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Il “dossieraggio” travolge l’Antimafia
di Dante Barontini
Il mondo politico, soprattutto di destra, è in rivolta contro una struttura fin qui osannata pubblicamente da tutti, ma che le prime indagini mostrano esser diventata un “potere indipendente” cresciuto in barba a molte regole e a tutte le “opportunità” proprie di una democrazia liberale.
Vicenda complicata, come tutte quelle che si svolgono a metà strada tra poteri “segreti” e ruoli pubblici, ma che si può riassumere così: un ex sostituto procuratore dell’Antimafia e il suo braccio operativo, un tenete della Guardia di Finanza, avrebbero usato il sistema “Sos” (’segnalazioni di operazioni sospette’) per monitorare – senza alcun mandato – le operazioni bancarie di una lunga serie di personalità pubbliche che va da politici in attività (Crosetto, Urso, ecc) fino a “vip” che con la politica (e soprattutto con la mafia) non hanno nulla a che vedere (il sempre presente Fedez, Cristiano Ronaldo, ecc).
Il sistema Sos ha come scopo quello di portare a conoscenza dell’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia le operazioni per le quali «si sa, si sospetta o si hanno ragionevoli motivi» per sospettare che vi siano in corso oppure che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
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Dissenso, élites e "anelare alla dittatura"
La risposta di Carlo Rovelli a Mattia Feltri sull'intervista pubblicata da l'AntiDiplomatico
di Carlo Rovelli
Non è rimasta inosservata l'eccezionale intervista di Luca Busca al fisico e grande intellettuale italiano, Carlo Rovelli, pubblicata da l'AntiDiplomatico. Decine e decine le testimonianze di apprezzamento che ci sono giunte in redazione. Una qualità di contenuti e una capacità di comprensione dei fenomeni attuali che è linfa vitale nei tempi bui. Non è rimasta inosservata al punto da urtare la suscettibilità atlantica di Mattia Feltri, direttore dell'Huffington Post, che gli ha dedicato una risposta - "Una storia spaziale" - pubblicata, oltre che dal suo giornale online, anche su La Stampa. Di seguito pubblichiamo la risposta magistrale che Carlo Rovelli ha inviato all'Huffington Post. Non bisogna fare alto che leggerla e rileggerla (A.B.)
*
Caro Mattia Feltri,
ti ringrazio per il tuo commento a una mia intervista. Ti ringrazio per le parole di stima, per l’invito che rivolgi ai lettori a cercare la mia intervista online, e anche per le forti critiche: queste sono sempre buone occasione di scambi di idee. Accolgo l’invito al dialogo e provo a rispondere, in amicizia.
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Guerra russo-ucraina: l’alluvione
Il “mondo Z” compie due anni
di Big Serge - bigserge.substack.com
Traduzione di Antonio Gisoldi
Mentre il calendario piomba in un altro anno e scorriamo i giorni di febbraio, gli anniversari importanti vengono evidenziati in successione. Siamo ormai al 22/02/2022 +2: due anni dal discorso di Putin sullo status storico delle regioni di Donetsk e Luganski, seguito il 24/02/2022 dall’inizio dell’operazione militare speciale e dallo spettacolare ritorno della Storia.
La natura della guerra è cambiata radicalmente dopo una fase di apertura cinetica e mobile. Con il fallimento del processo negoziale (grazie o meno a Boris Johnson), è diventato chiaro che l’unica via d’uscita dal conflitto sarebbe stata la sconfitta strategica di una delle parti da parte dell’altra. Grazie ad aiuti occidentali (sotto forma di materiale, sostegno finanziario, ISRii e supporto all’individuazione dei bersagli) che hanno consentito all’Ucraina di andare oltre la sua economia di guerra indigena che stava rapidamente andando in fumo, è diventato chiaro che questa sarebbe stata una guerra di attrito industriale, piuttosto che di manovra rapida e annientamento. La Russia ha iniziato a mobilitare risorse per questo tipo di guerra d’attrito nell’autunno del 2022, e da allora la guerra ha raggiunto la sua qualità attuale - quella di uno scontro di posizione ad alta intensità di potenza di fuoco ma relativamente statica.
La natura di questa guerra d’attrito-di posizione si presta all’ambiguità in ambito d’analisi, perché nega i segni più attraenti ed evidenti di vittoria e sconfitta che hanno a che fare coi grandi cambiamenti nel controllo del territorio. Invece, bisogna farsi bastare un’ampia varietà di analisi posizionali di tipo aneddotico, su piccola scala, e dati nebulosi, e tutto questo può essere facilmente mal interpretato o frainteso.
