quali slogan convincenti da proporre?
Mi riferisco soprattutto allo scambio Varoufakis-Fassina (qui, qui, e qui). Da un lato la strategia proposta dall’ex ministro greco è che un governo progressista dovrebbe farsi cacciare disubbidendo ai Trattati europei.
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L'ABC. Tre lettere per capire Carlo Azeglio Ciampi
di Piotr
Un solerte servitore di interessi finanziari anglosassoni o un grand-commis convinto che non c'era altro da fare per il bene generale dell'Italia? Non è in contraddizione
A: Antifascismo, Azione, America, Anticomunismo, Atlantismo
Carlo Azeglio Ciampi si formò politicamente nel crogiolo del Partito d'Azione al quale aderì nel 1943, all'inizio della Resistenza. Pur avendo avuto vita breve (si sciolse nel 1947) il Partito d'Azione, PdA, fu un punto cardanico della storia dell'Italia della seconda parte del Novecento.
Era una formazione politica dove convergevano linee di pensiero anche molto differenti e la cui comprensione è fondamentale per capire la situazione politica, economica e culturale odierna. Su queste connessioni manca uno studio sistematico ed esse non possono certamente essere analizzate qui. Ricorderò schematicamente solo alcuni di questi filoni. Essi si presentavano raramente in forma politicamente strutturata (un privilegio in quegli anni appannaggio solo di democristiani, socialisti e comunisti), ma più spesso erano rappresentati da singole personalità e dall'humus culturale-politico di cui esse erano eredi, a volte anche in forma contraddittoria.
Ecco allora che ritroviamo un "filone Olivetti", portatore di idee rintracciabili in quel socialismo romantico, buonista e umanitarista à la Edmondo De Amicis, non scevro da pulsioni colonialiste. Un carattere culturale-politico di sinistra oggi in gran spolvero.
Con pochi passaggi ci si può spostare dal "filone Olivetti" a quello democratico e antifascista di origine valdese (e i genitori di Adriano Olivetti erano uno ebreo e l'altro valdese, un'unione non rara nell'Italia a predominanza cattolica).
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Il disastro perfetto
di Sergio Bologna
Cosa succede quando la settima compagnia marittima mondiale dichiara bancarotta? Centinaia di navi che vagano nel mare, personale bloccato a bordo e che non tocca terra da mesi, debiti verso 43 Stati diversi. Il caso della coreana Hanjin potrebbe non essere l'unico al mondo dato che di zombie carrier sembra ce ne siano molte a spasso per gli oceani.
Gli analisti lo aspettavano da tempo e finalmente è arrivato, il perfect storm. A guardarlo un po’ da vicino è uno spettacolo sconvolgente ma affascinante, perché con un colpo d’occhio ti permette di vedere l’essenza della logistica, la sua vera natura, capisci perché la chiamano the physical Internet, ti rendi conto di cos’è la globalizzazione.
È accaduto nello shipping specializzato nel traffico container: la settima compagnia marittima mondiale, la coreana Hanjin, ha fatto bancarotta. Gravata da 4,5 mld di dollari di debiti degli ultimi cinque anni, non è riuscita a convincere le banche a tenerla in piedi ancora. In realtà non ha convinto il governo della Corea del Sud, perché il principale finanziatore di Hanjin è la Korean Development Bank, istituto pubblico, che già è alle prese con la situazione critica dell’altra compagnia marittima importante, Hyundai Merchant Marine (HMM), e con quella dei due cantieri navali, Stx Offshore&Shipbuilding e Daewoo, quest’ultimo una potenza nel suo settore, in grado di applicare sulle sue costruzioni le più sofisticate tecnologie ma caduto nelle mani di manager ladri e disonesti.
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Introduzione a "Nascita della scienza moderna"
di Maurizio Brignoli
Pedro de Alcantara Figueira, Nascita della scienza moderna - Descartes e il materialismo rivoluzionario, ed. La Città del Sole, Napoli. 2016. - www.lacittadelsole.net
Sia lode al dubbio! Vi consiglio, salutate
serenamente e con rispetto chi
come moneta infida pesa la vostra parola! […]
Oh bello lo scuoter del capo
su verità incontestabili! […]
Ma d’ogni dubbio il più bello
è quando coloro che sono
senza fede, senza forza, levano il capo e
alla forza dei loro oppressori
non credono più!
[Bertolt Brecht, Lode del dubbio , 1932]
Lotta di classe e filosofia: le idee della classe dominante
Il lavoro di Pedro de Alcântara Figueira si caratterizza per una duplice peculiarità: offre un’interessante prospettiva sull’opera di Descartes1 evidenziandone il contenuto rivoluzionario e materialistico e, in secondo luogo, realizza una mirabile applicazione del materialismo storico procedendo a una ricostruzione sociale delle categorie (filosofiche e scientifiche) cercando di mostrare come ogni momento storico si esprima per mezzo delle idee che esso stesso produce.
