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Nonostante Gramsci

Recensione di Matteo Contu

Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, E-ISSN 2531-9582, n° 1-2/2016, dal titolo "Questioni e metodo del Materialismo Storico" a cura di S.G. Azzarà. Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/621/572

Se non diversamente indicato, questi contenuti sono pubblicati sotto licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.

Marco Gatto: Nonostante Gramsci. Marxismo e critica letteraria nell'Italia del Novecento, Quodlibet, Macerata 2016, pp. 192, ISBN 978-88-7462-945-9.

Il libro di Marco Gatto – pubblicato a giugno per la casa Quodlibet di Macerata – indaga il rapporto tra la critica letteraria marxista in Italia e gli spunti (perché soltanto di questo si può parlare) che Gramsci ha saputo offrire su questo tema ai lettori delle sue note carcerarie. Nonostante Gramsci è l'emblematico e suggestivo titolo dell'ultima pubblicazione del ricercatore calabrese che già in passato si era occupato della teoria culturale (prevalentemente letteraria) di ispirazione marxista e del suo declinare, a partire dagli anni Settanta, in àmbiti critici eterogenei ma decisamente più “levigati”, come i Cultural Studies o il decostruzionismo.

Senza correre il rischio di anticipare le conclusioni, ampiamente prevedibili, cui giunge il libro, si deve dire che l'obiettivo dichiarato dell'autore è qui leggere la critica letteraria dal Dopoguerra alla luce di un “tradimento” delle indicazioni gramsciane che pure avviene da parte di un marxismo italiano «forse meno gramsciano di quanto abbia amato credersi» (p. 12). È, infatti, un rapporto di attrazione-repulsione nei confronti dell'intellettuale sardo quello a cui danno luogo gli esponenti principali di una critica sulla quale il giudizio non può non essere in ultima analisi negativo. E un'atmosfera di disillusione è anche quella che si staglia sui lettori col passare delle pagine, almeno per coloro che sentono in maniera non distaccata il peso degli avvenimenti storici (quasi sempre taciuti) che fanno da sfondo al mai saldato legame tra intellettuali e masse, ovvero, in altri termini, fra la critica letteraria e la «questione della direzione politica e dell'emancipazione di classe» (p. 9), secondo la posizione espressa dallo stesso Gramsci.

La particolarità di questa pubblicazione sta tuttavia soprattutto nella scoperta di un «deficit storico tutto italiano» interno alla critica letteraria. Il percorso del libro prende le mosse da un'indagine degli scritti gramsciani – quasi esclusivamente quelli carcerari, nonostante non siano di poco conto gli articoli giovanili del pensatore sardo su questo argomento – considerando due punti fermi della sua trattazione necessariamente asistematica: «la distinzione tra critica artistica e critica politica» (p. 17) e la lettura di ogni fenomeno culturale come parte di un complesso sociale (da considerarsi nella sua totalità) e come elemento per l'affermazione di una lotta politica egemonica tra visioni culturali differenti.

Per meglio comprendere entrambi gli aspetti appena citati è necessario fare riferimento al concetto gramsciano di «umanesimo integrale», attraverso il quale sia il giudizio estetico (specifico di un'opera) sia quello politico-morale (relativo al suo contesto storico-sociale) vengono mantenuti ma anche superati dalla «critica letteraria al servizio della filosofia della praxis» (p. 23).

Gatto rinviene la superiorità della critica di Gramsci rispetto ai suoi continuatori nell'utilizzo da parte del primo delle categorie hegelo-marxiste di «dialettica» e di «totalità», che permettono al prigioniero sardo di considerare l'opera d'arte nella sua storicità e al di fuori degli opposti meccanicismi idealistico e materialistico-sensistico: il primo prevalente in Croce e nella sua concezione dell'arte come fenomeno trascendente, il secondo proprio di una concezione settecentesca, ciò che dà luogo ad una meccanica causazione tra contesto sociale e opera d'arte. D'altronde Gramsci deve lottare contro una concezione privilegiata dell'arte e in primo luogo della letteratura, la quale in Italia assume vieppiù «le sembianze di un'opzione classista e di casta» (p. 45); ma ciò non è altro che espressione viva del “cosmopolitismo” degli intellettuali italiani che genera distacco e incapacità di una manifestazione artistica popolare, o meglio «nazionale-popolare».

Modello della critica portata avanti da Gramsci è senza dubbio Francesco De Sanctis e la sua “militanza” critica, il suo non essere astrattamente “intellettuale”, ma fervido combattente in campo culturale. È proprio grazie al confronto con De Sanctis che Gramsci tiene viva la capacità di coniugare – in maniera pienamente dialettica – l'universale nel particolare, ossia nel «nazionale-popolare», solo luogo in cui l'universalità della forma artistica assume valenza storica concreta.

