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L’estate che ha sdoganato il “disumano democratico”

di Dante Barontini

Quando gli storici dovranno cercare di capire in che momento si è rotta definitivamente la continuità tra la Repubblica nata dalla Resistenza e lo stato criminogeno presente, non faticheranno a individuare in questi mesi roventi, densi di incarognimenti su tutti i fronti, il discrimine tra un prima e un dopo.

Segnali e slittamenti ce n’erano stati a centinaia, fin dall’apparizione del Cavaliere sul palcoscenico della politica-spettacolo, che aveva sdoganato i fascisti (presto divisi tra nostalgici e post, ma tutti prontissimi ad afferrare la prima poltrona a disposizione).

Una rottura abbastanza seria era stata registrata nel novembre 2011, dopo la “lettera della Bce” che fissava l’inderogabile programma economico dei successivi governi italiani. Defenestrazione del Caimano, nomina di Mario Monti, riforma Fornero, ecc, misero in chiaro che il potere decisionale (o la sovranità, nel normale linguaggio internazionale) si era spostato sull’asse Bruxelles-Francoforte-Berlino. Da lì in poi, i governi del Belpaese avrebbero potuto solo gestire la ripartizione sociale dei “sacrifici”, all’interno di un ventaglio di possibilità sempre meno esteso (visti gli automatismo previsti da Fiscal Compact, Two Pack, Six Pack, ecc).

Quando il contafrottole di Rignano ha cercato di dare una cornice  costituzionale coerente alle rotture già avvenute nei rapporti di forza tra le classi e le varie figure sociali, il referendum del 4 dicembre ha decisamente segnalato l’insofferenza della stragrande maggioranza della popolazione nei confronti di questa deriva.

Che non si è però fermata. Anche – se non soprattutto – per la relativa inesistenza di un fronte politico in grado di rappresentare quel rifiuto in forma di programma radicalmente alternativo e massicciamente condiviso. I “decreti Minniti” sul cosiddetto “decoro urbano” e sui migranti sono stati due colpi durissimi alla residua razionalità legislativa democratica di questo paese, trasformando in leggi il diritto all’arbitrio per le forze di polizia e creando un “diritto minore”, razzista e d’apartheid, per le persone provenienti dai vari Sud del mondo.

Ma non bastava e non può bastare. Ogni proiezione sulle future “leggi di stabilità”, ogni esternazione furbesca del presidente dell’Inps sul futuro del sistema pensionistico, ogni imbarazzata relazione della Corte dei Conti (gli F35 sono una sòla dal costo mostruoso, ma ormai bisogna tenersela…), ogni passaggio relativo all’istruzione (le superiori di 4 anni, l’alternanza scuola-lavoro, ecc) o alla sanità pubbliche, ogni approccio privatizzante ai servizi pubblici (acqua e trasporti locali, in primo luogo)… tutto questo delinea un quadro in cui non ci sarà più spazio per soddisfare anche minimamente i bisogni sociali più elementari.

Il programma economico e finanziario che Unione Europea e Troika ci costringeranno a ingurgitare, anche ad un primo sguardo, non sarà gestibile con le vecchie “narrazioni”. Ossia con quelle favolette per cretini raccontate dai vari Berluska, Monti, Letta, Renzi, gentiloni. Che hanno anche funzionato, per un po’. Basti pensare all’universalizzazione della precarietà e all’eliminazione dei diritti dei lavoratori presentate come manovre di “equità” di fronte a un mercato del lavoro duale creato da loro stessi negli ultimi 20 anni (dal “pacchetto Treu in poi), con i giovani esclusi per sempre dal sistema di regole – e dai livelli salariali – conosciuti dai padri e conquistati dai nonni.

Quel che sanno di dover fare non sarà vendibile come una “scelta di sinistra” o “nell’interesse degli italiani” (a seconda dell’elettorato di riferimento). Quel che faranno non prevede più molti spazi neppure per i “gesti populistici” (80 euro, bonus ammme, ecc). Quel che dovranno fare non potrà sopportare critiche fondate sui “diritti umani”, come il diritto alla vita, all’acqua, a un lavoro e un salario decente, alla libertà personale, ecc.

Se – come già avvenuto più volte in Grecia – si dovranno tagliare gli assegni pensionistici di chi è già in pensione, per esempio, non si dovrà lasciare alcuno spazio a critiche fondate su quei diritti.

Certo, una classe politica più colta e consapevole (i vecchi democristiani di una volta, niente di trascendentale…) saprebbe elaborare strategie e narrazioni più articolate. Quella presente, ahiloro, è capace solo di chiacchiere e distintivo. Ma siccome tutti hanno ormai capito – e si vede ad ogni tornata elettorale – che le chiacchiere non corrispondono ai fatti, il distintivo (più precisamente: il manganello) viene agitato sempre più spesso. Anzi, diventa l’unico strumento di governo. La lista degli sgomberi violenti è lunghissima; ciò nonostante le resistenze sono state solo locali, senza comprensione o capacità di innescare movimento unitario.

Ma se così è – ed è così – allora l’umanitarismo diventa “un lusso che non ci possiamo permettere”. Quindi va svalutato e criminalizzato quel che fin qui era servito per criminalizzare altri paesi o regimi. I diritti umani costano, e “noi non ce li possiamo permettere”.

Il “codice” minnitiano sui soccorsi in mare – non un legge, che sarebbe stata demolita dalla Consulta per decine di ottime ragioni – supera il tabù rimasto attivo per 70 anni: l’umanità non esiste, l’umanitarismo è un “estremismo pericoloso”, il volontariato è ammissibile solo se messo al servizio delle forze militari dello Stato. Chi è fuori dal recinto del “noi” non esiste, la sua sopravvivenza o meno non ci riguarda, va tenuto in ogni caso lontano e va perseguito chi li aiuta (magari aumentando le tasse a chi li ospita).

I migranti sono il punto debole del fronte degli sfruttati. Non hanno rappresentanza politica (quelli che sono stati immessi, anche in Parlamento, funzionano da foglia di fico o zio Tom), sono facili da additare come causa di tutti i nostri mali, come “ladri” di quel lavoro che c’è sempre meno, come peso per quei servizi che ci vengono sottratti…

Ma sono solo i primi della lista. Varcata la soglia delle pratiche disumane, sdoganata la possibilità di osare l’impensabile (i salvataggi in mare sono un obbligo internazionale da millenni, da molto prima che il capitalismo cominciasse a tritare il mondo e gli esseri umani), sarà solo questione di tempo e di scelta del “nemico” di turno. Prima o poi toccherà a tutti.

Che stia accadendo tutto questo, cominciano a capirlo – e scriverlo – in molti. Anche con punti di vista parecchio distanti da nostro. Anche personaggi che negli ultimi decenni avevano accompagnato con favore la presa di distanza dal movimento o dal pensiero comunista, in direzion di un “dirittumanismo” molto confuso, quando non ambiguo.

Riemerge, dopo 70 anni, la distinzione fondamentale tra giusto e legale, alla base del progresso umano di ogni epoca. E’ la distinzione che oppone Antigone e Creonte, la stessa che durante il nazifascismo ha opposto uomini e no, partigiani e collaborazionisti, partigiani e indifferenti. E’ la distinzione che contrassegna i tempi più bui.

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