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America Latina: Postneoliberismo vs Capitalismo offshore
di Katu Arkonada e Paula Klachko
Prima di tutto è necessario ricordare che in ogni processo di rivoluzione sorge anche la tendenza alla controrivoluzione; questo è un dato oggettivo. Trionfa alla fine la corrente che acquista maggior forza, quella guidata da una linea e un piano più adeguati, più intelligenti. Ossia: la possibilità di predominio della rivoluzione o della controrivoluzione si decide sul terreno soggettivo, dipende dalla conduzione dell’una e dell’altra / Schafik Hándal (1990)
Da dicembre 2015 sono accaduti fatti eccezionali che hanno cambiato il panorama geopolitico e la cartografia della lotta di classe in Nuestra America. Con questo lavoro vogliamo affrontarli, dopo aver ripercorso le tappe del ciclo postneoliberista che ha iniziato una nuova tappa nella nostra regione, mentre al contempo affrontiamo un’analisi sui fatti degli ultimi mesi, che ci collocano in un punto di flessione e segnano delle enormi sfide per i popoli. Ci riferiamo fondamentalmente all’avanzare politico delle forze di destra. Avanzare espresso sul piano elettorale e giudiziario che sono riusciti a cacciare due governi progressisti e strategici per il loro peso politico e economico come l’Argentina e il Brasile, e che hanno vinto elezioni in Bolivia e Venezuela, modificando i rapporti di forze soggettive ed oggettive nella regione.
Nuestra America si trova perciò a un bivio, una guerra di posizione tra le forze sociali e politiche che sono state protagoniste e guidano (o hanno guidato) il ciclo progressista postneoliberista, e quelle che scommettono disperatamente sulla restaurazione neoliberista sotto forma di capitalismo offshore, un capitalismo che mostra l’acutizzarsi di alcune tendenze che potrebbero indicare un cambiamento del ciclo capitalista nella sua fase già iniziata di decomposizione [1].
Il momento politico ci lascia una destra che ha accumulato forza sul piano elettorale e ha solo bisogno di vincere le elezioni (e a volte, come in Brasile, nemmeno questo), mentre la sinistra ha bisogno di vincere ma soprattutto di stare nelle strade e riaggiornare il progetto politico anti-neoliberista.
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Gli USA attaccano la Siria aprendo scenari imprevedibili
di Federico Pieraccini
Negli ultimi giorni in Siria stiamo assistendo a un coinvolgimento sempre più diretto nel conflitto di Turchia, Israele e Stati Uniti. Incursioni aeree, bombardamenti e invasioni di terra, seppur limitati, svelano l’insoddisfazione palpabile e la frustrazione evidente delle nazioni più ostili a Damasco.
L’esempio più appropriato per porre l’accento sul clima di delusione che si respira a Washington, riguarda le dinamiche che hanno accompagnato la firma del cessate il fuoco tra Kerry e Lavrov.
Con Aleppo assediata e i terroristi intrappolati costretti a una rapida resa o a una resistenza limitata, gli Stati Uniti e alleati sono stati obbligati a richiedere una soluzione temporanea al conflitto che fermasse le ostilità.
Nonostante il precedente fallimento del cessate il fuoco, Russia, Damasco e Teheran hanno preferito negoziare, proseguendo comunque nell’azione militare. Avessero rifiutato di negoziare, sarebbero stati dipinti da media e organi internazionali come i veri mandanti di un intensificarsi del conflitto. Ciò avrebbe facilmente spalancato le porte a un maggior coinvolgimento di alleati regionali di Washington, giustificati a loro modo di vedere dal rifiuto di Mosca di negoziare.
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Contro la Theory. Una provocazione
di Barbara Carnevali
Un simulacro di filosofia, la Theory, si aggira per i dipartimenti del mondo intero. Non stiamo parlando dell’opera di un autore particolare, dal momento che molti acclamati theorist sono pensatori a tutti gli effetti, e nemmeno dell’autorevole scuola filosofica che ha rivendicato l’appellativo di Teoria Critica; ma di quella specie di scolastica postmoderna nota a chiunque insegni una materia umanistica all’università: un amalgama di idee e formule di varia provenienza disciplinare (prevalentemente filosofia, psicanalisi e sociologia), estratte da un canone di autori disparati ma accumunabili in una generica postura radicale (Marx, Nietzsche, Lacan, Foucault, Deleuze, Bourdieu, Agamben, Said, Spivak, Butler, Žižek, l’onnipresente Benjamin, l’uscente Derrida, la new entry Latour…), fuse in un solo crogiolo e ridotte a un’agenda tematica angusta: il potere, il bios, il genere, il desiderio e il godimento, il soggetto e le moltitudini, la coppia dominanti-dominati, il capitale e lo spettacolo, etc.
Che sia chiaro da subito. L’obiettivo polemico di quest’articolo non è un autore, un libro e nemmeno una specifica corrente teorica. È una modalità di pensiero, una scolastica, appunto, che nel corso degli ultimi decenni si è declinata in combinatorie variabili conservando una forma costante. A partire dagli anni Sessanta e Settanta, la Theory ha attraversato diverse fasi, dall’originaria sintesi di marxismo e psicanalisi, al mix di decostruzione, heideggerismo, cultural e post-colonial studies, fino alle metamorfosi più recenti, nutrite di foucaultismo, gender e queer studies, biopolitica e lacanismo[1].
