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idiavoli

Star Wars 8: raccontare per non morire

di I Diavoli

[No spoiler]. L'ultimo episodio di Guerre Stellari si trova a fare i conti con la dimensione mitopoietica della saga. Non solo, infatti, l’eroica Resistenza potrebbe non sopravvivere, ma lo stesso ordine dei Jedi - come recita il titolo - rischia di estinguersi una volta per tutte. Come rammentava Foucault, spiegando che il genere umano, fin dai primordi, si radunava attorno a un fuoco a narrare per non essere ingoiato dalla notte: raccontare per non morire

Il mito è una storia che ci aiuta a capire, per analogia, alcuni aspetti misteriosi di noi stessi. Secondo questa concezione, un mito non è una falsità, ma un modo di raggiungere una profonda verità.

Cristopher Vogler

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana… Il nastro invisibile, con le parole di un blu metallizzato, scorre sullo sfondo intergalattico, fino a perdersi nello spazio infinito, suo punto di fuga ed eterno ritorno, per annunciare pregressi e ambientazione del nuovo episodio che lo spettatore si accinge a vedere.

La narratologia definisce questa tecnica in medias res, cioè quando un racconto comincia già nel mezzo delle vicende stesse di cui tratta. La utilizza Omero, nei suoi poemi epici, ed è uno stratagemma tanto antico quanto la storia dell’umanità, almeno quella scritta. Ed è ormai noto che questo sia solo uno dei vari elementi compositivi che George Lucas riprende ispirandosi al mito, meglio: alla mitologia. Come Christopher Vogler – asso della sceneggiatura hollywoodiana – per primo, anche il creatore di Star Wars è un “allievo” e fervido sostenitore delle teorie di Joseph Campbell, lo storico delle religioni convinto che gli ingredienti per il successo di una narrazione risiedano nell’utilizzo di una serie di figure archetipiche, da sempre presenti nell’inconscio collettivo, con implicazioni che possono andare ben oltre la pura finzione o costruzione fantastica.

Per questo l’immenso successo della space opera concepita da Lucas ha consistito nel far vibrare il sostrato mitico che in tutti noi è depositato, e attende, appunto, di tornare a galla. Ma è una formula vincente di cui la Disney – dopo l’acquisto dei diritti di produzione dalla Lucasfilm – si trova ora a gestire l’eredità dall’immane portata, e non solo commerciale, perché l’ingaggio creativo dei nuovi episodi passa per la replica di un mito che deve interagire col mito stesso, fondato in precedenza. Il mito della vecchia saga irrompe, e duella, con quello della nuova.

In Star Wars – Gli ultimi Jedi, ottavo capitolo della saga (preceduto da Il risveglio della Forza, episodio VII) dal 13 dicembre nelle sale cinematografiche internazionali, la potenza di fuoco del Primo Ordine, capeggiato dal Leader Supremo Snoke e dal suo temibile seguace Kylo Ren, sta per schiacciare le residue forze della Resistenza. Mentre Leia – fiancheggiata dal comandante dei caccia interstellari Poe Dameron e dal combattente Finn che, dopo aver disertato dai ranghi imperiali, è passato dalla parte dei ribelli – guida un’ardua e improbabile operazione di ritirata, le uniche speranze di salvezza sono riposte in Rey. La giovane apprendista Jedi ha raggiunto Luke Skywalker sull’isola sperduta in cui si è auto-esiliato, confidando nella volontà del vecchio maestro di addestrarla a fronteggiare il lato oscuro della Forza…

 

Il mito del mito

Se già J. J. Abrams, regista del capitolo precedente, si era trovato a fare i conti con la dimensione mitopoietica della saga – espressa al massimo nel personaggio di Kylo Ren, tratteggiato intenzionalmente alla stregua di un goffo emule del suo monumentale predecessore, Darth Vader –, in episodio VII, la regia di Rian Johnson deve sollevare e affrontare lo stesso problema in maniera esponenziale. Non solo, infatti, l’eroica Resistenza potrebbe non sopravvivere, ma lo stesso ordine dei Jedi, come recita il titolo, rischia di estinguersi una volta per tutte.

Luke Skywalker, avvolto in abiti consunti e ammantato da una triste rassegnazione, è l’ultimo Jedi e può scegliere se far tramontare un’era o proseguirne la trasmissione attraverso la giovane Rey che, smarrita, è venuta a chiedergli di mostrarle il suo “ruolo in tutto questo”. Completare l’addestramento di Rey, allora, significa per il vecchio Luke anzitutto narrarle la leggenda di cui lui e molti altri, prima di lui, hanno fatto parte. Una leggenda che, ben lungi dal nutrirsi di splendore, è stata un’alternanza continua di luce e oscurità, in cui la dicotomia tra bene e male ha sfumato – fino a perderli di vista – quelli che sembravano essere i suoi inequivocabili confini. È la confessione, quella di Luke, di un fallimento spirituale e politico.

E tuttavia un fallimento legato a filo doppio con l’etica – ed epica – impresa di comprenderne le cause profonde e riscriverne ancora e ancora le sorti. Non è certo un caso, del resto, che il vettore d’immedesimazione dell’immaginario collettivo sia sempre stato più sbilanciato, rispetto a tutti i personaggi che costellano la saga, verso la controversa e tragica figura di Vader e che, in virtù di questo, sarebbe riduttivo considerare soltanto consolatori gli epiloghi degli antecedenti Star Wars – soprattutto se si pensa a quello de la Vendetta dei Sith (2005).

Ma c’è di più. Il risvolto mitopoietico di questo ultimo episodio si svela anche nell’emergere di soggetti altri e diverse declinazioni rispetto alla tradizione finora esperita: da una parte la riaffermazione quantitativa e qualitativa (Daisy Ridley è Rey, Kelly Marie Tran e Laura Dern nei panni, rispettivamente, di Rose Tico e Amilyn Holdo) – come lo era stato in VII e nello spin-off Rogue One – di personaggi femminili, dotati di vero e sincero spessore; dall’altra la sottrazione – circostanza che segna un decisivo scarto – del tragico ed eroico destino alla sola stirpe degli Skywalker, per riconsegnarlo alla compagine più vasta, epica e universale degli ultimi, quali sono – si vedrà – i tanti Rey dispersi e oppressi nelle galassie.

Un fallimento che, in maniera retro-attiva, si tramuta nel gesto politico di ricomporre vecchie lacerazioni e condurre nuove battaglie. Un destino che non è più destinato a riguardare solo un fardello familiare, né superomistico, ma si apre alle donne e agli ultimi, a soggetti altri, alla moltitudine.

E perché questo accada, è necessario dare nuova vita alla leggenda, sciogliendone le contraddizioni irrisolte. Ma senza mai abbandonarla del tutto. Luke Skywalker e Rey su un’isola deserta, tra echi e reminiscenze, tra ombre del passato e bagliori del presente, e viceversa. Come rammentava Foucault, spiegando che il genere umano, fin dai primordi, si radunava attorno a un fuoco a narrare per non essere ingoiato dalla notte: raccontare per non morire.

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