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lanatra di vaucan

Contro la Movida

di Riccardo Frola

A Torino, dopo i gravi fatti di ordine pubblico in piazza San Carlo e dopo gli scontri avvenuti nel quartiere Vanchiglia tra “popolo della notte” e forze dell’ordine, i centri sociali vicini al sito www.infoaut.org, che un anno fa avevano appoggiato l’elezione dell’attuale sindaco cinque stelle Chiara Appendino, sconvolti dal fatto assolutamente inedito che ”le promesse della campagna elettorale vengano disattese una dopo l’altra”, tentano un’analisi dei tafferugli. Per spiegarsi il fenomeno incomprensibile per cui, agenti del reparto celere, improvvisamente, in tenuta antisommossa, abbiano iniziato a caricare alla cieca fra i tavolini dei locali della movida famiglie, bambini, studenti ed occupanti dell’Askatasuna, proprio per far rispettare un’ordinanza della sindaca, i redattori di infoaut ricorrono alla teoria del complotto: “la sindaca, i suoi assessori e i suoi consiglieri continuano a cadere volentieri in (…) trappole, (…)  innescate dalle opposizioni con polemiche sterili o (…) attrezzate con molta più furbizia da questura e prefettura”1 .

Anche se l’analisi di Infoaut non è del tutto ignara delle vere cause dei disordini, tutte legate alla gestione della crisi economica, i redattori sembrano non riconoscere che, qualunque sia il rappresentante provvisorio installato nei suoi parlamenti (anche se appoggiato dai più radicali fra gli anticapitalisti), “in tempi di crisi, lo Stato si ritrasforma in quello che era nei tempi del suo debutto storico: una banda armata”2 .

Le successive riflessioni sulla gentrificazione dei quartieri di San Salvario e Vanchiglia e sul “mercato enorme ”rappresentato dai consumi del “popolo della notte” proposte dal sito, per quanto non originalissime, sono condivisibili: è certamente vero che “le istituzioni non solo erano consapevoli (…), ma hanno investito scientificamente sulla trasformazione di queste zone di città per alimentare il capitalismo dei consumi che dopo la crisi dell’industria è diventato il paradigma centrale della nostra città.”

Ma ciò che non convince, dell’analisi dei centri sociali, è proprio il giudizio profondo sul fenomeno della movida, interpretato come una “sfera della vita, quella del divertimento, che dovrebbe essere serena e spensierata”, e che sarebbe invece compressa in alcune zone della città da imprenditori senza scrupoli e turbata ”dai corvi con le divise blu che setacciano le piazze”.

Il “popolo della notte”, che si riversa urlante ogni notte nelle strade della città (e del paese), non è affatto prerogativa dei quartieri gentrificati. Nelle periferie, anche in quelle più degradate come -per restare a Torino-, la Barriera di Milano, si assiste semplicemente ad una variante plebea della movida che ha le stesse caratteristiche di quella patrizia dei quartieri bene: gruppi di centinaia di persone che dissipano il tempo della propria esistenza fra schiamazzi,  microcriminalità, partite di pallone e cori da stadio. Nulla di nuovo, se già nel 1961 ci si poteva imbattere nel fenomeno -e nella sua critica- fra le pagine di Internazionale situazionista: “La società dei consumi e del tempo libero è vissuta come società del tempo vuoto, come consumo del vuoto. La violenza che essa ha prodotto (…) costringe già la polizia di numerose città americane ad istituire un coprifuoco per i minori di diciott’anni” .

La movida è piuttosto un sintomo “sereno e spensierato” della decomposizione del capitalismo industriale e della società del lavoro. Il “popolo della notte” è anzitutto un popolo di disoccupati, una maschera di carattere della crisi economica. Il caso di Torino è, al riguardo, esemplare. La città, soltanto pochi anni fa, ai tempi della piena occupazione garantita dalla Fiat, era considerata una città grigia con un centro storico silenzioso come un bosco sperduto: la popolazione, irreggimentata dai ritmi di fabbrica, andava a letto non più tardi delle dieci di sera. Era il mondo in cui, secondo Vaneigem, la garanzia di non morire di fame era stata scambiata con il rischio di morire di noia. Nel mondo radicalmente diverso della movida, a forza di divertirsi, si tornerà presto a morire di fame.