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Riconoscimento reciproco o disaccordo politico?
Axel Honneth e Jacques Rancière a confronto
di Giorgio Fazio
Ne “Il Rasoio di Occam” si è già discusso a lungo delle ultime pubblicazioni del filosofo tedesco Axel Honneth. Completiamo ora la ricognizione della ultime fasi del suo pensiero, prendendo in considerazione il dibattito che egli ha recentemente ingaggiato con un altro protagonista della scena filosofica mondiale, Jacques Rancière
Nel momento in cui in Italia sono uscite, a poca distanza una dall’altra, le ottime traduzioni dei due libri di Axel Honneth Il diritto della libertà e L’idea di socialismo[1] - riaccendendo i riflettori sulla proposta teorica di uno dei protagonisti della scena filosofica contemporanea - è stato pubblicato negli Stati Uniti, nella serie “New Directions in Critical Theory“ della Columbia University Press, un interessante volume intitolato Recognition or Disagreement.[2] Si tratta della trascrizione di un dialogo, tenutosi nel 2009 presso il prestigioso Istituto di Scienze Sociali di Francoforte, che ha visto protagonisti lo stesso Axel Honneth e il filosofo francese Jacques Rancière. Oltre a questo dialogo, nel volume sono riportati anche altri contributi dei due filosofi: due testi che aprono il libro, in cui Honneth e Rancière provano a mettere a fuoco quali sono, dal loro punto di vista, i problemi e i limiti degli approcci del proprio interlocutore, e altri due articoli, che chiudono il volume, a cui viene affidato il compito di chiarire in positivo il cuore delle loro diverse posizioni. Si tratta nel complesso, quindi, di un testo estremamente interessante e ricco di spunti teorici, che offre l’occasione per ritornare su molte delle questioni che stanno emergendo nel dibattito suscitato in Italia dalla recente pubblicazione dei due volumi di Honneth a cui si è appena fatto riferimento. Mettendo a confronto due esponenti di spicco del pensiero critico contemporaneo, appartenenti per di più a due aree culturali diverse - la filosofia tedesca e la filosofia francese - questo testo offre anche la possibilità di svolgere alcune riflessioni sulla questione più complessiva dei compiti e delle sfide cui è messa di fronte oggi una teoria critica della società.
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L'epocalisse finanziaria, di Carmelo Buscema
Recensione critica
di Cristina Toti
Carmelo Buscema, L'epocalisse finanziaria. Rivelazioni (e rivoluzione) nel mondo digitalizzato, Mimesis Ed, 2012, pp. 98, 12 euro
L'epocalisse finanziaria. Rivelazioni (e rivoluzione) nel mondo digitalizzato è uno scritto di carattere interdisciplinare in cui la riflessione e la ricerca vertono sull'interpretazione dell'attuale condizione di crisi, che si manifesta in modo dirompente nella quotidianità come crisi economico-finanziaria. Il tema d'interesse viene approcciato attraverso un punto di vista storico, che inscrive questo processo, o meglio, questa faglia, nel contesto generale che richiama il rapporto tra l'uomo e il mondo. La tesi viene sviluppata all'interno di una ricerca tuttora in corso fondata sull'ipotesi che che la crisi in atto rappresenti il punto di convergenza di una serie di eventi e dinamiche riferibili al processo di ristrutturazione del sistema capitalistico globale.
Buscema vede nella crisi un avvenimento che rivela e svela una ristrutturazione antropologica su scala mondiale. Un'apocalisse, appunto. Le questioni fondamentali che possono essere ravvisate nella lettura sono le seguenti: Quale nomos (nel senso schmittiano) guida la nostra epoca? Quali sono i confini spaziotemporali che delimitano ciò che definiamo contemporaneità? E che delimitano “l'apocalisse a cui andiamo incontro”? Dove possiamo rintracciare le radici di questi processi? Come dovremmo porci rispetto alla situazione attuale, che ci spinge a scegliere tra “morte e rivoluzione”? Attraverso quali tecniche, strumenti e politiche possiamo intervenire? Il che significa: come è possibile istituire un nuovo contratto tra l'uomo e il mondo (realtà tanto naturale quanto artificiale)?
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Eterodossi di tutto il mondo, unitevi!
di Pierluigi Fagan
Il fine del libro di Cesaratto è condividere conoscenza economica per una più democratica partecipazione politica ai destini del tempo che ci è toccato in sorte da vivere. Corre l’obbligo di ricordare l’abusata citazione del biografo di Keynes (Skidelsky) il quale, dell’economista britannico, raccontava il sottile piacere che provava di origliare -ai party- le conversazioni tra membri dell’ élite, conversazioni che i soggetti conducevano senza rendersi conto di star replicando null’altro che sistemi di idee forgiate da qualche economista a loro ignoto. Se si è un pensatore economico come Keynes, questo potere sulle menti che fanno il mondo, certo fa piacere. Ma se si è un cittadino, corre l’obbligo di capire meglio quali sono questi sistemi di idee, come sono strutturati al loro interno, quali conseguenze portino, sia per lo sviluppo del sistema di pensiero che diviene poi così condizionante per il pubblico dibattito, sia e soprattutto per gli effetti che i tramiti politici ne danno nella applicazione all’organizzazione economica che poi impatta sulle nostre forme di vivere associato.
