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Contro il regime del salario
Sul dominio del tempo tra fabbrica e metropoli
di Eleonora Cappuccilli
Un nuovo regime di produzione che mette a valore l’autonomia e l’autoimprenditorialità; una nuova società dell’io; una nuova economia che si poggia sul lavoro gratuito: questa è l’immagine superficiale dell’economia politica ai tempi del neoliberalismo. Poi c’è il dominio violento che fa leva sul potere pastorale; la rete come modello dello sfruttamento; il lavoro salariato malpagato e ricattato: questa è la faccia nascosta del regime del salario attuale, quel puzzle di condizioni di vita e lavoro dentro e contro cui siamo costretti a muoverci. Guardando da entrambe le prospettive il neoliberalismo appare come un enigma irrisolto, eppure proprio la convivenza di due modelli inconciliabili sembrerebbe costituire la ricetta del suo successo senza storia e senza fine. Lungi dall’essere un insieme monolitico e onnicomprensivo, il neoliberalismo si dà sotto vesti differenti, in luoghi sconnessi. Di volta in volta, mostra un lato diverso per ingannare gli astanti, convincendoli di poter trovare la soluzione allo sfruttamento, anzi, meglio, la chiave per innescare la rivolta, se solo si posizionassero correttamente. In questa rincorsa al nuovo paradigma, si rischia di perdere la bussola per strada.
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Ripensare la politica fiscale
di Andrea Terzi
- Finanza, economia reale e politica anti-ciclica
Dieci anni fa cominciava a muoversi la colossale frana finanziaria che avrebbe portato, tra l’altro, al tracollo di Bear Stearns e al fallimento di Lehman Brothers, due tra le maggiori banche d’affari del mondo. In un ciclo economico alimentato principalmente dal debito privato, la fragilità finanziaria finì per avere un formidabile impatto sull’economia reale. Dopo Lehman, l’economia mondiale cambiava decisamente passo, entrando in una profonda recessione. A quel punto, si manifestava fatalmente la vulnerabilità della politica economica nell’area euro fino al punto da mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa della moneta unica.
La lunga crisi non è affatto archiviata. Passata la recessione, la crescita negli Stati Uniti è stato troppo modesta per poter riagguantare il sentiero tendenziale (FIGURA 1).
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La classe tra primo e secondo operaismo
Operaio massa e operaio sociale a confronto
di Daniele Ilardi
In alcuni suoi scritti di fine anni ’50, l’operaista Romano Alquati modella alcune categorie essenziali per le analisi sull’ organizzazione capitalistica del lavoro e la conflittualità operaia: la più importante di queste è sicuramente la “composizione di classe”. Infatti è possibile leggere l’intero percorso operaista a partire dalla teoria composizionista, sviluppo della teoria marxiana sulle classi, fornendo le basi per l’avvento delle figure storiche di Tronti e di Negri. Essa consiste nell’analisi del nesso tra connotati oggettivi e soggettivi della forza lavoro, cioè tra una particolare composizione tecnica e una specifica composizione politica. La prima designa i livelli sociali di produzione, la quantità e la qualità dei bisogni della forza lavoro; la seconda considera i comportamenti politici, sociali e morali in grado di determinare bisogni e forme di lotte necessarie alla classe operaia.
A distanza di molti anni, la teoria composizionista rimane uno dei temi operaisti più riconosciuti, soprattutto per il rilievo che assumerà a partire dagli sviluppi del pensiero trontiano in Classe Operaia. In seguito all’esperienze in fabbrica statunitensi e francesi, per Romano Alquati l’inchiesta sulla composizione di classe coincideva con l’intervento politico: essa si doveva far carico di organizzare la lotta operaia. Da questa connessione nasce la pratica di inchiesta ideata da Alquati: la con-ricerca.
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Appunti politici: Visalli e i migranti
di Ennio Abate
Questi appunti si confrontano con l’articolo di Alessandro Visalli, Poche note sulla questione dell’immigrazione: della svalutazione dell’uomo. apparso sul suo blog e segnalatomi da Cristiana Fischer (E. A.)
Ma in sostanza che dice o suggerisce Visalli sulla questione dei migranti?
