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Sul Lenin di György Lukács

di Salvatore Bravo

György Lukács scrive Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, donandoci un testo oggi prezioso per chiarire a noi stessi ed alle generazioni future gli effetti della fine del comunismo storico novecentesco. L’integralismo del liberismo è florido mediante l’operazione ideologica dell’oblio programmato perennemente in opera. Lenin non solo è dimenticato, ma in particolare è associato nell’immaginario a Stalin, o a un’epoca di soli errori, tutti da dimenticare. Ci dicono che viviamo nel migliore dei mondi possibili, per cui ogni ricerca è ritenuta vana: nell’epoca degli idola, la nostra, non si vuole che la cifra dell’autenticità possa guidare verso una comprensione più vera e complessa del recente passato; si teme, probabilmente, un confronto contrastivo che possa rimettere in gioco i pregiudizi ideologici che puntellano l’integralismo dei nostri giorni.

Il sottotitolo dell’opera di György Lukács è il filo di Arianna che ci può condurre nella lettura del testo. Lenin era un materialista dialettico che aveva accolto la lezione migliore di Marx ed Hegel. Le contingenze storiche non sono sufficienti causare la Rivoluzione; senza l’azione di un partito organizzato che favorisca l’emergere della coscienza emancipativa e progettuale degli ultimi, non vi è rivoluzione. La rivoluzione ha un destino storico se una parte, anche limitata, della popolazione decide di rompere le catene secolari della mortificazione, e dell’alienazione. Se l’Unione Sovietica è sopravvissuta per ben settant’anni, è per una rivoluzione voluta e progetta da un partito che ha trovato il sostegno delle masse più consapevoli ed avanzate della popolazione. La storia dunque è svolta dagli uomini in circostanze in cui il possibile è realizzabile. Per Lenin la prima guerra mondiale con i suoi effetti fu la circostanza che fece bruciare la miccia delle contraddizioni:

La tattica e l’organizzazione sono soltanto le due facce di un tutto inseparabile. Degli effettivi risultati si possono ottenere solo agendo contemporaneamente su tutt’e due i fronti. Perché tali risultati siano raggiunti bisogna saper essere insieme conseguenti ed elastici per tutt’e due gli aspetti, tener fermo rigorosamente al principio e insieme avere gli occhi aperti, di giorno in giorno, per ogni elemento nuovo. Non può esservi nulla di cattivo o di buono per se stesso, né sul piano tattico né su quello organizzativo1”.

La prassi si fa evidente, come affermava Lenin se il partito diviene, è un corpo vivo che può proliferare in circostanze storiche, da determinare e capire, di giorno in giorno. L’attenzione ai cambiamenti, ai pericoli, come alle possibilità-potenzialità improvvise, è propria dell’azione politica. Il partito e le idee non sono un corpo rigido da adattare alle circostanze, ma vi dev’essere la mediazione continua tra la teoria e la prassi, per cui ogni dogmatismo dev’essere rifiutato, in nome della prassi sostenuta dal pensiero critico e dinamico, capace di accogliere e rielaborare le variabili improvvise, imprevedibili della storia:

L’organizzazione deve inserirsi come strumento, nell’insieme di queste conoscenze e nelle azioni che ne derivano. Se non lo fa, finisce distrutta dallo stesso svolgimento delle cose che non ha saputo riconoscere e quindi dominare. Perciò ogni dogmatismo nella teoria e ogni irrigidimento nell’organizzazione è fatale per in partito2”.

La categoria della totalità opera nella prassi per cogliere le relazioni dinamiche fra le parti, tra le variabili in gioco: solo l’analisi continua consente rapportarsi in modo dialettico ai processi storici.

La categoria della totalità è per natura epistemica e antidogmatica; permette di cogliere nella processualità della storia il punto nodale su cui agire ed attraverso cui leggere le parti:

Che il criterio della giusta politica marxista consiste sempre nel trascegliere dal processo, per concentrare su di essi la massima energia, quei momenti che in un dato istante, in una fase data, celano in sé questo rapporto al tutto, alla totalità del presente e al problema centrale di sviluppo futuro, quindi anche al futuro nella sua totalità praticamente afferrabile. Il fatto di concentrare in questo modo le forze dell’anello successivo, quello più decisivo della catena, non significa affatto separare questo momento dall’insieme e trascurare per esso gli altri momenti. Al contrario. Significa invece che tutti gli altri momenti devono essere messi in rapporto con questo problema centrale, devono essere rettamente intesi e risolti entro questo rapporto3”.

