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lacausadellecose

Iran: caos e avanti tutta!

di Michele Castaldo

Come sono lontani i giorni delle oceaniche manifestazioni del 1979 contro gli Usa e dell’occupazione della sua ambasciata, con gli europei – la Francia in primis - che gongolavano perché fiutavano affari d’oro con quel paese. Un grande paese, ricco di materie prime, che pretendeva di sottrarsi dalle grinfie dell’imperialismo a Stelle e strisce, per un proprio sviluppo autoctono. E oggi? A distanza di soli 39 anni, dopo una guerra di dieci anni con l’Iraq – sostenuto in quell’infausto atteggiamento dal governo di Saddam Hussein, pro doma sua e per conto dell’impero del Male (gli Usa, sempre loro) – e un poderoso sviluppo economico, la crisi generale e mondiale del modo di produzione capitalistico comincia a bussare prepotentemente anche alle porte di uno dei più importanti paesi mediorientali.

Le scarse notizie riferiscono che la parte maggioritaria delle proteste si stia sviluppando in periferia. Nessuna meraviglia, anzi una ulteriore conferma: è nella logica capitalistica sviluppare le risorse concentrandole nei grandi centri urbani e impoverendo le periferie, specialmente in un paese con la necessità di recuperare un ritardo industriale e tecnologico nei confronti dell’Occidente. E l’Iran per cercare di farsi largo nella concorrenza sempre più agguerrita a livello internazionale deve ridurre drasticamente le spese statali e il costo della mano d’opera del proprio proletariato.

Così facendo, come paese, è finito stretto tra due fuochi: uno esterno, una infame campagna di propaganda in modo particolare degli Usa, sempre e ancora loro, e uno interno, il fuoco delle proteste di milioni di proletari impoveriti dall’accelerazione della borghesia iraniana e internazionale alla ricerca del profitto per uscire dalla crisi. Mentre il nemico esterno cerca di isolare con sanzioni un paese di 80 milioni di abitanti e di additarlo quale Stato canaglia, al pari della Corea del nord e chiunque cerca di sottrarsi ai ricatti occidentali, il nemico interno non vuole sentir ragioni, non accetta di finire martire di un’accelerazione produttivistica in nome di un’accumulazione del dio capitalistico e della concorrenza. Altro che Islam e veli disvelati.

Chi manovra i fomentatori? Siamo alle solite, i cosiddetti maitre ‘a penser cercano di rimuovere il vero soggetto che scatena la rivoluzione in Iran: la crisi del modo di produzione capitalistico che ondeggia sul globo terrestre. Gli Usa e/o gli europei cercano di utilizzare la rivolta contro il governo e la borghesia iraniana? Parole in libertà, gli occidentali temono come il fumo negli occhi quelle proteste perché sanno che si possono propagare a macchia d’olio e l’incauto Trump viene continuamente sollecitato alla cautela, invitato cioè a non evocare fantasmi che poi divengono incontrollabili, e la rivoluzione è incontrollabile.

C’è chi si domanda a chi conviene che la crisi in Iran precipiti, come se certe crisi si potessero dirigere da una scrivania. Così non è, perché il soggetto non è personalizzato, né personalizzabile, come si cerca di far credere. I personaggi alla Komeini, Aḥmadinežād, Kamenei, Rouhani o Trump, sono espressione di forze economico-sociali impersonali che essi sono chiamati a rappresentare. Esso - cioè il soggetto vero - che s’avanza anonimo e tremendo con le sue leggi, è il movimento generale del modo produzione capitalistico in crisi. Non la cattiveria o la stupidità dei governanti dei vari paesi, ma il meccanismo complessivo che è arrivato a uno stadio di ingolfamento di mezzi di produzione e merci, mentre intere aree geografiche sono entrate nell’agone dello stesso rivendicando il diritto di parteciparvi a pieno titolo e nel farlo devono comprimere il costo del lavoro e ridurre la spesa statale, impoverendo e affamando milioni di esseri umani. Un effetto domino senza nessuna possibilità di essere frenato. Una semplicissima legge meccanica dei rapporti sociali con i mezzi di produzione. E dunque abissus abissum invocat, e non è finita qui, perché più in là, nell’Estremo Oriente la storia ci riserverà qualche sorpresa maggiore dell’Iran in tempi non lontanissimi. E siccome il mondo è sferico, più si allontanano geograficamente le proteste e più si avvicinano verso l’epicentro del modo di produzione, quell’Occidente che per secoli lo ha esportato mentre con la crisi generale sta importando con il caos la rivoluzione.