Vediamo prima il suo ragionamento. Con l’integrazione nell’Europa e la mondializzazione, Il sistema produttivo italiano (io aggiungerei ‘capitalista’), risulta «schiacciato da una parte dalla pressione competitiva generata dai prodotti ad alta specializzazione e contemporaneamente basso costo del nord Europa […] e dall’altra da quelli a media specializzazione e basso prezzo derivanti dai mercati asiatici». E si sta dividendo in almeno tre settori: uno piccolo che si trova delle nicchie nel gioco competitivo internazionale e occupa sempre meno lavoratori; un altro, che si rivolge al mercato interno, esporta prodotti poveri e a bassa tecnologia, non fa investimenti e sfrutta sempre più intensamente i lavoratori; e uno enorme – quello dei servizi – dov’è «massima la frammentazione, la precarietà, e la bassa produttività e dove gli investimenti sono assolutamente nulli».
A questo punto entrano in scena i migranti. Visalli ricorre a uno studio del 2014 dell’ Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) per dirci che per loro «l’Italia negli ultimi quindici anni è il paese con maggiore capacità di attrazione» proprio «a causa di una persistente domanda di forza lavoro a bassa qualifica e bassi salari».
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La nostra economia dell’obsolescenza
di Steven Gorelick
Un mio amico indiano racconta una storia riguardo all’aver guidato una vecchia Volkswagen Beetle dalla California alla Virginia durante il suo primo anno negli Stati Uniti. In una singolare tempesta di ghiaccio in Texas è finito fuori strada, lasciando l’auto col parabrezza rotto e portiere e parafanghi malamente ammaccati. Quando è arrivato in Virginia ha portato l’auto in una carrozzeria per una stima della riparazione. Il proprietario le ha dato un’occhiata è ha detto: “E’ irrecuperabile”. Il mio amico indiano è rimasto sconcertato: “Come può essere irrecuperabile? L’ho appena guidata fin qui dal Texas!”
La confusione del mio amico era comprensibile. Anche se “irrecuperabile” suona come una specie di termine meccanico, è in realtà un termine economico: se il costo della riparazione è superiore a quanto varrà l’auto dopo, la sola scelta economica “razionale” e portarla dallo sfasciacarrozze e comprarne un’altra.
Nelle “società a perdere” del mondo industrializzato, questo è uno scenario sempre più comune: il costo di riparazione di stereo, elettrodomestici, utensili elettrici e apparecchi di alta tecnologia supera il prezzo di comprarne di nuovi.
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I comunisti, le ragioni e la forza
di Rete dei Comunisti
Parlare di Partito Comunista qui ed ora non è certo cosa facile e da l’idea di parlare di un altro mondo e di un’altra epoca tanto è stata devastante la storia delle organizzazioni comuniste di questi ultimi decenni in Italia ma anche nel resto dell’Europa. Questa constatazione e lo stato d’animo che ne deriva, che ha spinto molti militanti a rivolgersi verso altri orizzonti anch’essi bruciati in tempi molto rapidi, ci deve invece spingere ad operare un salto di qualità teorico nell’affrontare la questione del partito che in realtà è la questione di come le classi subalterne resistono e reagiscono allo stato attuale delle cose. Parlare di partito significa dunque parlare della classe con cui abbiamo a che fare, reale e non mitologica, ma significa avere anche una idea dei processi generali e di quelli storici che stanno modellando il mondo attuale.
Se abbiamo dato una lettura dei processi storici legata al rapporto contraddittorio tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali di produzione individuando fasi egemoniche e fasi di crisi non possiamo non leggere sotto questa luce anche la storia delle organizzazioni del movimento operaio.
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Povertà e debito, gli strumenti del controllo sociale
di Andrea Fumagalli
Negli ultimi mesi sono stati pubblicati due libri che trattano della povertà e del debito: due condizioni oggi sempre più interdipendenti e strutturali.
Il primo è un bel saggio di Marco Fama, giovane ricercatore dell’Università della Calabria: Il governo della povertà ai tempi della (micro)finanza (Ombre Corte, Verona, 2017, pp. 180, Euro 15,00, prefazione di Stefano Lucarelli, postfazione di Carmelo Buscema).
Il titolo è già di per sé esplicito. Marco Fama ha condotto ricerche sul microcredito, sulla finanziarizzazione, sulla povertà e sullo sviluppo rurale in Messico e Nicaragua durante il suo dottorato in sociologia dei fenomeni politici[1]. Ha potuto così acquisire una solida base analitica per estendere il discorso sul fenomeno della povertà anche ai paesi occidentali a capitalismo maturo. Al punto che nel primo capitolo l’autore compie una vasta panoramica delle trasformazioni dei mercati finanziari come strumento di biopotere sugli individui.