Credo sia questo ad aver mosso il professore di Siena a darci le sue sei lezioni, approfondite e comprensibili pur se rigorose e poco inclini alla narrazione, soprattutto rivolgendosi a quanti hanno animo critico verso lo stato economico (quindi politico) della nostra realtà e però scelgono la via facile ma sterile dell’olismo negativo (no a questo, no a quello ed in definitiva no a tutto) senza penetrare il dovuto, la complessità delle idee che poi portano alle scelte.
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La sinistra può esistere dentro l’euro?
di Thomas Fazi
In un recente articolo pubblicato su MicroMega Guido Iodice replica ad un’intervista di Emiliano Brancaccio in cui quest’ultimo sostiene che «l’Unione non è più riformabile in senso progressista» e che dunque – dato che «il percorso che stiamo percorrendo è palesemente insostenibile» – la sinistra dovrebbe cominciare a guardare “oltre l’euro”, per così dire. Brancaccio esclude l’ipotesi di un’uscita unilaterale dalla moneta unica finalizzata al recupero della sovranità nazionale, che ritiene estranea alla tradizione del movimento operaio, auspicando piuttosto «forme di coordinamento dei paesi euro-mediterranei» (che però l’economista ritiene poco fattibili) o, meglio ancora, «un sistema di gestione delle relazioni internazionali finalizzato al controllo dei movimenti di capitale, fuori e dentro l’Europa, specialmente da e verso quei paesi che adottino misure di dumping sociale e fiscale».
La critica di Iodice alle argomentazioni di Brancaccio verte su tre punti in particolare. Primo, non è vero che l’eurozona non è riformabile perché l’euro è già cambiato tanto rispetto a quello fondato nel 1992 e a quello che abbiamo visto nella prima fase della crisi: negli ultimi anni abbiamo ottenuto il quantitative easing (QE), la “flessibilità di bilancio”, ecc. Secondo, la riforma del sistema monetario internazionale proposta da Brancaccio è addirittura più ambiziosa (e dunque più difficile da realizzare) di una riforma progressista dell’eurozona.
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Terza guerra mondiale e fondamentalismo islamico
di Alba Vastano
Un saggio di geopolitica e economia mondiale di Domenico Moro
Dopo “Charlie Hebdo”, si parlò di 11 settembre europeo e Renzi diede subito la disponibilità per un intervento militare in Libia. La conferma la diede Hollande, dopo il 16 novembre dichiarando a Versailles “ La Francia è in guerra”. E come ogni guerra, evidenzia l’autore, “la prima vittima è la verità”. Come svelarla è “obiettivo complicato dal mutamento del quadro storico, a partire dal radicalismo islamico”.
“La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione priva di spirito. E’ l’oppio dei popoli. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale.” Karl Marx
Karl Marx, più che mai attuale il suo pensiero. Nell’attuale disastro delle stragi terroristiche che colpiscono in modo strategicamente asimmetrico il Pianeta, mirando soprattutto ai Paesi in cui domina l’imperialismo occidentale, siamo tutti invitati a riflettere sull’aspetto fondante del fanatismo religioso, su qualsiasi versante esso esploda. L’Islam, inteso nella versione dell’integralismo islamico, è nell’occhio del ciclone, come elemento scatenante della guerra all’Occidente. Le religioni tutte, però da sempre,anche la cristiana che invita alla tolleranza e al perdono hanno fatto stragi di innocenti. La storia documenta i danni del fanatismo religioso in ogni “credo”. Liberarsi dalla dipendenza oppiacea, citata da Marx, che genera false aspettative fino ad essere la causa dominante persino di genocidi è un assunto che impegna i comunisti, ma che deve impegnare tutti i popoli.
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Mercato del lavoro: il giallo dei dati
di Andrea Fumagalli
Come per ogni thriller che si rispetti, partiamo dai fatti, o meglio, dai comunicati stampa. Il 9 settembre, il Ministero del Lavoro rende noto i dati relativi alle comunicazioni obbligatorie relative ai licenziamenti e alle assunzioni del II trimestre 2016 (aprile-giugno). In sintesi, il quadro che emerge si può facilmente riassumere nel seguente modo: calano le assunzioni e aumentano i licenziamenti complessivi (+7,4% su base annua).
Nel periodo considerato, infatti, i licenziamenti sono stati 221.186, (15.264 in più, rispetto al secondo trimestre 2015). Da notare, che sono aumentate quelli promossi dal datore di lavoro (+8,1%) mentre si sono ridotte le dimissioni del lavoratore (-24,9%). Si cominciano così a registrare gli effetti della liberalizzazione dei licenziamenti padronali, introdotta dal Jobs Act.
