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orizzonte48

Anno nuovo, costituzione democratica "vecchia"(?) e ...libertà (le non-lacrime di Nietzsche)

di Quarantotto

Questo post costituisce più un...ripassino (e quindi non eccederò coi links, aspettandomi che i lettori siano in grado di individuarne molti altri, rispetto a quelli che inserirò).

Ma testare se si abbiano le idee chiare - e quindi potersi permettere di porle alla prova della situazione sempre più drammatica che si profila nella nostra Patria-, è un cimento di cruciale importanza in questo momento. Essere pronti, ora, può fare la differenza in preparazione di "questo" Nuovo Anno...

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Bazaar 28 dicembre 2016 20:17

Quando sento parlare di liberali, di libertà, della democristiana Libertas, bè: trovo sempre un grande autore che chiarisce l'ovvio agli imbecilli che non si sanno collocare nella Storia:

«Quella che viene chiamata "libertà di volere" è essenzialmente la passione della superiorità rispetto a colui che deve obbedire: "Io sono libero, 'egli' deve obbedire" [...] quell'intima certezza che si sarà ubbiditi, e tutto questo appartiene ancora alla condizione di chi impartisce ordini. » Nietzsche, "Al di là del bene e del male"

Non ci può essere libertà metodologicamente individualista senza dialetticamente manifestarsi una schiavitù: libertà e potere sono il medesimo ente visto da due punti diversi.

Quello dell'oppresso, e quello dell'oppressore.

Buona "democrazia" liberale a tutti.

Bazaar14 settembre 2016 20:48

...A nessuno verrebbe mai in mente di far l'apologia del "potere", del "kratos": dell'idea di "potere".

Semplicemente "il potere dei forti limita la libertà dei deboli", quindi "la libertà dei forti limita il potere dei deboli".

Poiché il potere ai "deboli" si chiama "democrazia", queste liberalissime proposizioni sono antidemocratiche e oppressive.

E sono quelle del liberalismo classico.

Parlare di libertà non significa nulla, per il semplice fatto che non è un concetto universalizzabile.

Dare il "dieci punti percentuali" di libertà alla Bayer non è come darli a me e te.

Liberalizzare mercato e lavoratori non è la stessa cosa: sono due libertà che formalmente se promosse insieme sono di fatto esclusive: il lupo capitale si magna la pecora lavoro.

Il liberalismo è la legge della giungla: l'ordine sociale è eminementemente un ordine giuridico, come lo Stato è per definizione Stato di diritto (Schmitt, 1923) che, per distribuire potere, deve limitare per definizione le libertà.

La libertà sociale nasce dalla limitazione indistinta delle libertà individuali.

Parlare di libertà ideale paluda i rapporti di produzione che, essendo "kratos" puro al pari delle armi, possono essere limitati solo dall'archè giuridico.

Quindi chi raglia di una libertà non partigiana, paluda il conflitto politico e sociale.

 

1. Dovrebbe ormai essere ben chiaro: per chi è già titolare di un consistente patrimonio e di una rendita che da esso proviene, consentendogli di accumulare ulteriore ricchezza, il termine "libertà" è un modo per indicare la legittimità della sua posizione al fine di rivendicare, contro la possibile interferenza dello Stato in nome dell'interesse generale dell'intero popolo, la sua conservazione.

Si tratta quindi di una libertà "da" (da ogni limitazione "pubblica" della propria situazione di vantaggio) che è strettamente funzionale a un potere "di".

La libertà "negativa", liberale (o neo-liberale, intesa come sua identica riproposizione, ma dovendosi affrontare nuove condizioni politico-economiche sopravvenute, che impongono che la restaurazione del vecchio assetto, costretto dagli eventi storico-sociali a compromessi e limitazioni, debba tener conto di ciò) ha infatti lo scopo ultimo ed essenziale di esercitare le prerogative politiche connaturalmente connesse alla ricchezza per orientare - tramite molti mezzi, culturali e finanziari, prospettati come intangibili dal diritto statale- le pubbliche istituzioni ed impedire che queste possano avvantaggiare la generalità dei cittadini a scapito della timocrazia (qui, p.7).

