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ilcomunista

A proposito di Fantozzi e di mr. Smith

Paolo Massucci*

Nei messaggi e nelle scene dei popolari film di Fantozzi (regista Luciano Salce), interpretati da Paolo Villaggio, attore da poco scomparso, la parte migliore non è da rintracciarsi nell’aver saputo rappresentare virtù e debolezze degli Italiani, come hanno affermato le televisioni ed i giornali, né, tanto meno, nell’evidenziare la stoltezza dell’attaccamento al posto fisso di lavoro, come asserito da Il Corriere della Sera. Queste sono solo banali affermazioni ideologiche per nascondere una realtà inammissibile della nostra società: il completo fallimento dell’individuo moderno e contemporaneo e delle sue aspirazioni borghesi a cui l’intera società (non solo quella italiana) aderisce acriticamente.

L’amara comicità dei film di Fantozzi infatti si basa sulla distanza, ovviamente estremizzata, tra gli sforzi per ottenere quanto desiderato (successo individuale, conquista di status sociale) e i risultati effettivamente conseguiti. Ma c’è di più: in tutti i personaggi traspare un’aperta scissione tra aspirazioni del soggetto e auto narrazione, cioè tra come si è e come si vorrebbe apparire. Si tratta di quella falsa coscienza che è il riflesso di una società, appunto, scissa come quella nostra capitalistica. Essa infatti necessita di una potente e pervasiva ideologia per poter garantire l’adesione, o almeno la passiva accettazione, ad un modo di produzione che, al di là delle apparenze,

anziché benessere ed autorealizzazione individuale per tutti, produce (e presuppone) divisione della società in classi, miseria, guerre e devastazione ecologica planetaria. Il comico-grottesco e la sensazione di disagio che prova lo spettatore in questi film scaturiscono proprio dallo smascheramento di questa falsa coscienza del soggetto omologato ai valori della società borghese. Tutto ciò è oggi più attuale che mai: è imbarazzante -e disarmante-, osservare, ad esempio, come mi è capitato in questi giorni durante un viaggio, nella famosa ed “elegante” via Montenapoleone a Milano (in realtà semplicemente una via di shopping per ricchi portafogli), comuni passanti fotografare con ammirazione e servile devozione Ferrari ed altre lussuose auto posteggiate.

Il concetto di inautenticità dei rapporti umani, anche se non identificato in questi termini, viene da molto lontano -sin dall’antichità- nella storia del pensiero e della letteratura. Tuttavia è solo con la modernità, cioè con lo sviluppo del sistema capitalistico tra la fine del settecento e l’ottocento, che il problema della falsa coscienza dell’individuo e dell’inautenticità delle relazioni diventa tanto rilevante. La ragione di ciò è da rintracciarsi nella contraddizione tra i valori di Liberté, Egalité e Fraternité della rivoluzione francese assunti a fondamento della nascente ideologia borghese e la realtà della condizione effettiva dell’individuo all’interno della stessa società capitalistica. Si pensi a quanto poco l’universalismo (fraternité) possa essere compatibile con l’individualismo della privatizzazione del profitto o a quanto la libertà possa esserlo con il lavoro salariato del proletario, che per sopravvivere deve accettare quel dato livello di sfruttamento stabilito e, giocoforza, limitare le possibilità di scelta personale, come pure di partecipazione allo sviluppo della vita collettiva e politica, mortificando pertanto qualsiasi aspettativa di libera scelta ed autorealizzazione; per non parlare dell’uguaglianza, allorché, come è drammaticamente evidente in questo tempo, si accentuano sempre più le differenze di reddito (è quanto ci si deve aspettare in un sistema, quello capitalistico, il quale si basa, per poter funzionare, sulla separazione tra individuo possessore di capitale ed individuo possessore di sola forza lavoro). Poiché tuttavia i suddetti valori post-rivoluzionati di libertà, uguaglianza e fraternità sono essenziali per garantire il consenso al sistema capitalistico, essi, pur privati di sostanza, rimangono ancora vivi all’interno dell’ideologia della società capitalistica. Ma questa ideologia allo stesso tempo “strizza l’occhio” anche all’individuo che “meritocraticamente” compete sempre con gli altri per arricchirsi ed accrescere il proprio status. Tale contraddizione è alla base della crisi identitaria e morale dell’uomo moderno.

Nella grande letteratura, e nell’arte in genere, del Novecento, il tema della falsa coscienza e della crisi dell’uomo contemporaneo, nelle sue diverse modalità espressive, è quindi uno dei motivi più ricorrenti. In tale ambito si può certamente collocare il drammatico ma brillante romanzo “Mr. Smith” di Luis Bromefield, scritto a metà Novecento, forse non abbastanza conosciuto, il cui protagonista racconta la propria storia personale e, alla ricerca di se stesso e del senso della vita, riflette con lucida schiettezza sull’inautenticità delle relazioni umane nella nostra società, conformate alla cultura borghese. La società in cui vive Mr. Smith non è semplicemente collocata sullo sfondo delle vicende narrate, ma, nella sua pervasività ideologica, condiziona la maggior parte dei rapporti umani, omologandoli, falsificandoli e in definitiva disumanizzandoli. E’ interessante che lo svolgimento del romanzo, pur partendo dal punto di vista di un uomo, Mr. Smith, appartenente all’alta borghesia, mostri, nelle riflessioni dello stesso protagonista, quanto il conformismo borghese eserciti una irrecuperabile inibizione dello sviluppo della libera personalità ed un inaridimento devastante di ogni relazione umana.

In “Mr. Smith”, come nei popolari film di Fantozzi, pur nelle loro forme espressive totalmente differenti e ovviamente non paragonabili, si presenta pertanto una potente critica dell’ideologia borghese, sempre più dominante e ben caratterizzata nella nostra attuale società, a dispetto della falsa affermazione della “fine delle ideologie”. Fantozzi e Mr. Smith dunque possono e devono far riflettere, ben oltre quanto supinamente dichiarato dai mass media in occasione della scomparsa del noto Attore.


*(Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni")

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