Fra le assunzioni risultano invece in netto aumento, del 26,2%, gli avviamenti in apprendistato, mentre calano vistosamente (- 29%) le assunzioni con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Si sta così verificando un effetto sostituzione, che ha cause ben precise. Da un lato, come era prevedibile, la riduzione dei forti incentivi fiscali, ridotti di quasi 2/3 dal 1 gennaio 2016, ha penalizzato il ricorso al contratto a tutele crescenti, fiore all’occhiello del Jobs Act, dall’altro, il maggior ricorso all’apprendistato (a basso costo) è il frutto dell’avvio del progetto Garanzia Giovani. In altre parole si sostituisce lavoro a termine (perché tale è il contratto a tutele crescente) con lavoro precario sottopagato.
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L’Europa mediterranea alza la voce. Ma i falchi di Berlino la rimettono a cuccia
di Alessandro Somma
Che la Brexit fosse un’opportunità per rimescolare le carte del potere politico ed economico in Europa, era facile intuirlo. Meno facile era prevedere che i primi segnali in questo senso sarebbero arrivati in fretta, innanzi tutto con la notizia di un ripensamento nel settore delle politiche europee volute in particolare dagli Stati Uniti, e per questo sponsorizzate da Londra. Si spiega così il tentativo di affossare definitivamente il progetto di Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, il famigerato Ttip, che pure era da tempo sgradito a pezzi importanti delle amministrazioni tedesca e francese. Contrariamente a quanto è stato scritto, non è ancora detta l’ultima parola[1], e tuttavia assistiamo finalmente a prese di posizioni impensabili solo qualche settimana fa, quando si doveva ancora evitare di irritare agli inglesi: quando occorreva offrire loro di tutto e di più per convincerli a restare.
Qualche timido segnale si registra anche sul fronte delle politiche economiche complessive, e a monte degli schieramenti formatisi a supporto dell’austerità ottusamente imposta dai tedeschi. Si tratta di segnali molto deboli e soprattutto non riconducibili a comportamenti univoci, ma comunque degni di essere registrati, se non altro per tenere viva la speranza di un cambio di rotta.
Gli inglesi, per molti aspetti più dei tedeschi, sono gli interpreti più intransigenti del neoliberalismo, ovvero dell’idea che l’ordine economico deve essere lasciato liberi di autoregolarsi, e che allo Stato si deve affidare il solo compito di prevenire o risolvere i fallimenti del mercato.
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Se scompare il conflitto tra i sessi
Lea Melandri
La femminilizzazione della sfera pubblica, di per sè fondata sull’esclusione delle donne, può comportare l’attenuazione e perfino la scomparsa del conflitto tra i sessi. Così come nell’illusione amorosa, essa fa balenare la possibilità di una ‘tregua’ ma, proprio come per l’amore, lascia aperto il dubbio che finisca per essere invece, come ha scritto Pierre Bourdieu, la forma più insidiosa, perché invisibile, della violenza simbolica
Lo spazio pubblico, che ha nel suo atto fondativo l’esclusione delle donne, si è andato sempre più femminilizzando, ma sembra al medesimo tempo diminuita progressivamente la conflittualità tra i sessi, proprio là dove l’impatto con saperi e poteri marcatamente maschili — l’economia, la politica, la scienza, ecc.— faceva pensare che sarebbe riemersa con forza. Permangono pressoché inalterati luoghi storici, come la scuola e i servizi sociali, dove una predominante presenza femminile è garantita dalla continuità con quella “naturale” o “divina missione,” che vuole la donna “madre per sempre, anche quando è vergine,” oblativamente disposta alla cura, anche fuori dalla mura domestiche. Ma la femminilizzazione è andata oltre, spingendosi fin nelle pieghe del tessuto sociale, esaltata come fattore di innovazione e risorsa preziosa da un sistema economico, politico, culturale che risente del declino di antichi steccati tra sfera privata e sfera pubblica, natura e cultura, sessualità e politica — quelle linee di demarcazione che hanno permesso finora alla comunità storica degli uomini di pensarsi depositaria di un marchio di umanità superiore.
Sui giornali più vicini alla Confindustria, come Il sole24ore, non c’è giorno che non si elogi il “valore D,” il contributo di qualità relazionali che le donne possono portare ai livelli alti del management, in soccorso di un sistema produttivo sempre più flessibile e immateriale.
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Crisi sistemica: i nodi vengono al pettine
di Piotr
1. Remember, remember the 11th of September
Paul Craig Roberts è stato il Sottosegretario al Tesoro del presidente Reagan. Plurilaureato in economia nelle più prestigiose università statunitensi, è un conservatore vecchio stampo, nemico giurato dei "neoconservatori" che imperversano a Washington a partire dalla presidenza di Bill Clinton. Fu molto interessante e drammatico il suo intervento al simposio "Global WARning", organizzato da Pandora TV, Megachip e Alternativa nel 2014.
[da pandoratv.it/?p=2835]
Rafforzati nel loro potere dall'amministrazione di Bush jr e imposti ad Obama durante il suo primo mandato, i neocons sono stati parzialmente emarginati durante il secondo con l'allontanamento di Hillary Clinton dalla Segreteria di Stato e dalla rimozione dalla direzione della CIA (con transito nelle patrie galere evitato con due anni di libertà vigilata) del potente generale David Petraeus, quello che ha detto senza vergognarsi che al-Qa'ida doveva essere il migliore alleato di Washington in Siria.
