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mondocane

Yo tengo miedo. In margine a Barcellona

di Fulvio Grimaldi

False Flag, che palle

Con tutto il rispetto per le 14 vittime e i tanti feriti di Barcellona, con tutto, lo sconcerto per i morti “cattivi” ammazzati, o saltati per aria (prassi ricorrente e risolutrice), con ogni apprensione per gli arrestati, predestinati o a casaccio, con tutto l’orrore possibile per il viluppo terroristico in cui ci hanno rinchiuso e con cui ci stanno sterilizzando, viene ormai a noia occuparsi dell’ennesimo attentato False Flag. E’ diventato sfessante ogni volta gridarne al vento obiettivi immediati, scopi finali, lacerazioni logiche, elenco di chi se ne avvantaggia e chi ci rimette, parallelismi con episodi identici, analoghi, affini, contraddizioni, incongruenze, veri e propri buchi neri, colmati soltanto dalla dabbenaggine della gente assordata dal coro complice delle presstitute. Lo facciamo dall’11 settembre, dove l’arrogante insipienza degli autori e il lavoro meticoloso e inconfutabile del contradditorio scientifico e tecnico, ci avevano reso il lavoro facilotto.

 

Un operativo anti-islamico serio mai?

Ora, dopo Nizza, Berlino, due volte Parigi, due volte Londra, siamo all’ennesimo veicolo lanciato nel mucchio, a falcidiare una folla qualunque, priva di qualificazioni politiche, culturali, sociali, militari, composta da cittadini comuni, inermi e inoffensivi di 38 paesi, compresi i musulmani. Come in tante altre occasioni, da Charlie Hebdo – operazioni guardata e protetta da mezzi della polizia, vedi video – in poi, il conducente se la svigna,

ma lascia sul cruscotto un documento che consente a chi interessa di indovinare non il, ma un esecutore da offrire a folle e schermi. Che, con ogni probabilità, non è quello che guidava, ma quello che dovrà essere catturato o, meglio, ucciso.

E subito sgorga imperiosa la domanda, bloccata in gola a tutti dal tappo mediatico made in regime: ma com’è che questi fanatici islamici se la prendono sempre con chi non si sogna di torcergli un capello, anzi, perlopiù ne favorisce, con l’accoglienza senza se e senza ma, l’invasione a casa sua? E com’è che non riescono neanche una volta a fare cianchetta, o tirare una pietra, o tagliare i freni dell’auto, a uno che di torti massicci ai musulmani è inequivocabilmente responsabile? Non dico arrivare a Obama o Blair, ma a un deputato della maggioranza bellicista, un carceriere a riposo di Guantanamo, un AD la cui multinazionale depreda la Nigeria, un caporale nei campi di pomodoro pugliesi, un velinaro di Stampubblica, o del “manifesto” che scriva sotto dettatura Cia… Se quelli in villa e i loro guardiani se la ridono, sapranno perché.

 

Tutte canaglie schedate, tutti radicalizzati che se ne fottono

Dopo queste, come in un rosario, si snocciolano altre domande che ad alcuni di noi, pochi, il tappo del concorso mediatico in associazione a delinquere non lo ha ricacciato in gola. Com’è che, con monotona regolarità (segno evidente di carenza di immaginazione negli organi preposti), i presunti attentatori sono tutti schedati, seguiti da tempo nel loro andirivieni tra mondo islamico ed Europa, spesso carcerati, facili dunque al ricatto, tutti detti “radicalizzati”, ma tutti assolutamente indifferenti a fede e pratiche religiose, anzi fortemente e viziosamente laici in quelle di vita, specie notturne. Pronti ad immolarsi nel segno del Corano, di cui non conoscono una sura. Tutti di cui ai giornali, nel giro di minuti, vengono comunicati nomi, cognomi, età, residenza, famigliari, viaggi, gusti, taglio dei capelli, caccole nel naso.