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Dal colonialismo sanitario ai barbari epistemici. La nuova Africa è l’Europa?
di Domenico Fiormonte
Perché scrivo questo libro? Perché condivido l’angoscia di Gramsci: “Il vecchio mondo è morto. Il nuovo è di là da venire ed è in questo chiaro-scuro che sorgono i mostri”. Il mostro fascista, nato dalle viscere della modernità occidentale. Da qui la mia domanda: che cosa offrire ai Bianchi in cambio del loro declino e delle guerre che questo annuncia? Una sola risposta: la pace. Un solo mezzo: l’amore rivoluzionario.
Houria Bouteldja
1. Colonialismo sanitario. L’Africa e il caso di Ebola
Tra il 2017 e il 2018 Helen Lauer, filosofa della scienza che lavora da trent’anni in Africa e docente all’Università di Dar es Salaam (Tanzania), ha pubblicato una serie di fondamentali ricerche che denunciano gli effetti dell’agenda sanitaria globalista sulla salute pubblica in Africa. In realtà nel cosiddetto Sud Globale si discute da anni di questi problemi, ma poco o nulla trapela all’interno dello sfinito mondo universitario europeo, per non parlare dei media mainstream. Dico subito che si tratta di studi che oggi, a due anni di distanza dalla pandemia COVID, probabilmente nessuna rivista accademica pubblicherebbe. E le ragioni appariranno chiare a breve. Le ricerche condotte da Lauer ci offrono un’efficace rappresentazione del cosiddetto colonialismo sanitario, fenomeno assai diffuso e che, come vedremo nella seconda parte, ha investito in pieno anche l’occidente. Fa da sfondo alla sua analisi il concetto di ingiustizia epistemica, cioè (molto in sintesi) quelle ingiustizie generate da un accesso diseguale ai mezzi di produzione, rappresentazione e diffusione della conoscenza. Cercherò qui di riassumere il contributo che si intitola The Importance of an African Social Epistemology to Improve Public Health and Increase Life Expectancy in Africa.
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Il capitalismo genocidiario si cela dietro la cortina della società dello spettacolo
Il suo linguaggio è divenuto finzione filmica
di Salvatore Bravo
Capitalismo genocidiario
Il capitalismo non è mai sufficientemente compreso nelle sue dinamiche distruttive e negatrici della natura umana e della vita. La sua azione globale non può che incontrarsi e scontrarsi con i limiti delle conoscenze personali e, specialmente, con le censure dirette e indirette a cui siamo sottoposti. Riorientarsi in una realtà organizzata secondo la forma del capitale mediante il “velo dell’ignoranza” è operazione non semplice. Se ci poniamo nell’ottica del cittadino medio e delle nuove generazioni possiamo ben comprendere quanto “il capitalismo dello spettacolo” riduca il pianeta a uno strumento da usare e da consumare: in tal modo la vita dei popoli e la storia del capitalismo sono obliati. Il capitalismo senza la mediazione umana della storia può continuare la sua corsa nelle comunità e negli individui; può continuare a bruciare vite e popoli e a percepirsi come “assoluto”.
Il capitalismo si autopresenta come “assoluto” e costruisce di sé una immagine ipostatizzata, in quanto coltiva l’ignoranza di sé. Le esistenze organizzate in stile “reality” consentono ai crimini del passato e del presente di perpetuarsi. Il capitalismo dello sfruttamento e genocidiario si cela dietro la cortina della società dello spettacolo. Anche il linguaggio è divenuto finzione filmica, non a caso la parola “capitalismo” è stata abilmente sostituita con le espressioni “liberale e liberista”, le quali ammiccano alla libertà. Si ha l’impressione di essere dalla parte giusta, e di vivere nella libertà: naturalmente la libertà “capitalistica” deve essere intesa come la possibilità di affermare il proprio “io” usando il mondo e riducendo ogni incontro a mezzo per accrescere l’ego-idolatria. La storia del capitalismo riportato alla sua verità storica e ai suoi crimini è paideutica per accrescere qualitativamente la crescita umana e politica delle soggettività e delle comunità.
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Navalny stava per essere liberato
di Piccole Note
La presidente della Fondazione di Navalny ha rivelato che l'oppositore del Cremlino stava per essere liberato. Il ruolo di Abramovich e l'obbligato silenzio di Mosca
Subito dopo la morte di Alexej Navalny, la Bild aveva rivelato che l’oppositore del Cremlino stava per essere liberato in cambio di alcuni russi detenuti in Occidente, ma la notizia è stata presto cestinata. Tuttavia, poco dopo, Maria Pevchikh, Presidente della Fondazione Anticorruzione, quella di Navalny, lo ha confermato. E questo cambia tutto, dato il ruolo della stessa e i dettagli rivelati.
Navalny: l’accordo era fatto
Prima in una dichiarazione, poi in un video, la Pevchikh ha spiegato che, dopo l’arresto del loro leader, la sua organizzazione aveva avviato una caccia serrata alle spie russe per farne merce di scambio con Mosca. Quindi, hanno iniziato a sollecitare le autorità tedesche e americane perché aprissero negoziati in tal senso, ma non “fecero nulla”.