Se “Il problema principale del capitalismo non è più lo sfruttamento, ma piuttosto la massa crescente di esseri umani ‘superflui’: di persone che non sono più necessarie alla produzione”3 , la movida è anche la tragica rappresentazione di come questi “superflui”, liberati involontariamente e dall’alto dal tempo di lavoro, consegnati alle “forme superiori di analfabetismo” (sempre Internazionale situazionista) garantite dall’insegnamento universitario, non soltanto non dimostrino maggiori qualità e intenzioni rivoluzionarie dei loro nonni proletari e dei loro padri piccoloborghesi; ma addirittura rivendichino il “consumo del vuoto” e la superfluità sociale come un diritto.

Si delinea quello scenario anticipato da Anselm Jappe, per cui “le persone, le regioni e le comunità che sono in grado di prendere parte ai ‘normali’ cicli di produzione e consumo, stanno diventando sempre più come ‘isole’ in un mare crescente di reietti che non vale più neanche la pena di sfruttare”4 . Reietti “sereni e spensierati”, che chiedono almeno il diritto ad una birra annacquata sottocosto. Un mondo in cui “alle popolazioni ‘superflue’ e tendenzialmente pericolose sarà destinato un miscuglio di nutrimento sufficiente e di intrattenimento, di entertainment abbrutente, per ottenere uno stato di letargia beata simile a quella del neonato che ha bevuto dai seni della madre. In altre parole, il ruolo centrale che svolge tradizionalmente la repressione per evitare i sovvertimenti sociali viene ormai largamente affiancato dalla infantilizzazione5 .

Ecco perché, se la reazione alla gestione brutale e poliziesca della crisi è sacrosanta; la lotta per il “diritto alla movida” ha invece tratti francamente reazionari e contrari all’emancipazione.


Note:
1. http://www.infoaut.org/metropoli/movida-balbettii-e-manganelli-loro-parlano-di-polizia-noi-parliamo-di-bisogni
2. Anselm Jappe, http://www.palim-psao.fr/article-34399246.html
3Anselm Jappe, http://francosenia.blogspot.it/2014/05/origini.html
4Anselm Jappe, ibidem.
5Anselm Jappe, http://www.exit-online.org/textanz1.php?tabelle=transnationales&index=4&posnr=157&backtext1=text1.php