E, avanti, ci volete spiegare come tutti costoro, pur schedati e tenuti d’occhio, pedinati, perquisiti, fermati, ascoltati a distanza, al momento del botto risultano sfuggiti sistematicamente a qualsiasi consapevolezza e controllo? Mentre noi no, di noi, tramite telecamere più frequenti delle zanzare, aggeggi telematici e informatici che di ogni istante della nostra vita, di ogni comunicazione, di ogni spostamento, danno contezza a un qualche software centrale, di noi che, appena formuliamo un pensierino cattivo in rete, ci salta addosso la Boldrini e ci disintegra con i suoi strali anti-odio, di noi si sa tutto, prima, durante e dopo?

Un thriller che neanche Hitchcock. Talmente ingarbugliato che alla fine rinunci di trarne qualche filo o senso logico. E questo è lo scopo. A 200 km da Barcellona, Alcanar, la notte prima delle Ramblas, salta per aria una casetta e si trovano bombole e resti carbonizzati di due sconosciuti. Sconosciuti, ma opportunamente “sospetti”. Come fa a non esserci un legame tra una bombola esplosa a 200 km di distanza e un furgone che falcia passeggiatori a Barcellona?! Hai visto mai che volevano caricare bombole di gas su un camion e farlo esplodere nelle Ramblas. E’ che poi è andata storta e, nel giro del mattino successivo, hanno noleggiato un furgone, trovato l’autista, elaborato il piano B e predisposto un giro miracoloso che avrebbe evitato di incocciare nei mezzi blindati e nelle pattuglie che guardavano le Ramblas. Obiettivo perennemente affollato di possibili vittime, quindi obiettivo del tutto alieno agli interessi dei terroristi. Che, come si sa e come ho ricordato sopra, prediligono colpire in alto, i bonzi che li bombardano….

 

Tutto fila liscio, tranne la sicurezza dei cittadini

Passa il furgone, fa il suo bravo macello e il conducente riesce a darsi alla fuga. Tra migliaia di persone e decine di poliziotti tutt’intorno. Vabbè. In compenso, il passaporto del personaggio da incriminare ce l’abbiamo, trovato sul cruscotto. Vabbè. Visto quanto di interessante era successo a 200 km a sud di Barcellona, vediamo un po’ cosa succede a 100 km a nord, Ripoll. Senza il minimo dubbio, la cellula islamista stava qua. Così ne arrestiamo un po’, altri li dichiariamo in fuga e la stampa avrà l’osso da rosicchiare e i congiunti delle vittime di che confortarsi.. I media inondano foliazione e i schermi di valanghe di sciropposa e stereotipata retorica sulla Barcellona che non ha paura, che in centomila urla “No tengo miedo”, o come si dice in catalano. I poveretti lo fanno invece proprio per esorcizzare una paura che gli viene rovesciata addosso a grandine. Con il re, Rajoy e i secessionisti catalani che si ritrovano uniti e circonfusi nell’unica bandiera nazionale. Una roba quasi più micidiale degli exploit della Guardia Civil.

 

Carosello catalano

Non è finita. Torniamo a sud di Barcellona, a 115 km, poche ore dopo la mattanza delle Ramblas. Cambrils, esterni notte. Al posto di blocco per prendere il conducente delle Ramblas (17 anni, no 22, boh, chissà, alla faccia del passaporto ritrovato), transita un’Audi A3. Dopo pochi metri, inspiegabilmente, cappotta e così la ritroviamo nelle foto. Succede una baraonda, al termine della quale i cinque passeggeri della vettura restano stecchiti per terra. Tutti fulminati, ci raccontano, da un unico poliziotto. Clint Eastwood era un bamba al confronto. Gli altri del posto di blocco, si stavano accendendo sigarette. E i cinque del macchinone sportivo erano altrettanti imbranati persi, ansiosi di fare la figura dell’orso nel tirassegno. Quella delle esecuzioni extragiudiziali di massa pare una specialità della polizia spagnola. 11 marzo 2004: strage terroristica alla stazione Atocha di Madrid, 191 morti, 1.858 feriti. I colpevoli, tali definiti dalla polizia, stanno tutti rinchiusi in una casa. Li prendono per fame, per gas asfissianti, per granate acustiche? No, fanno saltare per aria l’intero edificio. Nessun superstite. Nessun pentito. Però, stesso annuncio di oggi: “Totalmente smantellata cellula islamica”. O qualcosa.