Una rivoluzione che «gli stessi intellettuali di opposizione faticano a capire» - chiosa Viviana Mazza sul Corriere della Sera. Come potrebbero capirla gli intellettuali che partono dal proprio intelletto piuttosto che dal malessere che si accumula nel profondo della società. Cosa possono capire i cosiddetti accademici dell’impersonalità del moto-modo di produzione spiegato da Marx nel Capitale, se sono sempre alla ricerca del soggetto, identificandolo nella persona o personalità piuttosto che nella vitalità dei rapporti sociali sempre più impersonali?

«La gente è arrabbiata per tutto: la povertà, l’inquinamento, i terremoti degli ultimi mesi» riferisce il Corriere della sera (tu guarda un pò). Eccoli i caratteri della rivoluzione: impersonale, tremenda, improvvisa, violenta.

La signora Kadivar dice «Slogan contro tutti non c’è un leader né un obiettivo unico. Non è una rivoluzione». E no cara signora sono proprio i caratteri della rivoluzione a non essere compresi da chi presuppone la rivoluzione secondo un proprio modello. Le rivoluzioni sorprendono sempre, in modo particolare quelli che pretendono di dirigerle senza capire che prima si distrugge e sulle sue macerie si costruisce. Quale rivendicazione è più chiara della lotta contro la miseria e la disoccupazione? Quali armi migliori dell’uso della forza contro la forza opprimente e soffocante di un moto-modo di produzione definito addirittura dal papa Francesco come modello ormai superato. Il prima non può essere distrutto pensando a quello che verrà. Il prima viene distrutto per i guasti prodotti. Non a caso qualche manifestante alla domanda cosa speri di ottenere risponde: «non lo so e non mi interessa» perché per sfamare è necessario distruggere quel che affama.

In che modo finirà questa ondata di proteste in Iran, che ripetiamo si ascrive alla marcia inarrestabile della rivoluzione in cammino. Proviamo a rispondere analizzando la natura delle forze che si sprigionano in quel paese, che sono composite, come in ogni rivoluzione. Ci sono masse impoverite dalla crisi, anche di ceto medio bruciate sull’altare di una rabbiosa centralizzazione dell’economia, di nuovi livelli di disoccupazione giovanile, ma anche settori delle nuove generazioni che guardano laicamente all’Occidente “democratico”, ai suoi costumi e ai suoi “valori”, inutile negarlo: le luci dell’Occidente abbagliano ancora, e quel velo bianco innalzato a simbolo di libertà da una donna, e non fatto sparire dagli altri manifestanti, la dice lunga sulle aspirazioni di molte donne di liberarsi dai fardelli della conservazione religiosa e far librare il proprio corpo al consumismo capitalistico di tipo occidentale. Azzardiamo perciò la più semplice delle ipotesi: la borghesia iraniana sarà costretta, sempre per tenere botta nella concorrenza internazionale, a concedere molto poco e a reprimere molto di più.

Qual è la differenza tra le proteste di questo inizio 2018 rispetto al 1979? Mentre la rivoluzione del 1979 si collocava in una fase ancora di espansione complessiva dell’accumulazione capitalistica su scala mondiale sfociata nell’ultraliberismo, le rivolte odierne in Iran e non solo si collocano in una fase di decelerazione dell’accumulazione a scala planetaria senza possibilità che tale tendenza possa essere invertita. Insomma il moto-modo di produzione capitalistico con le sue leggi sta arrivando lì dove poteva e doveva arrivare. Per queste ragioni aumenta da un lato l’arroganza delle potenze maggiori in crisi, come gli Usa, mentre dall’altro lato una borghesia tecnocratica e un apparato dello Stato ben decisi a giocare un ruolo di primo piano nell’area mediorientale sono disposti a tutto.

Per paradossale che possa apparire a qualche superficiale analista diciamo che tanto il movimento di massa antigovernativo quanto un eventuale movimento antioccidentale, reazionario e conservatore, di tipo governativo, favoriscono l’aggravarsi della crisi e la possibilità che essa si estenda all’intera area. Pertanto la natura di entrambi i movimenti è oggettivamente anticapitalistica, cioè antisistema, al di là di cosa pensano i leader politici e religiosi governativi o eventuali leader che l’ondata di proteste di questi giorni dovessero esprimere. Perché il vero soggetto dell’antisistema è il movimento che va a infrangere i criteri della concorrenza, ad aumentare cioè le difficoltà dell’accumulazione di capitale, al suo riprodursi continuamente, dovunque esso si manifesta.

Purtroppo se le proteste dovessero essere circoscritte al solo Iran, questo rappresenterebbe il vero tallone di Achille. Si tratterebbe di un’ondata destinata nell’immediato a rifluire senza grandi sconvolgimenti, ma entrando come un cuneo nella crepa di tutta l’area destinata a divampare come mai in tutta la sua storia.

I comunisti materialisti guardano con estremo favore al caos che avanza, foriero di un’implosione generalizzata del moto-modo di produzione capitalistico.

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