Il concetto di povero ha sempre avuto un significato ambiguo e ambivalente.
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I caratteri variegati della democrazia
Salvatore Biasco
Le riflessioni di Salvati sullo stato della democrazia in Occidente sono da par suo penetranti e piene di suggestioni analitiche. Il suo punto di vista, anche dove non convinca pienamente, è innegabile che contenga sempre un elemento di verità. Non sono, tuttavia, le singole affermazioni - delle quali, appunto, accetto il contenuto di verità - a spingermi a scrivere queste note, ma la necessità di inquadrare meglio il senso complessivo dell’articolo e l’ispirazione che muove quelle riflessioni, in una sorta di ragionamento ad alta voce. Non ho capito se il suo bersaglio polemico (o meglio la correzione di giudizio che Salvati auspica) sia diretto a coloro che ripropongono l’adozione integrale di un approccio «socialdemocratico», o indirizzato a demitizzare il «mito» dei «Trenta gloriosi» dal punto di vista della qualità democratica, a introdurre una categoria di giudizio da non dare per acquisita (l’eccezionali-tà delle condizioni esterne), o a mettere in guardia da facili semplificazioni di analisi di un fenomeno complesso.L’incipit è una domanda sulle ragioni che spieghino il coro di analisi sul peggioramento odierno della qualità democratica nei capitalismi occidentali. Salvati non è evidentemente convinto che quel peggioramento vada preso per scontato, non perché non veda gli aspetti problematici della democrazia oggi, ma perché ritiene che nei due secoli in cui è stata il sistema politico prevalente ha manifestato, talvolta anche con maggiore gravità, i problemi che oggi appaiono così evidenti.
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L’effetto contagio dei movimenti urbani globali
Intervista a David Harvey
Intervista al geografo marxista sulla traiettoria del suo pensiero e gli snodi politici del presente
L’intervista è stata realizzata giovedì 29 giugno a Bologna, dove Harvey era presente per la Summer School «Sovereignty and Social Movements» organizzata dall’Academy of Global Humanities and Critical Theories. Abbiamo evidenziato col grassetto i passaggi politici a nostro avviso più significativi dell’intervista, che spazia dall’interpretazione di Marx all’analisi del capitalismo, dalla relazione tra mutazioni dello Stato e della città nel contesto neoliberale fino a una riflessione sui movimenti. Su di essi il geografo marxista analizza in particolare la dinamica di repentina diffusione delle mobilitazioni urbane a livello globale, come la sequenza di insorgenze del 2011-2013, indicando la necessità di cogliere quali elementi di profondità l’abbiano resa possibile. È su questo elemento che ci pare Harvey ponga una delle domande cruciali, ossia quale politica sia possibile costruire su questi processi. Una domanda tutt’ora senza risposta ma sulla quale rimane decisivo continuare ad interrogarsi.
Una versione ridotta di questa intervista è uscita su Il Manifesto il 13 luglio col titolo "Il contropotere è cittadino".
* * * *
I: Cominciamo dalle origini della tua elaborazione, che parte da Cambridge - dove non ti muovevi all'interno di un approccio marxiano – e a fine anni Sessanta muove sulla sponda opposta dell'Atlantico, a Baltimora.
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Sinistra e tema migratorio: una analisi ed alcune proposte
di Riccardo Achilli
Ricevo da Riccardo Achilli il seguente testo che sono lieto di ospitare sul blog [av]
“Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, NELLA MISURA DEL POSSIBILE, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l'esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare AL RISPETTO DEI DOVERI DEI MIGRANTI NEI CONFRONTI DEL PAESE che li accoglie. L'immigrato E' TENUTO A RISPETTARE con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri". Catechismo della Chiesa Cattolica, passo 2.241.
Premessa: l’insufficiente stato dell’arte della riflessione a sinistra
Il tema dell’immigrazione è di grande criticità nel pensiero della sinistra. Di fronte alla crescita di ciò che, con una certa superbia intellettuale, si etichetta come “populismo di destra” o xenofobo, che in tutta Europa (e non solo, basti pensare a determinati temi posti da Trump nella campagna elettorale degli USA) si è radicato in una quota non indifferente delle classi popolari che dovrebbero essere la base di rappresentanza stessa della sinistra, essa balbetta. Balbetta per motivi comprensibili, per certi versi “nobili”.