 

Quelli bravi sapevano. E facevano?

Altra ricorrenza rituale. La Cia da Langley e il Mossad dal Marocco (che ci sta a fare?) avevano avvertito con grande precisione: attentato a Barcellona. Azzardare il pensiero che chi sa fa, è davvero qualcosa che la Boldrini considererebbe un crimine dell’odio. Da evitare, se non vogliamo che la presidente della Camera ci rada al suolo.

Vabbè, vabbè, vabbè. Passiamo all’inevitabile cui prodest. Siamo stravaganti a fare questa domanda, secondo le persone normali domanda inutile, tautologica, stupidina e anche un po’ maleducata. Pazienza, abbiamo i nostri limiti. Ci sono, come sempre, i soliti prodest che si ripetono fin dall’11 settembre 2001 e anche da molto prima. Prodest vecchi come il mondo. Da quando gli Usa fecero saltare per aria la nave Maine per poter fregare Cuba agli spagnoli. Avere per le mani un pretesto per muovere guerra a chi si vuole togliere di mezzo è pratica che risale a Ulisse.

 

Paura glocal, dittatura global

In questi anni i motivi ricorrenti sono quelli strategici: fomentare lo scontro di civiltà e di religione per giustificare ai mortali comuni l’assalto e la rapina della parte migliore e più ricca del Terzo Mondo. Alla faccia dei poveri catalani e loro amici parigini, londinesi, berlinesi, che urlano di non avere paura e di non voler cambiare vita, istituzionalizzare lo stravolgimento della vita e la paura dell’altro, dentro e fuori di noi, al punto da invocare poliziotti fin in camera da letto, sorveglianza totale, militarizzazione di ogni centimetro quadrato (in Spagna il raggio militarizzato nell’occasione è di qualcosa come 500 km da sud a nord di Barcellona), tanto da rendere rivolte antisistema, e anche solo manifestazioni incazzate, gozzaniane “buone cose di pessimo gusto”, una foto ingiallita di Nonna Speranza, un vaso di fiori secchi su un centrino a punto e croce.

Nello specifico iberico, c’è il bonus addizionale del ricompattamento, nel segno delle lacrime e della comune lotta al terrorismo, dei gruppi dirigenti di Spagna e Catalogna, proprio alla vigilia di quel referendum sulla secessione che farebbe degli uni e degli altri qualcosa di poco più rilevante del Kosovo o del Nord Irlanda e, comunque, susciterebbe perpetua turbolenza nel Sud-ovest d’Europa. Con un pezzo, la Catalogna, che, oltretutto, viaggia a un alto tasso di sinistrismo. Tutte cose, ci sembra, poco gradite alla Nato e ai neoliberisti, da Washington a Bruxelles.

Aggiungo una considerazione che potrebbe sembrare balzana. Ma il fatto che quelli che allestiscono tutto l’ambaradan da qualche tempo mandano avanti la loro strategia a forza di veicoli guidati contro folle qualunque, Nizza, Berlino, Parigi, Londra, Barcellona, vorrà pure dire qualcosa. Per avere la patente, comprare una macchina, noleggiarla, guidarla, ti ci vorranno la fedina penale intonsa, il curriculum erotico, le impronte digitali, la parentela perbene fino al 7° grado, la presenza di un controllore, un chip sottocute? O si vuole farla finita con l’auto privata e imbarcarci tutti su blindati?

Tra le varie possibilità riferisco la riflessione di uno che di solito ci prende, Claudio Messora del canale web Byoblu. Le più grandi industrie automobilistiche e del software (da Google a Telint, da BMW a Fiat-FCA) stanno investendo miliardi nello sviluppo dell’automobile senza guidatore. L’auto con conducente è un auto controllata da chi la guida e da nessun altro. L’auto che si guida da sola, e i suoi passeggeri, vengono guidati da fuori. Il software centrale che ne dispone, sa tutto dei tuoi movimenti. E, al limite, può farti sbattere contro un muro. Auto uguale autonomia. Quel poco di autonomia che ci resta. Troppa.

Vedete voi.

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