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Operazione Ippocr...ITA
Tregua finta in Siria, guerra vera alla Libia
di Fulvio Grimaldi
Dalla diga che crolla a Tripoli bel suol d’amore
La signora Pinotti rincorre famelica e trafelata il suo modello ideale, Hillary Clinton. Anche a dispetto della progressiva caducità del modello, minato da un concorso di demenza sanguinaria ossessiva e conseguente disfacimento neurofisico. Stesse attenta, la Pinotti. Intanto, all’ombra di tanto vertice di potenza criminale, la muselide de noantri gira vorticosamente nella sua ruota impazzita, sparando alla rinfusa contro chi sa di risultare sgradevole ai suoi domatori oltremare, anche a scapito dei disastri socioeconomici e dei rischi geopolitici che in parallelo infligge al proprio paese. 500 armigeri spediti a far finta di proteggere una diga che si va sbriciolando a Mosul, ma che il direttore del circo USraeliano le ha intimato di tener pronti per sostenere, contro l’avanzata dell’esercito nazionale iracheno e relative milizie popolari, la presa della seconda città araba irachena da parte dei pretoriani peshmerga del narcoboss curdo Barzani.
Forze speciali – con garanzia di anonimato e oblio in caso ci rimettano la ghirba, in cambio di stipendio da magistrato di seconda classe – che si aggirano sottobraccio a quelle Usa, britanniche, francesi, nelle zone contese della Siria, per assicurarsi che non troppo male sia fatto agli ascari curdi di Rojava (assistiti, anzi, nella pulizia etnica di terre arabe da incorporare) e neppure ai terroristi ingentiliti dal cognome “moderati” e, quando capita, anche per dare istruzioni e una mano a chi, con autobombe o kamikaze, rimedia alle batoste subite sul campo facendo saltare per aria aggregati di donne, uomini e bambini a Damasco.
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Un discorso di Hegel
A cura di Paolo Di Remigio
(Nel 1808 Hegel assunse l'incarico di rettore del Ginnasio di Norimberga. Nel settembre del 1809, a conclusione del primo anno scolastico, tenne il seguente discorso sul significato degli studi classici. Paolo Di Remigio ci propone questa traduzione commentata. Leggendola siamo stato colpiti dalla lucidità e dall'attualità delle parole di Hegel su cosa siano cultura ed educazione. Per questo ci sembra interessante proporvelo. Ringraziamo l'amico Di Remigio per questa opportunità. Il testo appare anche su "Appello al popolo". M.B.)
In occasione del conferimento solenne dei premi che l'Autorità Suprema conferisce agli alunni distintisi per i loro progressi al fine di gratificarli e ancor più di spronarli, sono incaricato da Graziosissimo Ordine di illustrare in un pubblico discorso la storia del Ginnasio nell'anno passato, e di toccare quegli argomenti di cui può essere utile parlare per la loro relazione al pubblico. L'invito alla deferenza con cui ho da compiere questo incarico è proprio della natura dell'oggetto e del contenuto, che consiste in una serie di liberalità del Re o di loro conseguenze, e la cui illustrazione implica la necessità di esprimere la più profonda gratitudine per esse –una gratitudine che, insieme al pubblico, mostriamo alla cura sublime che l'Autorità dedica agli Istituti pubblici di istruzione1 . – Ci sono due rami dell'amministrazione pubblica per il cui buon ordinamento i popoli usano essere più di ogni altra cosa riconoscenti: buona amministrazione della giustizia e buoni istituti di istruzione; infatti soprattutto di questi due rami, dei quali uno tocca la sua proprietà privata in generale, l'altro la sua proprietà più cara, i suoi figli, il privato comprende e sente i vantaggi e gli effetti immediati, vicini e individualizzati.
Questa città ha riconosciuto il bene di un nuovo ordinamento scolastico con tanta più vivacità quanto maggiore e più universalmente sentito era il bisogno di un cambiamento2 .
Il nuovo Istituto ha poi avuto il vantaggio di seguire Istituti non nuovi, ma antichi, durati più secoli; così gli è si potuta connettere la pronta rappresentazione di una lunga durata, di una permanenza, e la fiducia corrispondente non è stata disturbata dal pensiero opposto che il nuovo ordinamento sia qualcosa di soltanto fuggevole, di sperimentale, – un pensiero che spesso, in particolare quando si fissa negli animi di coloro ai quali è affidata l'esecuzione immediata, finisce con lo svilire di fatto un ordinamento a un mero esperimento3.
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Politiche keynesiane nella zona euro. Impossibili?
di Piergiorgio Gawronski
L’indeterminatezza della durata dello stimolo dai bilanci pubblici – invocato dai keynesiani per rilanciare l’eurozona – viene usata talvolta per argomentare l’inefficacia, anzi la dannosità nel lungo termine delle politiche di deficit spending. Potrebbe essere vero.