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Renzi: dalla Leopolda alla Rai
di Federico Repetto
La comunicazione di Renzi
Mentre Berlusconi e Grillo sono divenuti dei politici-star in tempi relativamente lunghi, Renzi ci è riuscito in tempi straordinariamente brevi. Per poterlo fare, egli ben presto ha creato un proprio brand politico personale, usando tutti gli strumenti più aggiornati del marketing. Ingredienti simbolici di questo brand sono il primato del merito e del talento, l’autenticità, la gioventù, l’innovazione, il cambiamento, le nuove tecnologie, ecc. Lo stesso cognome di Renzi è trasformato in un logo: una r frecciata, indicante appunto la svolta e il cambiamento, che appare nel suo sito personale (cfr Barile Brand Renzi, 2014, p. 26 sgg. e 82 sgg).
Renzi, a partire almeno dalla sua partecipazione alle “Invasioni Barbariche” nel 2008, accumula capitale comunicativo anche grazie alla conoscenza di esperti di immagine e di spettacolo (p.es. Giorgio Gori, già a capo di Canale 5 e il regista Fausto Brizzi). Ma anche grazie alla sua capacità di associare la propria immagine a star come Benigni e Jovanotti.
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Quale Moneta fiscale? Un confronto tra alcune proposte
di Enrico Grazzini
Dopo aver pubblicato l’articolo sulla moneta fiscale di Bossone, Cattaneo, Costa e Sylos Labini, anche Enrico Grazzini interviene sull’argomento e commenta alcune delle diverse proposte sul campo
In questo articolo mi propongo di chiarire perché l’architettura della moneta unica europea è strutturalmente squilibrata e genera crisi. E perché la moneta fiscale, nella versione pubblicata da Micromega e promossa dal compianto Luciano Gallino, possa rappresentare la soluzione ai problemi dell’euro. Mentre altre versioni di moneta fiscale possono invece essere impraticabili.
Le cause genetiche e strutturali della fragilità dell’euro sono queste:
1. La moneta europea è diventata la leva principale per imporre l’egemonia tedesca sulle economie periferiche, ovvero lo strumento per imporre una forma di colonialismo commerciale, monetario e finanziario. E’ noto che l’euro è stato creato a Maastricht con criteri dettati dalle classi dirigenti tedesche, cioè a immagine e somiglianza del marco, una delle monete più forti e stabili al mondo insieme al franco svizzero e allo yen giapponese. L’euro, in quanto moneta creata per essere forte e stabile, come il marco, non solo contrasta l’inflazione ma è intrinsecamente deflattivo e comprime lo sviluppo della maggior parte dei paesi dell’eurozona. Tuttavia per l’industria tedesca, molto competitiva, l’euro è una moneta debole, svalutata rispetto al vecchio marco, e favorisce perciò il surplus commerciale con l’estero. Grazie all’euro, la Germania può praticare senza eccessivi vincoli la sua politica mercantilistica: e con i suoi surplus esporta disoccupazione e deflazione.
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Cosa ci insegnano le "Tesi di Lione"
di Eros Barone
Se il socialismo scientifico segnò una svolta dì portata decisiva nella storia del movimento operaio internazionale, scoprendo l'"algebra della rivoluzione", non vi è dubbio che le tesi del III congresso del P.C.d'I. (denominazione, questa, che non è affatto equivalente a quella di PCI, giacché indica non un partito nazionale, ma la sezione nazionale di un partito mondiale), tenutosi in condizioni di illegalità a Lione tra il 20 e il 26 gennaio 1926, costituiscano la più avanzata e matura formulazione, attraverso un organico sistema di equazioni, del problema della rivoluzione proletaria nella storia del movimento operaio italiano.
In effetti, a chiunque chieda quali siano i testi con cui sia possibile formarsi un'idea esatta dell'autentica tradizione comunista, proletaria ed internazionalista, del nostro Paese non si può che consigliare di leggere e rileggere, cioè studiare, questo scritto fondamentale che segnò la vera nascita teorico-politica del P.C.d'I., sia come attiva sezione dell'Internazionale Comunista sia come fattore operante della dinamica nazionale, attraverso la rottura con l'estremismo settario ed opportunista di Bordiga [1].
