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Ottobre. La rivoluzione oltre l’evento

di Danilo Del Bello

Nell’anniversario della rivoluzione d’ottobre ci sembra doveroso dare un nostro modesto contributo al suo principale artefice, Vladimir Il'ič Ul'janov, universalmente conosciuto con lo pseudonimo di Lenin.

Non ci appartiene certo nessun culto della personalità, né la visione idealistica per cui la storia viene fatta da individui eccezionali, gli individui storico-universali di hegeliana memoria. Ciò non significa, comunque, rimuovere il ruolo determinante della soggettività nelle grandi trasformazioni storico-sociali, nelle rivoluzioni, nei passaggi epocali. La soggettività a sua volta non è un’astrazione metafisica, ma si incarna nella capacità di azione, decisione, scelta, volontà, determinazione di individui concreti, in carne ed ossa, in grado di trasformare la teoria in pratica materiale ed organizzazione collettiva. Nessun idealismo hegeliano, dunque: semmai la lezione materialista di Machiavelli, l’analisi precisa dei rapporti di forza in una situazione data, legata ad un nuovo processo costituente, ad una strategia complessiva e ai mezzi necessari per conseguire il fine, ossia le variabili tattiche necessarie. Virtù e Fortuna: per Lenin «l’insurrezione è un’arte», va accuratamente preparata, organizzata, pianificata e bisogna essere pronti a cogliere l’occasione in qualsiasi momento, con la massima audacia, decisione, risolutezza soggettiva, anche rischiando secondo le leggi imprevedibili della storia e del caso. Virtù e Fortuna, appunto.

Quando Lenin tornò in Russia dall’esilio nel 1917, il partito bolscevico non era per nulla d’accordo con la visione leniniana e vedeva l’insurrezione come una pericolosa avventura. Questa ogiva anti-forzatura non era dissimile da quella dei menscevichi e di parte dei socialrivoluzionari populisti, che nella rivoluzione in atto contro l’assolutismo zarista vedevano l’egemonia della classe borghese, lo stadio della rivoluzione democratico-parlamentare che avrebbe dovuto compiere il proprio corso prima che maturassero le condizioni per una rivoluzione socialista. Una teoria dei due tempi o degli stadi dello sviluppo storico fissati in maniera meccanicistica e deterministica, tipica  dell’opportunismo, dell’attendismo, del marxismo dogmatico e positivista della II Internazionale. Niente di più estraneo alla concezione rivoluzionaria leninista. L’azione della soggettività organizzata doveva portare il proletariato di fabbrica, avanguardia della lotta di classe, a prendere il potere, mettersi alla guida di tutto il popolo per accelerare la rivoluzione sociale contro il capitalismo e porre in atto fin da subito misure concrete in questa direzione.

Nelle Tesi di aprile Lenin dichiara apertamente: «Tutto il potere ai Soviet degli operai e dei contadini»; nelle due lettere prima dell’insurrezione, «I bolscevichi devono prendere il potere»; infine dicendo «Il marxismo e l’insurrezione» il grande rivoluzionario raggiunge il massimo della sua potenza politica e riesce a piegare, non senza contraddizioni interne, il suo riluttante partito: via libera alle guardie rosse, via libera ai nuclei combattenti addestrati fin dal 1905, dopo il fallimento di quella rivoluzione.

I primi provvedimenti furono davvero sociali e più avanzati di qualsiasi governo borghese: distribuzione della terra ai contadini che ne erano privi, limite della giornata lavorativa a otto ore, parità di diritti tra uomini e donne, il divorzio, il matrimonio civile, la nazionalizzazione delle banche, la fine della guerra. Di fatto un vero programma socialista radicale, che accoglieva le rivendicazioni popolari.

Insomma, per dirla con il Lukács dell’importante saggio su Lenin, il principale merito della sua azione politico – rivoluzionaria fu quello di aver strettamente collegato la teoria con la pratica, di aver reso attuale la rivoluzione, strappandola dal cielo dei desideri utopici, dal continuo rinvio ad un’ora x che, fatalmente, viene sempre rimandata nel tempo, come tipico del meccanicismo marxista ed economicistico, delle sette più o meno ortodosse o del riformismo socialdemocratico. La rivoluzione è un campo di possibilità sempre aperto, un processo in cui determinante è l’agire teorico-pratico della soggettività organizzata, capace di cogliere le occasioni, di operare forzature intelligenti e necessarie per conseguire gli obiettivi strategici, sempre in base ad una precisa analisi della composizione delle classi  ed i loro rapporti di forza. Nulla a che vedere con il soggettivismo, il massimalismo velleitario o l’estremismo infantile, che Lenin criticò tutta una vita al pari dell’opportunismo.

L’organizzazione soggettiva di parte, il partito che combatte il potere con tutti i mezzi, legali ed illegali, e che possiede una grande duttilità tattica, per Lenin non ha nulla di feticistico, di assoluto, di rigido e sclerotizzato. Non è dato una volta per tutte, bensì è un divenire continuo, si adegua al mutamento delle fasi storiche, pur mantenendo ben saldi i principi. L’organizzazione di parte non si sovrappone alla classe, non la rappresenta, non si sostituisce alle lotte: ne è piuttosto uno strumento che stimola, prepara e costruisce iniziative non tanto in un rapporto di separatezza, bensì di unità-distinzione, come centro di elaborazione e propulsione autonomo. Uno strumento che è in costante rapporto dialettico con le dinamiche del proletariato, che la sua azione contribuisce a modificare, ma da cui essa stessa viene continuamente modificata.

La scelta insurrezionale leninista non è frutto di mero pragmatismo, bensì obbedisce ad un nesso profondo tra teoria e prassi, è un’analisi complessiva della situazione mondiale e crea quel salto epocale del capitalismo alla fase del dominio del capitale finanziario, del colonialismo, dell’imperialismo e della guerra. Ma non solo produce anche le modificazione della composizione di classe, le nuove stratificazioni, le aristocrazie operaie in funzione controrivoluzionaria, l’entrata in scena dei popoli colonizzati e le lotte di liberazione. Ogni evento locale deve essere collegato a questa complessità globale, collocarsi su questo sfondo generale dal quale ogni singola realtà di lotta e conflitto viene illuminata, determina l’emergere del suo autentico significato. Al di là del mutamento di fase storica e nelle nuove problematiche che oggi caratterizzano il bisogno-desiderio di rivoluzione, sono preziose indicazioni di metodo imprescindibili: l’attualità della rivoluzione, della costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria, la produzione di soggettività, appunto, l’attualità del non- contemporaneo.

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