Infine, nell'analisi della critica letteraria gramsciana non mancano i confronti con Ungaretti e il «neolalismo», verso i quali Gramsci ha parole demolitrici, con il futurismo e D'annunzio, ma anche con Manzoni (ed il suo paternalismo aristocratico), e soprattutto con Dante e Pirandello: due esempi, questi ultimi, entrambi analizzati sia nel periodo giovanile che nei Quaderni, che dimostrano la profondità dell'indagine letteraria dell'intellettuale sardo, non confinata nella “torre d'avorio” del comune critico.

Nei successivi capitoli l'autore disegna lo scenario dell'opera di ricostruzione da parte della critica letteraria del Dopoguerra, dovendosi essa muovere in un contesto sociale del tutto rinnovato rispetto agli anni precedenti. Se il riferimento a Gramsci da parte di una certa generazione di critici è quasi d’obbligo, in realtà Gatto non può che rilevare come il “gramscismo” si sia realizzato in una «formula di supporto o una forma congelata di impegno generico» (p. 74). Avviene così che anche il richiamo ad un certo realismo, evidente ad esempio nella letteratura resistenziale, sia invece una riproposizione dell'autonomia del fatto letterario rispetto ad una realtà contraddittoria. È il caso del romanzo Metello di Pratolini, in cui forte è l'assenza della dialettica di classe, secondo la chiave di lettura di Carlo Muscetta, cosicché può dirsi, per l'autore, che alcune opere del neorealismo (insieme alla letteratura dedicata al problema del Meridione) siano da annoverare fra quegli «esperimenti fin troppo letterari» (p. 97) rei di rinnovare il distacco intellettuale dalle masse.

La critica letteraria di Franco Fortini, nonostante si sappia parte di questo problema, non riesce a fuoriuscire dalla logica di distacco e soprattutto di oblio dei concetti di totalità e dialettica. È tuttavia con Alberto Asor Rosa che si procede alla liquidazione della lezione di Gramsci. Non a caso il 1965 viene individuato da Gatto come una data-soglia: questo è infatti l'anno di pubblicazione di Scrittori e popolo, vero e proprio «classico dell'antigramscismo degli anni Sessanta» (p. 112), nel quale più accentuate appaiono le critiche al moralismo della letteratura popolare e, in generale, all'umanesimo, sintomo di un più ampio attacco che in questi anni l'operaismo muove sul piano filosofico allo storicismo e alla dialettica e, sul piano politico, al PCI. Tuttavia la posizione di Asor Rosa non intende presentare un'alternativa alla cultura borghese che rappresenta per ciò stesso il punto più alto e, insieme, di dissoluzione della critica culturale, sostituita dallo «sbilanciamento consapevole sulla prassi» e dalla «rinuncia alla teoria» (p. 122).

Se dopo il 1965 è da registrare, in ogni caso, che «un piano di emancipazione culturale alternativa al capitalismo restava un appuntamento mancato sull'agenda del marxismo italiano» (p. 145), è da considerare come una vera e propria «resistenza gramsciana» il tentativo di Arcangelo Leone De Castris di opporsi a tale logica. Gatto, del resto, privilegia esplicitamente la posizione del critico pugliese rispetto a quelle di Fortini e di Asor Rosa, ambedue lontane dai concetti critici di Gramsci. Anche con De Castris tuttavia la critica permane sul piano dell'annotazione di un processo di progressiva «autonomizzazione», la quale ultima diventa «la forma ideologica della critica letteraria», che ora non può che esemplificare «l'idea di una totalità sociale esplosa» (p. 149).

Con la fine della critica marxista – cioè del sistematico benché eterogeneo complesso di teorie marxiste, certamente avvisaglia di una possibilità di alternativa in dissoluzione – si aprono deboli prospettive di utilizzo delle opportunità offerte dallo strutturalismo e dal formalismo, a patto però che esse vengano pensate come strumenti in mano al critico che sappia coniugare una visione d'insieme, come suggerito da Romano Luperini: ciò significa anzitutto la riscoperta del valore fondante della storia. In tal modo solamente sarà possibile fondare in maniera rinnovata, e su basi necessariamente gramsciane, una critica letteraria all'altezza dei tempi.

Nonostante Gramsci si dimostra un libro profondamente interessante, a partire dalla chiave di lettura (perfettamente mantenuta per l'intero corso del libro) e dalla bibliografia esaustiva che ha saputo mettere a disposizione del lettore. Gli si possono però muovere alcune critiche. A partire dai pochi rinvii agli scritti precarcerari di Gramsci, nei quali pure potevano essere trovati interessanti spunti sul tema (a cominciare forse dall'affermazione gramsciana che cultura significa organizzazione). Più importante risulta annotare che il particolare deficit italiano sembra tuttavia perdersi fra le maglie di avvenimenti che investono (lo stesso Gatto lo afferma) la totalità delle società capitalistiche avanzate. L'autore, nel commentare i suggerimenti di Luperini, annota lapidariamente: «La chiusura delle possibilità critiche corrisponde a una scomparsa del destinatario collettivo» (p. 173). Egli sembra perciò fare riferimento a un fenomeno ben più ampio e complesso: il caso italiano costituirebbe soltanto una parziale lettura, di cui però il libro di Gatto ha saputo offrire un'importante contributo.

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