Il problema della sostenibilità delle politiche di deficit spending
Supponiamo di avere un’economia piuttosto chiusa, stagnante, simile all’eurozona, con un grave output gap, dove perciò il PIL è determinato dalla domanda aggregata:
- PIL = 10.000 Mld.
- Crescita = 0%
- deficit pubblico = 0 Mld.
- inflazione = 0%
- tasso d’interesse nominale = 0%
- disoccupazione: 10%
Per stimolare la domanda, il 1° anno costruiamo un ponte (spesa: 100 Mld.). Il PIL sale di più (+1.5%), a 10150 Mld., per l’effetto moltiplicatore (1,5); generando circa 0,4*150 di nuove entrate fiscali; il deficit pubblico finale sarà 100 – (0,4*150) = 40.
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La violenza (di classe) come essenza dello stato
Sull’anticapitalismo “anarco-capitalista” di Michael Huemer
di Sebastiano Isaia
L’umanità al suo livello più alto non ha
bisogno di uno Stato (Arthur Schopenhauer)
Se l’essenza dello Stato è la violenza: è questo l’ammiccante – ovviamente agli occhi di chi scrive – titolo che Nicola Porro, o chi per lui, ha voluto dare a un suo articolo inteso a dar conto del pensiero politico-filosofico di Michael Huemer, autore di un libro, pubblicato nel 2013 negli Stati Uniti, che è diventato subito un punto di riferimento dottrinario ineludibile per i sostenitori di una società capitalistica in grado di fare a meno dello Stato, giustamente concepito come una presenza non solo ingombrante e oppressiva sotto ogni rispetto (a partire, ovviamente, da quello fiscale) (1), ma necessariamente violenta. Il titolo del libro di Huemer recita: Il problema dell’autorità politica (Liberilibri, 2015); il sottotitolo è, come si dice, tutto un programma: Un esame del diritto di obbligare e del dovere di obbedire. Diritto di obbligare, dovere di obbedire: capito il concetto? Scrive Porro:
«Il testo ci spiega su cosa si fonda questa benedetta autorità politica e il suo strumento ultimo, che è la coercizione. In un esempio illuminante, in fondo, Huemer ci dice che si finisce sempre con la violenza fisica. La catena degli ordini di uno Stato su questo si basa. Se non rispetto il semaforo rosso mi fanno una multa. Se non pago la sanzione, la ingigantiscono, magari togliendomi la patente. Se continuo a girare senza patente, mi fermano. E poi magari mi arrestano. Infine, se non accetto di essere tradotto in cella, qualcuno dovrà pur strattonarmi per un braccio, come minimo, e ficcarmi nell’auto che mi porterà in galera. Certo tutto è fatto da un’organizzazione terza, e tutto è concepito con una procedura, che possiamo definire democratica» (2).
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Cina e Stati Uniti nella corsa tecnologica
Vincenzo Comito
In Cina il livello delle spese per la ricerca, il numero delle pubblicazioni scientifiche, quello dei brevetti presentati, si stanno rapidamente accostando a quelli Usa
La Cina, dopo aver ottenuto diversi anni fa il primato negli scambi commerciali a livello mondiale, nel 2014 ha raggiunto anche quello del pil complessivo, almeno usando il criterio della parità dei poteri d’acquisto. Le previsioni dell’IMF valutano così che nel 2016 il pil del paese asiatico ammonterà a 20.880 miliardi di dollari e quello statunitense a 18.550 miliardi.
La rincorsa cinese si va concentrando ora, tra le altre cose, nell’innalzamento del livello tecnologico della sua economia.
Degli indicatori quali il livello delle spese per la ricerca, il numero delle pubblicazioni scientifiche, quello dei brevetti presentati, si stanno rapidamente accostando a quelli Usa. Per quanto riguarda i vari settori di business, il paese presenta oggi certo ancora dei ritardi su alcuni fronti, ma anche delle sorprendenti avanzate in diverse aree.
Complessivamente, mentre negli ultimi decenni si dava per scontato che gli Stati Uniti fossero i leader tecnologici incontrastati del mondo, adesso la cosa appare messa sempre più in dubbio.
Dei punti deboli sono rappresentati per la Cina ancora, ad esempio, dal settore dei chip e da quello dell’aeronautica.
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Novembre 2011. Tutti sapevano dell’invasione imminente e pure di Monti
di Dante Barontini
Quando è avvenuta la resa formale dello Stato Repubblicano nato dalla Resistenza al potere dei mercati?