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L’ideologia della governance
di Olimpia Malatesta
Alcune riflessioni sull’Europa e sull’ordoliberalismo a partire da un libro recente
«Governance» è una delle parole maggiormente utilizzate nel lessico politico contemporaneo. Ricorre con frequenza nei documenti ufficiali dell’OCSE, della Banca Mondiale e dell’Unione Europea e designa il passaggio dalle forme decisionali verticistiche e «Stato-centriche del policy making (tipiche del fordismo)» a forme di coordinazione politica ed economica orizzontali in cui i programmi da attuare vengono concordati attraverso reti che intrecciano diversi livelli: locale, regionale, statale, europeo e globale. Inserendosi nell’ampio novero di studi governamentali sul neoliberalismo, il libro di Giuliana Commisso, dal titolo La genealogia della governance: Dal liberalismo all’economia sociale di mercato (Asterios, 2016), si pone l’obiettivo di far luce sul significato e i limiti della governance, espressione nient’affatto disinteressata di un mondo che si vorrebbe post-ideologico. A tale scopo l’autrice individua nelle categorie concettuali foucaultiane lo strumento più adatto per ripercorrerne l’origine e si cimenta in un impegnativo riepilogo dei principali nodi teorici del pensatore francese, riuscendo a restituire la complessità del «dispositivo potere-sapere», a ricostruire la nascita della ragion di Stato nella sua accezione di pratica di governo e ad evidenziare il passaggio da questa alla governamentalità liberale prima e a quella neoliberale poi.
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Donald Trump, «vedette» pseudopopulista della società dello spettacolo
di Michele Nobile
1. La questione Trump
È normale che le elezioni presidenziali negli Stati Uniti alimentino aspettative e timori nei confronti di questo o quel candidato al ruolo di leader della superpotenza mondiale. Tuttavia Barack Obama e Donald Trump hanno suscitato reazioni emotive fuori dell’ordinario e cariche di un’enorme valenza politica. Da Obama, il messia nero, tanti si aspettavano la liquidazione del cosiddetto neoliberismo, allora sprofondato nella più grave crisi del dopoguerra, e un nuovo New Deal. A Trump è invece imputato l’intento di voler operare un fondamentale cambiamento del sistema politico degli Stati Uniti, di voler alterare, se non la sacrosanta e più che bicentenaria Costituzione formale, la Costituzione materiale del Paese; da qui i discorsi su un nuovo regime variamente aggettivato: populista, autoritario, bonapartista, criptofascista, fascista… E ciò non soltanto per via delle sue proposte ma - forse ancor più - per l’impressione suscitata dal suo stile comunicativo, dall’immagine che egli ha voluto trasmettere.
Se la memoria non m’inganna un tale livello di emotività, che potrebbe dirsi isterico, non si verificò neanche a proposito delle elezioni di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan, una coppia che realmente segnò una discontinuità storica.
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Il lavoro ai confini dell’Europa
di Devi Sacchetto
Per un lungo periodo le analisi sulle trasformazioni produttive si sono concentrate sullo spostamento delle strutture produttive dal cosiddetto nord al sud del mondo. In particolare a partire dal 1990, lo spostamento di capitali dall’Europa occidentale, Nord America e Giappone verso l’Asia, l’Europa orientale e l’America Latina ha subito una forte accelerazione grazie soprattutto alle imprese multinazionali. Negli anni più recenti, tuttavia, alcuni studi basati sulle catene del valore e sulle reti di produzione globali (Barrientos et. al. 2011; Henderson et al. 2002) hanno sottolineato come le strutture produttive si siano articolate, anche geograficamente, in modo molto complesso. In questo articolo presentiamo i risultati di due ricerche rispettivamente sul settore elettronico e su quello delle calzature, per evidenziare come le reti produttive globali si sviluppino non solo dal nord al sud del mondo, ma anche in direzione inversa. In particolare sosteniamo che l’organizzazione di queste reti è basata sul contesto socio-istituzionale delle diverse aree mondiali e sulla composizione della forza lavoro.
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Merito fra dono e debito
di Renata Puleo
Breve biografia di una parola e del suo successo. E’ possibile meritare qualcosa, che sia premio o castigo, senza il concorso dell’Altro?
Nel mio gruppo – da quando abbiamo iniziato a lavorare sulla valutazione, sull’INVALSI, sul servizio nazionale di valutazione – ci siamo sempre mantenuti su due piani di ricerca.Con appartenenze politiche e sindacali diverse e un retroterra marxista in comune, abbiamo puntato la barra sui cambiamenti antropologico culturali indotti dal neoliberismo, cornice senza la quale è impossibile comprendere quel che è avvenuto e avviene nella scuola. In questo orizzonte di senso abbiamo lavorato agli aspetti tecnici, ai dispositivi: i test, i frameworks europei, le guide a questo e quest’altro, provando a smascherarne la falsa ideologia scientifica, oggettiva, che li ispira.