Comments

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Mario Galati
Thursday, 29 June 2017 14:46
Alle interessanti cose dette da Eros Barone aggiungerei che la cultura iconografica favorisce il processo di infantilizzazione delle masse-consumatrici, più facilmente manipolabili e controllabili. A detta dei neuropsichiatri, la verbalizzazione e la letto-scrittura attivano specifiche aree del cervello e ne favoriscono la complessità e le capacità logiche. La visione, invece, è immediata e legata più all'emotività e all'irrazionalità. La comunicazione verbale e scritta, almeno non nelle forme povere e degradate dei social network, necessita di elaborazione e favorisce l'attività speculativa, non in senso metafisico. Se aggiungiamo, poi, che prevale sempre più la diffusione della cultura pragmatista-behaviorista di stampo anglosassone, intimamente conservatrice, possiamo capire una sempre maggiore difficoltà delle persone a ragionare, a dare letture complessive, non dico totalitarie, come occorrerebbe, della realtà, a "speculare", cioè a prefigurare scenari futuri e diversi, a concepire sviluppi, dialetticamente. Come si vede, la cultura della visione incide sull'emotività e sulla funzione intellettiva, per quanto sia lecito separare queste due sfere. E tutto ciò nella società dello spettacolo, nella rappresentazione dell'eterno paese di cuccagna dell'emancipazione illusoria. Non so se c'entra molto con quanto richiamato da Barone.
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Eros Barone
Thursday, 29 June 2017 00:02
Vorrei proporre un percorso di ricerca su alcuni aspetti della modernità richiamati in questo articolo. Il titolo di questo percorso potrebbe essere il seguente: la simbiosi tra l’‘emancipazione accidiosa’ e la 'cultura del narcisismo' (mi riferisco ovviamente al fondamentale saggio di Christopher Lasch). Si tratta di un paradigma culturale che, per un verso, emerge dalla 'decomposizione' del capitalismo industriale e, per un altro verso, è così attraente, avvolgente e affabile che è difficile resistergli. Provo a delineare alcune facce di questo paradigma.
La prima è l’uso dissipativo del tempo libero, la ‘carnevalizzazione’ della maggior parte del nostro tempo libero e anche di buona parte del tempo occupato. Un altro aspetto importante della simbiosi tra ‘emancipazione accidiosa’ e ‘cultura del narcisismo’ è poi l’esaltazione esplosiva del ruolo della visione e dell’occhio nella conoscenza e nel rapporto fra le persone. Vale allora di pena di osservare che la visione, pur essendo uno dei nostri sensi fondamentali, è, alla fin fine, il senso più cinico che abbiamo. Infatti, noi possiamo, spostando appena lo sguardo, ignorare che qualcuno ci muore accanto oppure, con l’aiuto della mediazione arcitecnologica della televisione che trasforma tutto ciò che vediamo in qualcosa di falso, possiamo guardare una catastrofe come se fosse uno spettacolo. Occorre, perciò, prestare molta attenzione alla fenomenologia della visione e alle conseguenze che l’esplosione del codice visivo determina nella nostra conoscenza e anche - questo è l’ultimo aspetto - nella evoluzione delle nostre passioni.
In definitiva, quella simbiosi ha generato degli effetti anche nella sfera interiore: la crisi della compassione e la virtuale scomparsa della vergogna, segnalate da diversi osservatori a partire da Zygmunt Bauman, sono in tal senso due indicatori di straordinario interesse. Il catalogo delle passioni, elaborato da filosofi, scrittori e artisti, da tutti coloro che hanno riflettuto o creato a ridosso delle passioni, deve essere pertanto rivisto. La vergogna è scomparsa, la compassione anche. È abbastanza evidente che vi è una relazione tra questa rielaborazione dell’ordine delle passioni e l’importanza assunta dal vedere. A forza di vedere, tutto ciò che vediamo ci appare come estraneo a noi stessi. L’idea lucreziana del ‘naufragio con spettatore’ è una potente rappresentazione di questa situazione: lo spettatore può guardare un naufragio sapendo che non lo coinvolge, che è lontano da lui e, quindi, può goderselo fino in fondo come spettacolo straordinario. È un’immagine che può essere facilmente riportata ai nostri tempi.
In conclusione, è importante, come fa lo stesso Frola con il suo approccio antropologico-dialettico, spostare il ‘focus’ dell’analisi dalle strutture ai soggetti. Così, oggi è molto importante cercare di capire perché nel capitalismo contemporaneo si sia determinata una frattura tra la dimensione materiale e la dimensione simbolica, perché soggetti che sono radicati in determinate strutture materiali abbiano una mentalità così distante dalla loro condizione economica e sociale e donde attinga la sua potenza quel processo, se non degenerativo certamente regressivo, dello "homo sapiens sapiens" che, nel mondo occidentale e, ormai, anche nel mondo extraoccidentale, alimenta un complesso di egemonie e di politiche.
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Mario Galati
Monday, 26 June 2017 20:20
Il reddito garantito di cittadinanza aiuterà questi reietti a comprarsi le birre annacquate della movida, in attesa che vengano chiamati a svolgere qualche lavoretto precario. Ma i teorici della fine del lavoro sono convinti che la disoccupazione più il reddito garantito favoriranno l'ozio creativo, non il consumo del vuoto e lo svuotamento del cervello e della dignità di uomini.
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