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L'inquietante accordo militare con Kiev: rischi e scenari
Alessandro Bianchi intervista Fabio Mini
Molti degli elettori che hanno scelto Giorgia Meloni alle scorse elezioni non si sarebbero certo aspettati una politica estera più draghiana di Draghi, più atlantista del direttore di Repubblica Molinari o più filo Zelensky di un’Ursula qualunque. Eppure, l’ultimo viaggio a Kiev da presidente di turno del G7 del nostro premier nella capitale ucraina ha sciolto tutti i dubbi rimasti. L’accordo decennale con cui la Meloni, senza nessun passaggio parlamentare, ha legato il paese al regime di Kiev rimane il lato più oscuro e inquietante.
Nessuno più del generale Fabio Mini, autore di "L'Europa in guerra" (Paper First, 2023) e della premessa al nuovo libro di Giuseppe Monestarolo "Ucraina, Europa mondo" (Asterios, 2024) può aiutarci a fare luce, individuare i dettagli e scenari futuri. Mini è una delle voci più coerenti e forti nel denunciare i rischi connessi all'atteggiamento europeo verso il conflitto in corso. Con i suoi articoli su Limes e il Fatto Quotidiano, è riuscito a rompere la propaganda dominante. Quella propaganda che, come abilmente preannunciato dallo stesso generale, sta portando il nostro continente a un passo da un baratro sempre più visibile.
Abbiamo chiesto al generale Fabio Mini di aiutarci a sciogliere diversi dubbi per “Egemonia”.
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La fine di un consenso ingiustificato. Israele verifica come le è cambiato il mondo intorno
di Sergio Cararo
Alcuni anni fa lo storico israeliano Ilan Pappè inchiodava le responsabilità della comunità internazionale nella complicità con i crimini coloniali israeliani contro i palestinesi chiedendo: “Fino a quando il mondo permetterà a Israele di fare quello che fa?”
L’incantesimo sbagliato, che ha consentito decenni di consensi e complicità del tutto ingiustificati a livello internazionale verso Israele, sembra però essersi spezzato in più punti di fronte al genocidio dei palestinesi in corso a Gaza
Perfino in tre importanti paesi dove il livello di servilismo e complicità con lo Stato di Israele appariva inamovibile (Germania, Stati Uniti, Italia), si è rotto il silenzio e si palesano proteste sia verso la politica israeliana sia verso i suoi pervasivi – ma oggi meno efficaci – apparati ideologici di stato.
Mentre non si è ancora spenta né risolta la questione della partecipazione israeliana all’Eurovision, sul piano culturale si sono aperti altri fronti di contestazione contro Israele.
In Germania durante la cerimonia di premiazione del festival del cinema di Berlino sabato scorso ha fatto scalpore il regista statunitense Ben Russell ha accettato il premio per il suo documentario Direct Action indossando una kefiah palestinese sulle spalle e dichiarando che “Naturalmente siamo per la vita e siamo contrari al genocidio, e per un cessate il fuoco in solidarietà con i palestinesi”.
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Sinistra o destra? Guerra di classe
di Pasquale Cicalese
È notte fonda, ho fatto 7:30 di sonno, sto ascoltando Radio Gaga dei Queen. Mi si chiede, con citazioni di canzoni, di ritornare al campo di sinistra, mio naturale approdo. Non vi appartengo dalla delusione della Pantera, ero simpatizzante socialista, rimasi depresso dalla fine della Prima Repubblica, e dalla distruzione degli assetti pubblici e istituzionali fatti con la Seconda Repubblica.
Dopo la laurea volevo lavorare presso la Presidenza del Consiglio come analista economico, ma rinunciai, non volli servire la Seconda Repubblica. Ora c'è una nuova generazione di gente di sinistra, giovani che forse non hanno a che fare con i dinosauri distruttori come Prodi, Draghi ecc. D'altra parte a destra c'è il Premierato e l'autonomia differenziata, miei nemici assoluti.
Mi muovo nel solco della dialettica di guerra, ora gioco con lui, poi gioco con l'altro, fine: l'avanzamento delle istanze dei movimenti operai e contadini. Dal 1994 fino alla sua morte ho seguito la politica estera di Berlusconi, una cosa non gli perdonai (ma era minacciato): la morte di Gheddafi, l'ho scritto in 50 anni di guerra al salario. Ho frequentato gente di Potere Operaio, del 77, ex brigatisti, ex Prima Linea, a Crotone vedevo negli anni settanta, anche in ambito familiare, la lotta di classe, tramandata dalle lotte bracciantili degli anni 50.
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Raddoppiare gli errori fatali
di Piero Pagliani
la dedichiamo a tutti quelli - e sono tanti - che pur essendo testimoni di fatti importantissimi e determinanti dell'avvenire della civiltà, neanche se ne accorgono!