Anche oggi, nella comunicazione che segue, mi muoverò su due livelli, una disamina sul merito, come metafora funzionale alla elaborazione di un consenso idiota, nel senso che non sa le parole, e un breve commento di carattere giuridico in cui, di quelle stesse parole, proverò a dare eco.
* * * *
Due parti, diverse per registro e per riferimenti. In entrambe gli attori sono quelli che si muovono intorno alle vicissitudini del merito, come parola chiave e complesso di pratiche.
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Quanto lunghe sono le nostre radici?
di Pierluigi Fagan
Riflessioni sulla lettura di D.L.Smail, Storia profonda, Bollati Boringhieri, Torino, 2017
Daniel Lord Smail, professore ad Harvard, ha ereditato dal padre (a sua volta professore di storia) una passione istintiva per la -grande storia naturale dell’umanità-. Portata avanti l’indagine nei corsi si è risolto a buttare giù una introduzione per un volume di storia naturale che ne riportasse i contenuti ma poi si è accorto che l’una e l’altra, introduzione e storia, metodo e contenuto, avrebbero dato vita al classico mattone sulle seicento pagine. Ha quindi deciso di scrivere una libro di sola riflessione metodologica sull’ipotesi di “storia profonda”, la riunificazione di tutti i domini della storia (geologia, biologia, paleoantropologia, linguistica e storia dei fatti umani) alla ricerca di quel sfuggente oggetto che è la fenomenologia dell’umano.
Il tempo che prendiamo in esame, la sua durata o estensione, è la condizioni di pensabilità prima della profondità storica. Darwin non avrebbe mai potuto intuire e poi sviluppare la sua teoria, se poco prima i geologi non avessero cominciato a dilatare a dismisura il tempo naturale. Fu in un certo senso, lo sviluppo urbano a portare a quegli scavi da cui affiorarono resti atipici di animali che infiammarono il dibattito sulle classificazioni ai tempi di Cuvier.
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Ideologia
di Salvatore Tinè
La nozione di ideologia è una delle categorie fondamentali del pensiero di Marx e di Engels. In particolare essa svolge un ruolo molto importante nel processo di elaborazione e di genesi della concezione materialistica della storia. Il superamento e la critica da parte di Marx e di Engels delle posizioni filosofiche e politiche del gruppo della cosiddetta “sinistra hegeliana”, alla metà degli anni ’40 dell’Ottocento, prende le mosse, infatti dalla nozione di “ideologia tedesca”. Con essa i due fondatori del materialismo storico intendono evidenziare il carattere essenzialmente speculativo e soggettivistico del pensiero filosofico-politico dei “giovani hegeliani” e in particolare della loro pretesa di avviare un processo di rinnovamento sociale e politico della Germania sul mero terreno delle “idee” e della “filosofia”. Nel primato della filosofia rivendicato dalla sinistra hegeliana Marx ed Engels individuano un fondamentale elemento di continuità con l’idealismo di Hegel e insieme il riflesso della condizione di arretratezza sociale e politica della Germania rispetto alla Francia e all’Inghilterra. In realtà una critica reale, effettiva dell’ordine di cose esistente non può non presupporre per loro la fuoriuscita dal terreno della filosofia e del “pensiero puro”.
La critica tedesca – scrivono Marx ed Engels nell’Ideologia tedesca – non hai abbandonato, fino ai suoi ultimi sforzi, il terreno della filosofia.
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Il debito pubblico grava sulle generazioni future?
Molto, molto meno dell'euro, mr Moscovici
di Quarantotto
1. L'immancabile Repubblica, adiuvata criticamente dalla Stampa, riporta la ormai nota (quanto trita) replica di Moscovici all'uscita di Renzi sull'aggiramento/modifica del fiscal compact:
Accoglienza tiepida se non fredda a Bruxelles per la proposta lanciata da Matteo Renzi di tenere il deficit al 2,9% per cinque anni per liberare risorse per spingere la crescita economica. "È interesse dell'Italia continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico che pesa sulle generazioni future e impedisce di investire: ogni euro per far fronte al debito è un euro in meno alla scuola, agli ospedali, all'economia", ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici prima di entrare all'Eurogruppo.
