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linterferenza

Il Fusaro hegeliano e assai poco marxiano

Fabrizio Marchi

Ci hanno chiesto di approfondire meglio e nel merito le ragioni della nostra critica a Fusaro contenuta in questo articolo http://www.linterferenza.info/editoriali/a-proposito-di-fusaro/ e allora siamo tornati sull’argomento.

A tal proposito, può aiutarci questo suo intervento a “La Zanzara” segnalatomi da un amico: https://youtu.be/7tqxMAJOrzQ

Ora, Cruciani e Parenzo (uno di destra e l’altro di “sinistra”, entrambi accomunati dall’amore per il neoliberismo), per come la vedo io, sono due nullità e anche due individui decisamente squallidi, al confronto dei quali Fusaro è sicuramente un gigante.

Ciò detto, in questa intervista a La Zanzara mi pare che il “nostro” abbia esplicitato con estrema chiarezza il suo pensiero che, a buon titolo, può essere definito borghese nel senso proprio del termine.

Fusaro fa un’operazione che dal mio punto di vista non ha senso, per la semplice ragione che è strutturalmente impossibile. E cioè separa nettamente il capitalismo finanziario da quello produttivo (tipica concezione di alcune correnti filosofiche liberali e borghesi, sia di destra che di sinistra), attribuendo una valenza negativa al primo e una valenza positiva al secondo. Come se il capitalismo finanziario (che oggi la fa da padrone nel mondo, senza però dimenticare l’enorme ruolo svolto oggi ad esempio dai grandi apparati militari industriali, quindi dal capitalismo “produttivo” ) non fosse il prodotto di quello cosiddetto produttivo. I due sono indissolubilmente legati per la semplice ragione che sono prodotti della medesima struttura. Il fatto che oggi, in questa fase storica, il capitalismo finanziario sia egemone, non significa che sia una variabile esogena, indipendente dal capitalismo “produttivo”, quello, per capirci, fondato sull’estorsione di plusvalore dal lavoro vivo. Il capitalismo finanziario è soltanto una evoluzione necessaria del capitalismo tout court in una fase come questa (ma ce ne sono state anche altre nella storia) dove la famosa caduta tendenziale del saggio di profitto tende ad essere verticale…

L’imperialismo e la guerra imperialista sono naturalmente la diretta e necessaria conseguenza di questo processo. Come tutti sanno non sono certo un ortodosso ma, sotto questo profilo, l’analisi di Lenin sull’imperialismo è tuttora attualissima, anche se, ovviamente, è mutato profondamente lo scenario internazionale.

Ora Fusaro, partendo da questo presupposto (che è strutturalmente errato), cosa fa? Propone una sorta di patto fra produttori (esattamente lo stesso che propongono sia Di Maio del M5S che Salvini della Lega Nord), cioè fra “capitalisti nazionali” e lavoratori “nazionali” che dovrebbero unirsi contro il capitalismo finanziario trans e multinazionale che starebbe distruggendo sia il lavoro che l’impresa (in particolare la piccola e la media). Cosa senz’altro vera, ma anche questa non è certo una novità, bensì è una delle inevitabili e necessarie conseguenze del processo di sviluppo capitalistico che tende da sempre a divorare la piccola e media impresa in direzione dell’oligopolio se non del monopolio. Non c’è certo necessità di scomodare Marx per spiegare concetti che sono ormai alla portata di tutti.

Capitalisti e lavoratori, spiega Fusaro, tutti uniti allegramente – mi viene da dire – contro il comune nemico, cioè quella che viene da lui stesso definita l’”aristocrazia finanziaria”, come se questa fosse appunto una sorta di variabile esogena piovuta da chissà dove e non il necessario e inevitabile risultato degli attuali rapporti di produzione capitalistici.

Capitalisti (imprenditori), continua Fusaro (cito testualmente) che “cercano di resistere, di mantenere in piedi il lavoro e l’impresa, e che vanno distinti dall’”aristocrazia” finanziaria” che non vive di lavoro ma di rendite finanziarie”.

Ora, qui c’è una questione fondamentale, non di lana caprina ma appunto strutturale. O il capitalismo si fonda sull’estrazione (o estorsione) di plusvalore dal lavoro vivo (e quindi sullo sfruttamento) oppure così non è e in tanti, a cominciare da Marx, ci hanno raccontato delle balle. Ma neanche i pensatori liberali hanno mai contestato Marx sul piano dell’analisi del capitale e delle sue dinamiche, bensì lo hanno contestato sul piano filosofico. Infatti, che l’esistenza del plusvalore sia un fatto oggettivo non è messo in discussione da nessuno. Ciò che viene messa in discussione è l’eticità o meno del plusvalore stesso. Per i liberali (e i liberisti) l’estrazione del plusvalore dal lavoro vivo è un fatto del tutto naturale dal quale non si può prescindere e che ovviamente non può essere messo in discussione; farlo significherebbe mettere in discussione il capitalismo stesso, oggi addirittura naturalizzato, cioè concepito, come abbiamo ricordato più volte, non come una forma storica dell’agire umano ma come una sorta di condizione ontologica, e in quanto tale non superabile.