La data più importante, per quanto riguarda l'autonomia di bilancio e molte delle conseguenze che ne discendono, è certo il 1992, quando vengono sottoscritti – probabilmente senza neanche capirli fino in fondo, da parte del governo italiano d'allora, strizzato tra Tangentopoli e le stragi mafiose collaterali alla “trattativa” – i trattati di Maastricht. E certo fa oggi riflettere quella miserevole classe politica stretta tra due trattative in cui fa la parte del vaso di coccio orientata com'è – in entrambi i casi – da “prestigiosi esponenti delle istituzioni” che collaborano attivamente con “il nemico”. A Palermo come a Bruxelles…
Ma la data della resa formale, quella in cui “la politica” getta la spugna e accetta consapevolmente – e per sempre – la primazia dei “mercati” incarnata dalle scelte dell'Unione Europea, è certamente il novembre 2011, quando nel giro di pochi giorni lo scettro del comando passa d'autorità nelle mani di Mario Monti, ex Commissario Ue frettolosamente nominato da Napolitano senatore a vita (9 novembre) per dare una parvenza di “gesto istituzionale” alla già programmata investitura come premier (16 novembre).
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La fine del capitalismo. Dieci scenari
di Giordano Sivini *
C’è stata una parentesi nella storia del capitalismo in cui il sociale è riuscito ad emergere dall’economico. Aveva rilevanza, in quanto sociale, per il riconoscimento giuridico che lo stato gli attribuiva in forza della sua esistenza come popolazione disciplinata dal lavoro salariato. In funzione della mediazione con l’economico, lo stato aveva ricevuto legittimazione dal sociale. La democrazia, che come parvenza funzionava fin dall’800, era stata giuridicamente ridefinita in senso sostanziale con una articolazione istituzionale orientata a garantire il benessere del sociale. Le politiche economiche e fiscali, pur racchiuse in uno spazio definito dall’economico, realizzavano questo obiettivo attraverso la crescita e lo sviluppo. Agenti dello sviluppo erano le imprese regolate dallo stato, che interveniva sui processi economici stabilendo vincoli per il mercato, e sosteneva la domanda creando quel reddito aggiuntivo che il capitale non poteva o non voleva assicurare, permettendo la riproduzione delle condizioni di crescita e di sviluppo.
Questa parentesi è ormai chiusa, e se ne è aperta un’altra. Il sostegno dello stato alla domanda, come condizione di crescita e sviluppo, è venuto meno, e il sistema cerca di garantire l’offerta spingendo all’indebitamento e abbassando i prezzi mediante una infaticabile ristrutturazione del sistema produttivo. Flessibilizza il lavoro per abbatterne i costi; riduce l’immobilizzo dei capitali fissi e dei mezzi di produzione; limita il valore unitario delle merci mediante una spinta frammentazione e diversificazione. Ma crescita e sviluppo restano costruzioni illusorie, e le innovazioni concettuali sono finalizzate a sanzionare le interferenze del sociale, che ostacolerebbero lo stato in quanto garante dell’economico.
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La guerra civile in Francia e le sconfitte del Movimento 5 Stelle a Roma
nique la police
Pochi testi, per capire la situazione romana del movimento 5 stelle, sono utili e illuminanti come La guerra civile in Francia di Marx. In molti penseranno che, così scrivendo, si esagera e che, ad esempio, usare l’autore del Capitale in questo contesto è come leggere le controversie sul parcheggio nel cortile del condominio attraverso i classici del diritto internazionale. Nel caso, chi lo sostiene sbaglia. Perchè la vicenda romana, non solo quella recente del movimento 5 stelle, ma anche le puntate precedenti, ci dice molto delle trasformazioni di territori in cui si agitano forze sia locali che globali. Poi ci sono coloro che pensano che l’uso di Marx è qualcosa di pretenzioso, o vetero o inutile. Fortunatamente, l’analisi politica usa solo ciò che è utile e non quello che, comunemente, si ritiene consono.
Tornando, appunto, a Marx è interessante notare come l’analisi dell’evoluzione dello stato francese, quella avvenuta dopo la rivoluzione del 1789, costruisca categorie di analisi utili anche per il nostro caso. Marx, parlando della trasformazioni della forma stato, successive alla rivoluzione francese la inquadra in questo modo:
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L’Unione non è più riformabile. Va fermata la circolazione indiscriminata dei capitali
G. Russo Spena intervista Emiliano Brancaccio
“Mettiamocelo bene in testa: in Europa non c’è nessuna svolta, nessun vento federalista di cambiamento. La sostanza delle politiche economiche non è cambiata. L’eurozona resta sull’orlo della deflazione, con effetti tremendi per le economie più fragili e per i lavoratori di tutto il continente. Il sentiero che stiamo percorrendo è palesemente insostenibile”. L’economista Emiliano Brancaccio non ha mai aderito allo storytelling renziano sulle possibilità di rilancio del progetto di unificazione europea. Anzi, nel commentare le recenti decisioni di politica monetaria e le proposte di gestione del post-Brexit, Brancaccio mette in luce l’affiorare di crepe sempre più profonde nell’assetto istituzionale e politico dell’Unione.
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Professore, la settimana scorsa Mario Draghi ha dichiarato che per i prossimi mesi la BCE non immetterà ulteriori dosi di liquidità nell’economia europea. Possiamo affermare che nel direttorio di Francoforte questa volta Draghi ha perso, e che hanno vinto i “falchi” dell’austerity guidati dal tedesco Weidmann?
Il problema non riguarda solo la quantità totale di liquidità erogata, ma anche l’impossibilità di indirizzarla verso i soggetti maggiormente in difficoltà.
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