Soffermiamoci, per l'ennesima volta, sul concetto espresso nella parte evidenziata della dichiarazione (in automatico) di Moscovici.
C'è un punto che i giornaloni si guardano bene dal cogliere, limitandosi a lamentarsi genericamente che la reazione delle istituzioni UE sarebbe stata nettamente diversa, e ben più possibilista, se fossero stati Macron o la Merkel a sollevare la questione del "ritorno a Maastricht" (ipotesi altamente inverosimile, dato che il fiscal compact è il figlio necessitato delle programmatiche asimmetrie provocate dall'euro).
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Razzismo operaio: necessità di chiarezza
di Michele Castaldo
Non da oggi la questione degli immigrati è una questione centrale nel dibattito politico. Fiumi di inchiostro per “analizzare” il fenomeno e non mancano, ovviamente, proposte per risolvere il problema. Ma sempre dal punto di vista di chi quel fenomeno lo “subisce”. Il mio punto di vista differisce anche da chi da sinistra e dall’estrema sinistra lo affronta con la testa per terra e le gambe all’aria.
E’ noto anche a chi ha frequentato poco o per niente le università che fin dall’Impero Romano venivano fatti affluire nelle città che si espandevano centinaia di migliaia di schiavi dal Nord Africa, cioè operai che dovevano erigere opere colossali senza mai comparire per il loro contributo nella storia in quella fiorente civiltà. La cosa è proseguita per tutti i secoli successivi sempre con lo stesso criterio: pagare il meno possibile la mano d’opera perché risultasse meno costoso il prodotto finito. Citerei per tutti l’esempio di quel Brunelleschi che licenziò tutti gli operai che costruivano la cupola della Basilica di Santa Maria del Fiore a Firenze semplicemente perché chiedevano maggiore protezione per le impalcature, visto che morivano tutti i giorni per cadute dovute alle precarie condizioni di lavoro e ricevevano come premio una bara di legno per la sepoltura.
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Sulla confusione fra le funzioni di "misurazione dei valori" e di "modello dei prezzi"
di Eleutério F. S. Prado
La questione del denaro, nell'opera matura di Marx, è stata oggetto di grandi controversie. E non sembra che siano arrivate alla fine. Si cerca qui di compiere uno sforzo per chiarire la confusione fra il denaro inteso come "misura del valore" ed il denaro visto come "modello per i prezzi". Si ritiene che questo qui pro quo si trovi all'origine della tesi secondo cui la teoria del denaro di quest'autore sia diventata anacronistica. Da una parte, si pensa che, per Marx, il denaro si configuri soprattutto, necessariamente, come una merce reale, ad esempio l'oro. E che la cartamoneta, per il fatto di non essere niente di più che una rappresentazione del denaro-oro in circolazione, dev'essere per questo ufficialmente convertibile in quello. Dall'altro lato, si vede che il denaro circolante oggi risulta essere puramente fiduciario, vale a dire, come non convertibile in oro. Il testo che segue sostiene non solo che quest'opinione è sbagliata, ma afferma anche che gli argomenti sostenuti da Marx vengono in generale equivocati
1. Introduzione
La questione del denaro nell'opera matura di Marx è stata al centro di controversie che non appaiono essere arrivate ad una conclusione positiva. Lo stesso denaro, in quanto una delle categorie più centrali delle teorie che si sforzano di cogliere il capitalismo, è stato al centro di polemiche interminabili. Marx stesso sottolinea nella sua opera maggiore, facendo riferimento al suo stesso tempo ed ai migliori autori, che in generale mancava chiarezza nella comprensione di questo oggetto misterioso. Ora, sembra che il passare del tempo non abbia migliorato tale situazione che - sembra, al contrario - è peggiorata e di molto.
È noto che esistono autori non marxisti e perfino autori marxisti che ritengono inadeguata, per la comprensione di questa forma sociale nel capitalismo contemporaneo, la teoria del denaro che si trova nel Capitale.