Ora, sostenere, come fa Fusaro, che “gli imprenditori cercano di resistere e di mantenere in piedi il lavoro e l’impresa” è quanto meno contraddittorio per un pensatore che si dice allievo, sia pur indipendente, di Marx (e di Hegel, particolare non da poco per comprendere il Fusaro-pensiero…).

Alla faccia dell’indipendenza! Troppa se ne è presa, mi viene da dire. Ciò che motiva gli imprenditori non è il “mantenimento del lavoro” ma l’ottimizzazione dell’utile, cioè del profitto, cioè del plusvalore (assoluto o relativo) che comunque, in qualsiasi condizione e congiuntura economica o storica ci si trovi, si ricava sempre e soltanto dal lavoro vivo (il capitalismo finanziario ricava denaro dal denaro ma è comunque una conseguenza dello sviluppo capitalistico complessivo ed è ad esso completamente legato; non è che i finanzieri e i banchieri nascono dal nulla, vengono dal capitale e tornano al capitale, magari sotto altre forme…).

Fusaro non può dunque cavarsela con questa formula “buonista”, alla “volemose tutti bene e uniamoci contro i veri nemici”. Così facendo compie un grande errore teoretico e di analisi oltre che un’operazione di depistaggio ideologico molto grave che nulla, è bene sottolinearlo, ha a che vedere con la concezione gramsciana che puntava a costruire un’alleanza fra ceti proletari, popolari e piccolissimo, piccolo e medio borghesi senza però mai abbandonare la logica di classe che restava l’asse centrale della sua analisi. Nella concezione gramsciana il proletariato doveva essere la classe egemone, in grado di esercitare egemonia sulle altre. Quella fusariana mi pare molto più un’ottica interclassista (quindi “borghese”) e forse anche con un discreto retrogusto di tipo “corporativista”.

E’ per questa ragione che piace molto a destra e anche in parte all’area “grillina”. Rispetto al M5S la sua critica nei confronti del sistema capitalista (sia pure nell’ottica errata che abbiamo detto) è senz’altro più marcata. Paradossalmente, ma forse neanche tanto, il suo pensiero si predispone ad essere più funzionale ad un movimento come la Lega Nord o al Front National della Le Pen. Lo dico, voglio essere chiaro, senza nessun intento dispregiativo personale nei suoi riguardi. Sto solo cercando di produrre un’analisi lucida delle sue posizioni, sulla scorta, ovviamente, del mio punto di vista. Indipendentemente dai suoi intenti (questi li conosce lui e soltanto lui) le sue proposte politiche finiscono per essere di fatto funzionali alle forze “populiste di destra”. Il recupero dello stato-nazione, con questi presupposti teorici, finisce infatti per essere del tutto funzionale a quelle borghesie nazionali messe ai margini dal grande capitale multi e transnazionale (cioè da una borghesia ancora più potente) che aspirano a tornare egemoni (la merce di scambio con i ceti popolari nazionali al fine di costruire massa critica è la chiusura nei confronti degli immigrati, individuati da questi ultimi come la causa della loro condizione di disagio sociale; menzogna scientemente alimentata da quelle stesse borghesie nazionali che hanno interesse ad alimentarla).

Dopo di che nell’intervista (in risposta ad una miserabile provocazione di Cruciani che tentava, insieme a quell’altro poveraccio di Parenzo, di sviare il discorso buttandola in “caciara”, come si suol dire, perché entrambi in evidente difficoltà a reggere il confronto) ascoltiamo alcune dichiarazioni, in buonissima parte anche condivisibili, sulla dissoluzione dei legami sociali e sui condizionamenti che l’attuale sistema capitalista è in grado di esercitare sulle persone, la mercificazione assoluta di ogni spazio e in particolare della sfera sessuale, affettiva e relazionale delle persone. Anche in questo caso però, se l’analisi è valida, la ricetta guarda all’indietro, riproponendo la vecchia e appunto vetero borghese (anche in questo caso, nessuna accezione dispregiativa, stiamo solo analizzando lucidamente le cose) famiglia tradizionale (si avverte sicuramente l’influsso di Hegel nel suo pensiero), come risposta alla disintegrazione dei rapporti sociali, umani, affettivi e relazionali perpetrata dal capitalismo (la nostra “ricetta” è ben altra e l’abbiamo spiegata in centinaia di articoli e non posso ora aprire questo fronte per ragioni di spazio e tempo; lo dico per quelli che immancabilmente ci chiederanno, magari polemicamente , di spiegare quale sia…).

In conclusione, mi pare di poter dire che oggi il Fusaro-pensiero possa di fatto (e al di là, forse, delle sue intenzioni) rappresentare l’ideologia di riferimento (o la falsa coscienza necessaria) delle borghesie nazionali che aspirano a tornare egemoni o comunque a riconquistare uno spazio politico che hanno in parte perduto. Sul piano strettamente politico, come ripeto, il suo messaggio risulta funzionale a forze populiste di destra e neoconservatrici come il FN oppure, in parte, a movimenti come il M5S.

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