Enzo Jannacci, “Prete Liprando e il giudizio di Dio”
1. Neanche se ne accorgono!
Qualcuno si chiederà perché ho così poca stima, e a volte nessuna, per la maggior parte dei politici, dei media e degli “esperti”, uomini e donne, che occupano la scena italiana, europea e occidentale.
La risposta è semplice: perché non si meritano nessuna stima.
Nel 2014 alcuni deputati del neonato Movimento 5 Stelle e il compianto giornalista Giulietto Chiesa, mi chiesero di presiedere un convegno internazionale intitolato “Global Warning”, cioè “attenzione alla guerra globale”. Il convegno si tenne presso la Biblioteca del Senato della Repubblica. La tesi dei lavori era che la Nato stava preparando un grande scontro con la Russia nell'Europa orientale. Tesi che Giulietto Chiesa ribadì nei suoi tour in giro per l'Italia. Con tutte le critiche di carattere teorico e politico che io gli rivolgevo schiettamente in quegli anni, riconosco volentieri che Giulietto vedeva più lontano di tutti i suoi colleghi giornalisti, sia perché era più intelligente, sia perché conosceva la Russia e l'Europa orientale molto meglio.
Ascoltate bene questi 57 secondi: https://www.youtube.com/watch?v=sDPVIljawNU
Era esagerato? Era complottista? Giudicate voi.
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La “sinistra” alla moda
di Danilo Ruggieri
Andare controcorrente è uno dei pregi di Sarah Wagenknecht. La ormai ex leader della Linke tedesca, dopo una lunga battaglia interna, alcuni mesi fa ha rotto gli indugi e ha abbandonato insieme ad altri il partito, colpevole di una svolta liberale e cosmopolita, non più attenta alle lotte sociali, tradizionale patrimonio della storica sinistra tedesca operaista e socialdemocratica. Questa rottura è stata preceduta dalla pubblicazione in Germania nel 2021 di un suo libro (“Contro la sinistra neoliberale”) che ha fatto molto discutere e che è stato pubblicato nel maggio 2022 dai tipi di Fazi in Italia.
Va subito detto che da quando è stato scritto il libro di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta.
A soli tre anni dalla sua pubblicazione uno sconvolgimento sistemico degli equilibri geopolitici ha ridisegnato le mappe dello scontro internazionale. L’inizio dell’operazione militare speciale russa in Ucraina in difesa delle popolazioni russofone del Donbass, l’estensione del conflitto alla NATO che dirige e sovraintende lo sforzo bellico ucraino, la distruzione delle linee strategiche di approvvigionamento del gas tra Russia ed Europa e la guerra di sterminio israeliana a Gaza di questi mesi con scenari di allargamento mediorientale, segnano un cambio epocale della prospettiva politica, anche interna, di quei movimenti “antisistema” che si muovono nel continente europeo. Il libro fa i conti solo in parte con gli effetti nefasti della crisi pandemica scoppiata nel 2020 e rientrata in sordina in corrispondenza con le note vicende del febbraio 2022. I tratti generali dell’analisi politica e sociale che l’autrice fa della situazione tedesca, e che si potrebbero estendere all’ Europa occidentale, vengono confermati, anzi rafforzati, osservando le posizioni assunte dalla larga parte dei ceti politici che dirigono la sinistra “progressista” liberale e “radicale”.
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La Cina rompe gli indugi e si schiera con il popolo palestinese: “la lotta armata contro il colonialismo è un diritto!”
di Redazione
Mentre la Casa Bianca pone veti su veti per impedire il cessate il fuoco e nelle cancellerie europee continua il silenzio di fronte al genocidio in Palestina a opera del regime sionista, il governo cinese ha rilasciato una coraggiosa dichiarazione in cui afferma il diritto del popolo palestinese a impegnarsi nientemeno che nella lotta armata per la sua liberazione. Si tratta di un messaggio fortissimo per una diplomazia, quella cinese appunto, conosciuta per essere stato sempre (almeno negli ultimi 30 anni) molto cauta e moderata. La Cina peraltro continua teoricamente a difendere la linea dei “2 popoli 2 Stati”, ma di fronte al genocidio in corso e al fanatismo sionista ha deciso di schierarsi.
La Cina distingue la lotta armata di liberazione nazionale dal terrorismo
Il 22 febbraio, in occasione del secondo giorno di udienze della Corte internazionale di giustizia (CIG) sulle “conseguenze legali derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est”, tenutesi all’Aia, in Olanda, Ma Xinmin, consigliere giuridico del Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, ha affermato, riferendosi ai risultati della “Guerra dei Sei Giorni” del giugno 1967, che sono passati 57 anni dall’inizio dell’occupazione da parte di Israele e che la natura illegale dell’occupazione e la sovranità sul territorio occupato rimangono immutate.