 

2. Per chi non possa vantare un consistente patrimonio e voglia perseguire una propria liberazione dal bisogno e dalla povertà (v. p.9, per la descrizione che ne fa Calamandrei), e quindi dalla impossibilità materiale della partecipazione alle decisioni che lo riguardano (cioè alle decisioni pubbliche che assume la Res Publica, lo Stato), la libertà è essenzialmente l'affermazione del valore del proprio lavoro e, prima ancora, della possibilità di averne uno, ponendo le basi (uniche lecitamente possibili, nel senso di non antisociali e quindi non realizzate mediante il danno ingiusto arrecato ad altri) per un'emancipazione dalla povertà e dal bisogno.

 

3. Questa schematizzazione, - che corrisponde a elementari riscontri delle dinamiche sociali che erano già chiaramente affermati dalle stesse "ipotesi" costituzionali della Rivoluzione francese -, ci spiega perché fondare un ordinamento sulla "libertà", indistintamente affermata a prescindere da chi ne sia e ne possa essere il vero beneficiario (qui, infine, la descrizione fenomenologica di Galbraith), sia un concetto vacuo ed apparente, cioè, in definitiva, artificiosamente dissimulatore della sostanza della vita sociale.

Il senso che tale indistinta "libertà" afferma implicitamente - perché se lo facesse esplicitamente la schiacciante maggioranza dei soggetti dell'ordinamento ne coglierebbe l'effetto "meccanico" di esclusione politica che ne consegue -, è quello di negare l'ineliminabile natura conflittuale della libertà, allorché essa sia riferita all'insieme generale (dunque, non selettivo e staticamente assunto) degli individui che compongono una concreta organizzazione sociale.

 

4. E negando tale insopprimibile natura conflittuale, cioè idealizzando la libertà in astratto, si mira oggettivamente a rendere illegittimo ogni tentativo di crescita generalizzata del benessere, esteso a tutte le classi sociali, e, inevitabilmente, a rendere illegittima l'attribuzione allo Stato della funzione primaria di garantirla.

Si afferma così quella strana contrapposizione tra meritocrazia, - i cui effetti sarebbero esclusivamente da rilevare in base alla presa d'atto, una volta per tutte, dell'esito della naturale competizione sociale, in quanto libera dall'interferenza di regole giuridiche che tutelino interessi meta-individuali-, e eguaglianza sostanziale (pp.7-8, per la definizione di Calamandrei e Basso), che invece si fonda sulla esigenza normativamente stabilita di redistribuzione ex ante, onde consentire a ciascun individuo, senza esclusione di alcuno, di esprimere pienamente il proprio rispettivo potenziale, a giovamento dell'intera collettività, in modo da ottenere che questa produca la concreta massimizzazione delle risorse che in essa sono complessivamente racchiuse.

 

5. In sostanza negare che l'azione redistributiva dello Stato sia di giovamento all'intera società, ordinando invece la società sulla libertà formale (a mera apparenza "negativa"), implica, per necessità, che gli individui non solo siano in larga prevalenza scarsamente dotati di capacità effettivamente utili e idonee ad accrescere il benessere collettivo, ma pure che questa distribuzione diseguale delle capacità umane debba accompagnarsi a un ordinamento che cristallizzi, come unico equilibrio utile, il "dato" della inevitabile distribuzione ineguale dei meriti, comprovandolo a posteriori mediante l'accettazione della concentrazione della ricchezza in pochi individui, assunta come stato di fatto "trascendente" e naturalisticamente incontestabile. Appunto ciò che viene teorizzato come assetto allocativo efficiente di un sistema vincolato dalla scarsità di risorse.

5.1. E se dunque si nega a livello di filosofia politica generale, che lo Stato possa/debba perseguire la crescita del benessere di tutti, in quanto ciò risulterebbe abusivamente lesivo della statica libertà ("potere di") dei pochi, ne discende la negazione stessa della democrazia e della sostanza che la rende concreta e non meramente formale: la partecipazione effettiva di tutti i cittadini, in ampissima maggioranza lavoratori (dediti a ogni forma di attività lavorativa esprimente la rispettiva personalità e capacità) al processo decisionale collettivo, in funzione di progresso generale.

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