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Il triangolo Berlino-Mosca-Pechino

di Mario Lombardo

Le due tappe della trasferta europea del presidente cinese, Xi Jinping, che hanno preceduto il vertice del G20 ad Amburgo hanno evidenziato ancora una volta il processo di consolidamento di blocchi strategici ed economici a livello globale sempre più svincolati dall’influenza degli Stati Uniti e dagli equilibri che avevano presieduto allo sviluppo del capitalismo internazionale nel secondo dopoguerra.

Il presidente cinese ha dapprima incontrato per l’ennesima volta Vladimir Putin a Mosca, dove i toni di entrambi i leader sono stati molto ben calibrati per dare estremo rilievo alla solidità delle relazioni bilaterali. I due hanno dato particolare enfasi al potenziale in termini di stabilità internazionale della partnership sino-russa, in contrapposizione alla portata destabilizzante della condotta americana, ancora più evidente dopo l’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump.

Molti osservatori hanno individuato nella dichiarazione congiunta di Xi e Putin sulla crisi nordcoreana un momento importante nella formazione di un’alleanza strategica in grado di confrontarsi con gli Stati Uniti. Soprattutto, la proposta di Mosca e Pechino intende gettare le basi per un negoziato che porti a una soluzione pacifica dello scontro nella penisola di Corea, mentre la condotta di Washington rischia di spingere sempre più i protagonisti del conflitto verso una rovinosa soluzione militare.

Il costante avvicinamento tra Cina e Russia in questi anni è il risultato proprio dell’evolversi della politica estera statunitense. Le minacce crescenti alla posizione internazionale degli USA hanno portato cioè la prima potenza del pianeta a esercitare pressioni sempre più forti su Mosca e Pechino, cercando di compensare militarmente una declinante influenza economica nel pianeta.

L’allargamento della NATO verso i confini russi, la promozione di un golpe neo-fascista in Ucraina, l’offensiva contro il regime di Assad in Siria tramite l’appoggio a forze fondamentaliste, assieme all’escalation di minacce alla Corea del Nord e alla militarizzazione dell’Asia sud-orientale, sono alcuni degli sviluppi che hanno contribuito in questi anni a favorire la convergenza di interessi tra Cina e Russia.

Se le posizioni tra questi due paesi restano distanti su alcune questioni tutt’altro che trascurabili, come il sovrapporsi dei rispettivi interessi in Asia centrale, i gravi contrasti che avevano segnato il periodo della Guerra Fredda sembrano tuttavia lontani, così come la possibilità per gli Stati Uniti di trarre beneficio dalle divisioni che ne avevano caratterizzato i rapporti.

A rinsaldare la partnership sino-russa vi sono ormai componenti economiche, militari ed energetiche di grandissima importanza e che vanno dagli investimenti miliardari cinesi in Russia alle sempre più frequenti esercitazioni militari congiunte, fino ai contratti colossali già siglati per forniture di gas e di armamenti a Pechino.

Più in generale, e in maniera forse ancora più preoccupante per Washington, il rafforzamento dei legami tra Mosca e Pechino si inserisce in un processo di integrazione euro-asiatica che tende ugualmente a emarginare un’America ripiegata su stessa e impegnata a tenere in vita il miraggio di un “eccezionalismo” sempre più logoro e senza senso.

Su questa dinamica ha fornito materiale di discussione la seconda tappa del viaggio del presidente cinese, ricevuto con tutti gli onori del caso a Berlino alla vigilia del G20. L’arrivo di Xi in Germania è stato preceduto da un suo commento apparso sulla stampa tedesca, nel quale ha invitato i due paesi a svolgere un ruolo costruttivo sulle questioni internazionali, chiedendo nel contempo, con un chiaro anche se indiretto riferimento a Washington, il mantenimento di un commercio e un’economia mondiale aperti come fondamento della crescita collettiva.

Ancor più che a Mosca, l’accento della visita di Xi a Berlino è stato proprio sulle questioni economiche e, in particolare, l’abbraccio da parte della cancelliera Merkel della “Nuova Via della Seta” (“One Belt One Road” o, più recentemente, “Belt and Road Initiative”), cioè il megaprogetto cinese per la costruzione di infrastrutture che dovrebbero favorire i collegamenti e la cooperazione tra i paesi eurasiatici, ha confermato l’importanza fondamentale di Pechino nello sviluppo del vecchio continente.

Anche la retorica dei leader politici tedeschi nei giorni scorsi ha chiarito le profonde divisioni che stanno emergendo tra le potenze occidentali. La Merkel ha in sostanza ribadito la necessità della Germania di non contare più sulla sola protezione dell’alleato americano, mentre nel campo socialdemocratico sono stati frequenti gli inviti espliciti a isolare l’amministrazione Trump anche nel corso del G20.

Le frizioni transatlantiche non sono peraltro cosa nuova e, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, erano già emerse drammaticamente nelle fasi che avevano portato all’invasione americana dell’Iraq nel 2003. L’agenda ultra-nazionalista del nuovo governo USA ha però ora fatto esplodere tutte le tensioni accumulate negli ultimi anni e alimentate dalla crisi economico-finanziaria del 2008-2009.

Le crescenti rivalità internazionali e il coagularsi di intese al di fuori delle alleanze tradizionali sono in sostanza il prodotto di una competizione sempre più aspra tra i grandi interessi economici dei vari paesi per l’accaparramento di nuovi mercati e fonti energetiche.

Non a caso, infatti, l’ostilità crescente nei confronti di Trump a livello internazionale è in questi mesi scaturita dalle ripetute critiche del presidente allo stato delle relazioni economiche e commerciali tra gli USA e alcuni paesi nominalmente alleati, ritenuto responsabile del declino americano. Gli strali di Trump si sono ad esempio abbattuti sui trattati di libero scambio, a suo dire svantaggiosi per Washington, con paesi come Messico o Corea del Sud, mentre proprio le aziende automobilistiche tedesche sono state accusate di “invadere” in maniera scorretta il mercato americano.

Lo stravolgimento, probabilmente ancora in fase iniziale, degli equilibri internazionali rischia di evolversi in qualche pericoloso confronto armato nel medio o lungo periodo, come conferma la tendenza alla militarizzazione tra le principali potenze del pianeta. Per il momento, le divisioni continueranno a manifestarsi soprattutto negli appuntamenti come quello del G20 del fine settimana, sempre più teatro di tensioni e rivalità che non organo collegiale per la risoluzione pacifica e condivisa dei conflitti internazionali.

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