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Ucraina. Il vero motivo di rottura tra Italia e Francia
di Alberto Fazolo
Nel 2024 l’Italia ha assunto la presidenza del G7. La Meloni ha deciso d’indire a Kiev il primo vertice dell’anno, per sfruttare la concomitanza con il secondo anniversario dell’inizio dell’Operazione Militare Speciale lanciata dalla Russia sul territorio ucraino.
Con l’occasione la Meloni ha stipulato con Zelensky una serie di scellerati accordi bilaterali in ambito militare, dell’energia, per la ricostruzione. Tutte cose che non è chiaro come verranno pagate.
Anche se la cosa non ha costi economici diretti immediati, la Meloni ha anche impegnato l’Italia a sostenere l’ingresso dell’Ucraina nella UE e nella NATO. Dato che l’attuale crisi è prevalentemente determinata dalla possibilità che la NATO si prenda anche l’Ucraina, impegnare l’Italia a insistere su quella linea, significa legare indissolubilmente il nostro paese alla guerra.
La Meloni ha condizionato il destino dell’Italia senza nemmeno consultare il Parlamento. Lei che fino a quando non è diventata Premier si atteggiava da sovranista, ora si dimostra essere la più atlantista dei politici europei, soprattutto perché si ostina a portare avanti una linea ormai abbandonata da chiunque altro. Gli stessi USA hanno interrotto gli aiuti all’Ucraina e puntano a un cambio di strategia, cosa che comunque va in collisione con gli interessi della UE.
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Ops, la censura! Chi l'avrebbe mai detto
di Il Chimico Scettico
Quasi mi viene da sorridere. In tempi ormai lontani, quando CS era sui social, accadde una cosa. Un giorno aprii la pagina e mi resi conto che tutti i post contenenti un link a questo blog erano spariti. Era il 12 dicembre 2019 e il blog aveva appena raggiunto 100.000 visualizzazioni ("Che caso!" disse Starbuck). Per due giorni successe anche su twitter. Per alcuni mesi fu impossibile postare su facebook un link a questo blog. Poi tutto finì, senza mezza parola, senza mezza comunicazione da parte della piattaforma. Non sono mai stato propenso a tirar fuori "Complotto! Censura!" senza avere in mano solide evidenze e non lo feci, sposando come prima ipotesi che il tutto fosse un prodotto del generico giro di vite "contro le fake news" che aveva reso gli algoritmi più stringenti (una cosa grave di suo).
Poi però qualcuno ci volle mettere la firma: qualcuno degli "amici che gestiscono i social" di Roberto Burioni, qualcuno che aveva a sua volta cari amici tra chi mandava avanti il facebook italiano. "La scienza (lascienza) non è democratica", dalla teoria alla prassi, prove tecniche.
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Transnistria e Moldova, un altro fronte di guerra?
di Enrico Vigna
Le politiche guerrafondaie e di scontro del governo sottomesso ai diktat occidentali e della NATO, stanno chiudendo la piccola repubblica della Pridnestrovie in una situazione pericolosa e molto delicata, da qui la richiesta ufficiale di aiuto del Parlamento di Tiraspol, per l’unificazione alla Russia come forma di autodifesa. Ma in caso di conflitto, c’è un fattore che potrebbe essere un detonatore che investirebbe e incendierebbe a domino, anche i paesi vicini: la base militare di Kolbasna sotto protezione russa, dove si ipotizza vi siano anche armamenti nucleari.
Nell’ultimo anno la “zelenskaya di Chisinau” Maia Sandu, invece di cercare forme e proposte di negoziazione e conciliazione con la regione orientale, ha intensificato azioni, proposte di legge provocazioni continue e minacce, che stanno alimentando odio e tensioni altissime. Questo da un lato sta spaccando la popolazione in Moldova e incoraggiando forme di smembramento interno della stessa, come nelle regioni della Gagauzia e della Taracalia, dove è sempre più forte la volontà di distacco, oltre alla sempre più profonda avversità della componente russofona del paese.
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Mario Draghi, la competitività europea e i nuovi Mezzogiorni
di Guglielmo Forges Davanzati*
1 – L’economia europea perde posizioni nella competizione internazionale e sperimenta, al suo interno, una costante crescita delle divergenze regionali (l’impoverimento relativo del Mezzogiorno rispetto al Nord è parte di questa dinamica).
A Mario Draghi, come è noto, è stato affidato il compito di redigere il rapporto sulla competitività europea, che verrà ultimato verosimilmente a giugno prossimo. Nel discorso dello scorso 15 febbraio all’Economic Policy Conference di Washington (durante il conferimento del premio Paul A. Volcker Lifetime Achievement Award), che va letto insieme a quello a3ll’Ecofin del 24 febbraio, ne ha resi noti i fondamentali ingredienti.
Partiamo dalla diagnosi. L’ex Governatore della BCE formula due critiche. La prima è rivolta al modello della globalizzazione sperimentato negli ultimi decenni, che avrebbe portato squilibri commerciali in un contesto di crescente partecipazione agli scambi commerciali internazionali di Paesi che avevano punti di partenza, in termini di livello di sviluppo, molto diversi.