La categoria della totalità nella prassi riconfigura la teoria rendendola immanente alla storia. E’ possibile prefigurarsi il futuro a breve termine, e ripensare la teoria. Inoltre l’interconnessione tra le parti non è mai secondaria: individuato il fulcro, il tutto è riconnesso ad esso, assumendo nuovi significati. Si consideri la nostra politica, la lettura degli eventi internazionali, l’assenza assoluta della categoria della totalità, per cui la prassi è senza teoria, hegelianamente vi è solo la talpa, la civetta è stata neutralizzata dalla parcellizzazione di ogni evento. Parcellizzare, limitarsi all’evento, tradurlo in modo sensazionalistico, è un modo per impedire la lettura, e trasformare in ipostasi il presente. Nel migliore dei casi il dinamismo della storia è solo meccanicismo, la coscienza è messa al bando direbbe G. Anders.

La prassi vuole la viva presenza delle coscienze, contro i dogmatici e contro gli opportunisti, che si accontentano di cambiamenti parziali per eternizzare il sistema. Sono coloro che rifiutano la dialettica per la conciliazione. Esiste un’etica del compromesso per Lenin ed esso dev’essere sempre finalizzato a salvaguardare la rivoluzione. La NEP ne è un esempio. Il compromesso dunque, non vuole anime belle, ma neanche la faciloneria degli opportunisti. Il compromesso è responsabilità dinanzi alla rivoluzione, agli uomini, alla storia:

Il vero rivoluzionario dunque, quello che sa che viviamo in un’epoca rivoluzionaria e ne trae praticamente le conseguenze, deve sempre considerare l’insieme della realtà storico-sociale da questo punto di vista e deve considerare nell’interesse della rivoluzione ogni evento, il più grande come il più piccolo, quello consueto come quello eccezionale, secondo la loro importanza per la rivoluzione, ma soltanto per questo scopo4”.

Il compromesso assume la chiarezza etica ed ideologica, attraverso la prassi, la storia è dinamica, ma il rivoluzionario, il pensatore coniuga teoria e prassi, non si lascia travolgere dalla storia, si confronta con essa con la lucidità e la chiarezza della teleologia rivoluzionaria, ogni irrazionalismo postmodernista qui tace, poiché ci si assume delle responsabilità storiche malgrado gli eventi. La storia esige un corpo a corpo quotidiano e la tenacia del pensiero:

Riconoscere esattamente in che senso Lenin intendesse il compromesso e come egli abbia fondato teoricamente la tattica del compromesso non è solo fondamentale per la comprensione del suo metodo, ma è anche di larga importanza pratica. Il compromesso, in Lenin, è possibile soltanto in una reciprocità dialettica col mantenimento dei principi e del metodo marxista; nel compromesso si rileva sempre l’ulteriore passo reale verso la realizzazione della teoria marxista5”.

La grandezza di Lenin è nell’aver analizzato il capitalismo e la storia prima della Rivoluzione per capire le contingenze favorevoli alla prassi, una volta avvenuta, il materialismo dialettico e la chiarezza degli obiettivi ha permesso al compromesso di non trasformarsi in tradimento ideologico, poiché il fine era la liberazione del proletariato:

Non è possibile schizzare, in queste nude osservazioni, neppure i tratti più sommari della politica economica di Lenin. Quanto si è accennato mirava solo a fornire un esempio che facesse scorgere con una certa chiarezza i principi della politica di Lenin, il suo fondamento teorico. E’ questo principio è quello di mantenere in piedi a qualsiasi prezzo il dominio del proletariato in un universo di nemici dichiarati o segreti, e di alleati incerti6”.

Il pensiero di Lenin la fermezza degli ideali svela quanto la nostra politica sia solo tattica per il potere, prassi del nichilismo realizzato.


Note
György Lukács, Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario, Einaudi, 1976,Torino, p.43
2 Ibidem, p. 44
3 Ibidem pp. 105-­‐106
4 Ibidem, p.102
5 Ibidem, pp. 102 -­‐ 103
6 Ibidem, p. 97

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