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Eurostop e i tre No
di Alba Vastano
La Piattaforma Eurostop diventa un movimento sociale e politico. La sfida è “cambiare il Paese con i tre No all’Euro, all’Unione Europea, alla Nato”: analizziamo come e perché
E’ il primo Luglio e al CSOA Intifada di Roma si parla di euro, di Ue e di Nato. Tre spine nel fianco per la libertà dei popoli e per la loro sovranità, a cui rispondere No, perentoriamente NO. Tra i relatori, Giorgio Cremaschi (ex Fiom), Manuela Palermi (Pci), Sergio Cararo (Rete dei comunisti) e Paola Palmieri (USB). Alle cui analisi sul tema si sono susseguiti numerosi interventi di alcuni protagonisti del mondo politico, giuridico, sindacale e sociale fra cui il giurista Paolo Maddalena, Ugo Boghetta e Bruno Steri (ex Prc) e il sociologo Carlo Formenti, nel corso della lunga mattinata che termina con la votazione degli aderenti ad Eurostop sulle carte costituenti vertenti su identità, programma e modello organizzativo.
L’atto costituente ha trasformato quella che era una Piattaforma Sociale nata già due anni fa in un movimento sociale e politico che si batte per l’abbandono dell’Euro e la rottura della UE e della NATO. Temi centrali che spaccano l’opinione pubblica dando adito ad alcune domande. La questione della sovranità popolare ha ancora senso oppure è “superata” dall’Unione Europea? L’economia capitalistica mondializzata ha prodotto il sorgere anche di un polo imperialista europeo?
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Cose degli altri mondi. Saperi e pratiche del divenire umani
di Lelio Demichelis
Proponiamo, per gentile concessione dell’Editore Colibrì, l’introduzione di Lelio Demichelis (sociologo e studioso del fenomeno tecno-capitalista nei suoi molteplici aspetti) al nuovo libro a sei mani di Piero Coppo, Stefania Consigliere e Paolo Bartolini “Cose degli altri mondi. Saperi e pratiche del divenire umani”.
Piero Coppo è medico, neuropsichiatra e padre dell’etnopsichiatria in Italia, Stefania Consigliere è filosofa e ricercatrice in Antropologia presso l’Università di Genova, Paolo Bartolini è analista filosofo e collaboratore di Megachip.
Buona lettura!
«Perché mai gli sfruttati non si ribellano? E se la radice di ogni valore (e in primis proprio quello del denaro) sta nell’immaginario degli umani, perché sembra impossibile uscire dall’orizzonte capitalista? L’elemento più inquietante di tutti è, infatti, proprio quest’adesione collettiva alla catastrofe, l’assenso alla nostra servitù», scrive Stefania Consigliere.
E ancora: «C’è un divenire capitale degli umani (e un prender forma umana da parte del capitale) che è la parte più temibile di tutta questa storia (…): siamo la punta più avanzata di un colossale esperimento di cattura delle anime, che non passa più solo per l’imposizione violenta, come avveniva nel dominio classico, ma per l’adesione – rassegnata o entusiasta – a un regime pulsionale e concettuale molto soft, che si presenta come la quintessenza della libertà stessa. (…). Qualcosa che, svuotando i soggetti delle loro forze, li assoggetta a un volere esterno e malevolo.
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Introduzione al «Capitale»*
di Karl Korsch
I. Come l’opera di Platone sullo Stato, il libro di Machiavelli sul Principe, il Contratto sociale di Rousseau, anche l’opera di Marx, Il capitale deve la sua grande e duratura efficacia al fatto che ad una svolta storica ha colto ed espresso in tutta la sua pienezza e profondità il nuovo principio irrompente nell’antica configurazione del mondo. Tutti i problemi economici, politici e sociali, attorno ai quali si muove teoricamente l’analisi marxiana del Capitale, sono oggi problemi pratici che muovono il mondo e intorno ai quali viene condotta in tutti i paesi la lotta reale delle grandi potenze sociali, gli Stati e le classi. Per aver compreso a tempo che questi problemi costituivano la problematica determinante per la svolta mondiale allora imminente, Karl Marx si è rivelato ai posteri come il grande spirito preveggente del suo tempo. Ma neppure come massimo spirito del suo tempo egli avrebbe potuto cogliere teoricamente questi problemi e incorporarli nella sua opera, se essi non fossero già stati nello stesso tempo posti in qualche modo anche nella realtà di allora, come problemi reali. Il destino singolare di questo tedesco del Quarantotto fece sì che egli, scagliato fuori dalla sua sfera d’azione pratica dai governi assoluti e repubblicani d’Europa, grazie a questo tempestivo allontanamento dalla retriva e limitata situazione tedesca, venisse inserito proprio nel suo autentico peculiare spazio storico d’azione.
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