Draghi riconosce che le delocalizzazioni prodotte dalla globalizzazione hanno considerevolmente ridotto la quota dei salari sul Pil, creando ostilità in coloro che ne sono risultati danneggiati. Così come, contrariamente alle promesse, la globalizzazione non si è associata alla diffusione dei valori orientati al rispetto delle libertà individuali e della democrazia.
La seconda critica attiene alla politica economica e da qui origina la sua proposta.
Draghi osserva correttamente che l’Unione Monetaria Europea (UME) ha puntato, per la sua crescita, su un modello trainato dalle esportazioni, in una condizione di competizione fra i Paesi membri, che risulta perdente nel lungo periodo.
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Il problema russo non è sconfiggere l’Occidente ma cosa farne dopo
Intervista a Rostislav Ishchenko* a cura di Aleksey Peskov
Questa intervista al politologo Ishchenko dà un’idea molto sorprendente su come dall’altro lato della nuova cortina di ferro si percepisca con inedite preoccupazioni l’attuale crisi sistemica occidentale, che creerà un “vuoto da riempire” e un fardello. La Russia potrebbe dover affrontare le stesse questioni che gli USA hanno affrontato al momento del crollo dell’URSS. Traduciamo un’intervista al politologo Rostislav Ishchenko che dà un’idea molto sorprendente su come dall’altro lato della nuova cortina di ferro si percepisca con inedite preoccupazioni l’attuale crisi sistemica occidentale, che creerà un “vuoto da riempire” e un fardello di responsabilità globali.
Alla data del 24 febbraio, si sono compiuti esattamente due anni dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale (SVO). Allora sembrava a tutti che, anche se ci sarebbero state difficoltà, queste non sarebbero durate a lungo, gli aeroporti “intorno all’Ucraina” sarebbero rimasti chiusi inizialmente solo per una settimana. Si sbagliavano.
Poi intervennero i paesi occidentali, e anche lì l’orizzonte della pianificazione era calcolato in settimane, al massimo mesi: armiamo l’Ucraina, colpiamo la Russia con sanzioni, e tutto lì crollerà come un castello di carte. Ma si sbagliavano anche loro.
In due anni, la Russia ha potenziato i muscoli e allenato il cervello, mentre l’Occidente sta vivendo dissidi interni e gravi problemi economici. E a qualcuno viene l’idea, in questo momento, che ci convenga prolungare il conflitto, tipo: “aspettiamo – e l’Occidente crollerà da solo”. Sarebbe bello, giusto? Ma le speranze che, non appena i paesi occidentali si siano rotti, tutti i problemi della Russia finiscano all’istante, sono state dissipate nel corso di una conversazione con «Svobodnaya Pressa» («Stampa Libera») dal politologo, commentatore di MIA “Russia Today”, Rostislav Ishchenko…
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Contro la propaganda di guerra
di Michele Berti
Sul Quotidiano L’Adige, giornale pubblicato in Trentino, di venerdì 23 febbraio comparivano in prima pagina due contributi a firma Aldo Civico (antropologo) e di Domenico Quirico (famoso giornalista). Gli scritti pubblicati erano molto netti e preannunciavano in realtà un evento organizzato da EUcraina, l’associazione sponsorizzata da Giovanni Kessler, ex parlamentare europeo (anche ex obiettore di coscienza a questo punto…), dal 2011 al 2017 direttore dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e nominato nel 2014 membro della commissione per la selezione del primo capo dell’Ufficio indipendente Anticorruzione dell’Ucraina.
Le espressioni erano secche ed erano tutte rivolte a convincere il lettore che l’unica soluzione è “battere Putin sul campo di battaglia” mandando più armi e risorse a Zelensky.
Sabato 24 febbraio dopo una giornata di riflessione e qualche mal di pancia, ho pensato di dover rispondere a questi signori, che ho definito “master of war”, con un piccolo contributo volutamente incisivo, che volevo venisse pubblicato nella rubrica delle lettere in cui il giornale dà spazio al dibattito dei lettori. Ho inviato il mio scritto al direttore e alla rubrica, ma visto che a oggi, 28 febbraio, nessun riscontro è arrivato, deduco che il direttore Depentori ha ritenuto di non pubblicare la mia lettera.
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L’affinità elettiva tra lobbying e cleptocrazia militare
di comidad
Il Sacro Occidente non ha mai preteso di essere perfetto e immune da critiche; si accontenta più modestamente di stabilire di essere meglio dei regimi dittatoriali che lo circondano e lo minacciano. Non è vero che noi pretendiamo di essere i buoni, è solo che gli altri sono cattivi e ci dobbiamo difendere, quindi siamo costretti a spendere per le armi. Andando al sodo, a questo si riduce l’essere occidentali: comprare armi. Potevano dirlo subito senza tanti preamboli inutili. Chissà quante armi ci siamo fatti sfuggire con queste perdite di tempo. Il governo tedesco finalmente si è svegliato accorgendosi della minaccia russa; perciò si è dato una mossa: prima si è comprato tanti caccia F-35 dagli Stati Uniti, poi nel novembre scorso ha concluso un contratto con Israele per acquistare il sistema di difesa antimissile “Arrow 3”, che le Industrie Aerospaziali Israeliane (IAI) producono insieme con la statunitense Boeing. La consegna del sistema antimissile è per il 2025, quindi giusto in tempo per fermare la prossima invasione russa. Il sistema “Arrow 3” ha funzionato benissimo contro un missilino balistico lanciato dallo Yemen, quindi è certo che funzionerà alla grande anche contro i missili ipersonici russi.
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La scuola e il silenzio su Gaza
di Paola Lattaro
Pisa non ha mostrato solo l’attacco vigliacco degli agenti di polizia ma anche il silenzio della scuola. La verità, scrive Paola Lattaro su Insegnare, la rivista del Centro di iniziativa democratica degli insegnanti, è che sulla facciata di ogni scuola, da mesi dovrebbe esserci un striscione con la scritta “Stop Bombing Gaza”, da mesi si dovrebbero portare avanti in aula iniziative per informare su quello che sta accadendo. Con che faccia gli chiederemo di realizzare l’ennesimo powerpoint di educazione civica? Come gli diremo ancora una volta che vogliamo sentire le loro voci? Pisa, in realtà, ha mostrato anche come tanti adolescenti vengono picchiati e arrestati, perfino resi orfani oppure uccisi. Accade in Palestina, da decenni.
* * * *
Le immagini delle studentesse e degli studenti manganellati a Pisa (e a Firenze e a Catania) per essere scesi in piazza a manifestare contro il genocidio che si consuma, indisturbato, nella striscia di Gaza, sotto gli occhi di un mondo complice, da riempiono le home dei social e i nostri discorsi. Ci fanno pensare che quella democrazia che tendiamo, ingenuamente, a dare per scontata, dove manifestare (pacificamente) un dissenso è un diritto sacrosanto, scontata non è; anzi: non gode esattamente di ottima salute (del resto i segnali ci sono tutti da anni).
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Á la guerre comme à la guerre
di Pasquale Vecchiarelli
Macron vuole mandare i militari sul campo, la Von der Layen non esclude la possibilità di una guerra in Europa, Scholz ha un piano per attaccare la Russia in quattro fasi e i servizi segreti italiani riferiscono sull’importanza di colonizzare l’Africa, investire in armi, e zittire gli antagonisti. E’ crisi nera della borghesia
Ci sono giorni che contano come anni per la velocità con cui si svolgono gli eventi ed è proprio questo il caso delle settimane appena trascorse. Dalle dichiarazioni di Trump, in cui ha annunciato di non voler più proteggere militarmente i membri della NATO che non contribuiscono adeguatamente alle spese militari dell’organizzazione più guerrafondaia della storia, si sono succedute una serie di prese di posizioni di leader europei, a partire da quello tedesco Olaf Scholz, che hanno rivelato l’intenzione, che probabilmente già covava sotto la cenere, di riconvertire la propria economia verso un’economia di guerra. Hanno fatto scalpore le parole di Macron e quelle della Von der Leyen, le cui bocche, come spesso accade a questi governanti, si beano nel pronunciare parole di morte. Genocidio, guerra, escalation, violenza e terrore, punizioni e sanzioni, missioni militari, morti sul lavoro e precarietà, queste le parole più pronunciate e che meglio descrivono il mondo in cui viviamo.
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Stati Uniti e Cina allo scontro globale
Intervista a Raffaele Sciortino
Dal n. 6 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” in uscita nei prossimi giorni pubblichiamo in anteprima questa intervista a Raffaele Sciortino.
Per l’edizione inglese, in uscita in questi giorni, ha scritto un capitolo di aggiornamento che tiene conto degli sviluppi nel frattempo intervenuti.
Gli abbiamo rivolto alcune domande che cercano di cogliere i dati essenziali del mutamento di quadro, a partire ovviamente dal conflitto Russo-Ucraino e dalla situazione in Medio Oriente.
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Collegamenti: Dopo due anni di conflitto l’Occidente collettivo sembra avviato ad un serio scacco in Ucraina, per quanto gli obiettivi che perseguiva l’Amministrazione Biden siano nel complesso raggiunti: logoramento della Russia, compattamento della Nato, subordinazione dell’Europa, postura minacciosa verso la Cina. Possiamo aspettarci una svolta da qui alle elezioni Usa?
Bella domanda. Direi di no se per svolta si intende qualcosa che possa assomigliare anche alla lontana a un serio percorso negoziale voluto e condotto dall’attore decisivo, Washington. Non solo: neppure un’eventuale vittoria di Trump porterebbe probabilmente a una svolta effettiva, semmai a qualche mossa politica dal valore simbolico. La mostruosa macchina statale statunitense si è oramai sintonizzata sulla modalità guerra – che è riduttivo definire per procura – in quel quadrante strategico.
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Un keynesiano “tecnologico”
L’economia politica di Luigi Pasinetti
di Stefano Lucarelli
L’economista italiano sviluppò la teoria di Keynes approfondendo l’importanza del progresso tecnico. E il suo contributo alla scienza economica resta fondamentale
Luigi Lodovico Pasinetti è stato uno dei più importanti economisti italiani. Il progetto teorico che ha caratterizzato il lavoro intellettuale di questo 'signore' appare molto distante dagli obiettivi di ricerca che oggi dominano nei dipartimenti di scienze economiche. Pasinetti aspirava infatti alla costruzione di un paradigma economico alternativo essenzialmente fondato sul fenomeno della produzione e del cambiamento tecnologico, in contrapposizione al paradigma prevalente basato essenzialmente sul fenomeno dello scambio e sulla scarsità delle risorse naturali1.
Nelle note che seguono cercherò di mettere a disposizione dei lettori alcuni elementi sostanziali che emergono da quei lavori di Pasinetti che, nella mia esperienza di insegnamento, rappresentano dei passaggi formativi imprescindibili2.
Come per Keynes, anche per Pasinetti i problemi economici principali che occorre risolvere in una economia monetaria di produzione sono l’incapacità a provvedere a una occupazione piena e la distribuzione iniqua della ricchezza e del reddito. Ma, a differenza di Keynes, egli non limita la sua analisi agli effetti dei cambiamenti della domanda finale sull’occupazione e sulla distribuzione della ricchezza. Pasinetti, infatti, approfondisce anche gli effetti che il progresso tecnico può avere sui principali problemi economici, nella convinzione che il processo di produzione industriale implichi una applicazione continuativa nel tempo dell’ingegno umano per l’organizzazione e il miglioramento dei processi produttivi.
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Un patto di guerra
di Leonardo Mazzei
L’«Accordo di cooperazione sulla sicurezza tra Italia e Ucraina», firmato a Kiev il 24 febbraio da Zelensky e Meloni, è un fatto grave di cui ancora non è stata colta la portata.
Sia il governo, che la stampa mainstream, lo hanno presentato come un atto più simbolico che sostanziale. «Il nostro accordo – come quelli stipulati da Francia, Germania e Regno Unito – non sarà giuridicamente vincolante», ha detto il ministro Tajani il 22 febbraio alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Non vincolante? Ma allora a cosa serve? Per provare a capirlo, seguiamo ancora il discorso del titolare della Farnesina:
«Dal testo non derivano obblighi sul piano del diritto internazionale, né impegni finanziari. Non sono previste garanzie automatiche di sostegno politico o militare. Come quella dei nostri partner, anche la nostra intesa bilaterale non richiederà, quindi, la procedura di ratifica parlamentare».
Ma davvero possiamo credere a questa rassicurante melassa del Tajani? Evidentemente no. Chiaro che l’accordo firmato da Meloni è sulla stessa linea di quelli sottoscritti da Londra, Parigi e Berlino. Chiaro, infatti, che tutte queste iniziative sono state coordinate in ambito NATO e G7. Chiaro, infine, che non potendo far entrare adesso l’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, questi accordi bilaterali dovrebbero offrire a Kiev una rete di protezione equivalente, anche se formalmente diversa.
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L'Europa è nuda. Le parole (importanti) di Mario Draghi a l'Ecofin
di Giuseppe Masala
Non si può non notare l'attivismo di Mario Draghi di quest'ultimo periodo. Il dinamismo del Grand Commis romano per la verità non sembra dettato dall'ambizione che lo spinge a ricercare altre super poltrone di grande potere ma piuttosto dalla volontà di salvare la creatura di cui è stato certamente uno dei massimi architetti. Ormai che l'Europa rischi di non sopravvivere non è più argomento per complottisti, ma un dato di fatto di cui si prende atto ai massimi livelli e infatti Draghi ne ha parlato apertamente il 24 Febbraio durante l'ultimo Ecofin tenutosi a Gend in Belgio, al quale è stato invitato nonostante non ricopra la carica di Ministro delle Finanze in nessun paese dell'Unione.
Certamente, il “saggio” Draghi non ha deluso le attese parlando in maniera schietta dei mali dell'Unione Europea. Innanzitutto colpisce che Draghi delinei una disamina che appunto fino a qualche tempo fa pochissimi avevano il coraggio di fare. L'Europa non può più contare: «sull'energia russa, sulle esportazioni cinesi e sulla difesa degli Stati Uniti.
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