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sinistra

Anche oggi “ogni cuoca deve imparare a dirigere lo stato”

di Fabrizio Poggi 

Non sono astensionista di principio. C'è stato anzi un periodo, agli inizi della mia ormai non breve “carriera” di elettore, in cui mi riusciva difficile comprendere appieno l'indicazione di annullamento della scheda elettorale, con scritte come “W Lenin”, “W Stalin” ecc. Ma mi adeguavo per disciplina. Si diceva, allora, che fosse necessario innanzitutto liquidare le “illusioni parlamentari”. E ogni volta, alla maniera di quei populisti russi, irrisi da Lenin, che “andavano al popolo e ne ricevevano sonore legnate”, anche noi “antiparlamentaristi” uscivamo abbastanza “bastonati” dalle tornate elettorali - in senso figurato, ovviamente: la speranza o l'illusione di cambiare il sistema con il voto era ancora tantissimo radicata. La questione si presenta oggi, in maniera rovesciata, con la lista elettorale Potere al Popolo.

Nel 1920, Lenin, dopo la polemica coi bordighiani italiani, nella Lettera agli operai austriaci scriveva che “Noi, comunisti, entriamo nel parlamento borghese, per smascherare l'inganno da quella tribuna di un istituto capitalista interamente imputridito in cui si ingannano gli operai e i lavoratori. Finché non abbiamo la forza di sciogliere il parlamento borghese, dobbiamo lavorare contro di esso sia dentro che fuori.

Finché un numero abbastanza significativo di lavoratori … hanno ancora fiducia negli strumenti borghesi- democratici di inganno degli operai da parte della borghesia, noi dobbiamo chiarire l'inganno proprio da quella tribuna, che gli strati arretrati degli operai e in particolare delle masse lavoratrici non proletarie considerano come il più importante, il più autorevole” Oggi, le percentuali di astensionismo – tengo a specificare: astensionismo; non annullamento cosciente del voto - sono tali, quasi da capovolgere la questione che la sinistra cosiddetta extraparlamentare poneva quarant'anni fa. Non sono un sociologo e tantomeno un economista e non mi azzardo quindi a parlare delle strade (parcellizzazione produttiva; frantumazione del lavoro; decomposizione sociale e dispersione e scomposizioni di classe, ecc.) attraverso cui il capitale ha tentato la propria stabilizzazione e non mi avventuro nemmeno a disquisire su come l'attuale quadro partitico si differenzi da quello di alcuni decenni fa. Per un momento, prendo come “dato di fatto” odierno la questione dell'astensionismo e mi avventuro a pensare che esso sia un prodotto (forse) diretto di quelle strade e di quel quadro.

A proposito di Potere al Popolo, nelle scorse settimane si è citata, a torto e a ragione, la famosa “cuoca” leniniana che “deve imparare a dirigere lo stato”. In effetti, sappiamo che non tutte le “cuoche” di Lenin, nell'immediato e nella loro totalità, furono di fatto in grado, subito, seduta stante, una volta conquistato il potere, di dirigere lo stato. Sappiamo di contadini, operai metallurgici, carpentieri (Kalinin, Šmidt, Vorošilov, Bljukher; per citare solo alcuni dei più noti) assurti subito alle più alte cariche statali e militari. Nella larga maggioranza, le “cuoche” e i “cuochi”, cui la Rivoluzione, pochissimi giorni dopo il 7 novembre, affidò il controllo su fabbriche, banche nazionalizzate, ministeri, esercito, se non ne furono messi immediatamente a capo, furono però in grado, e lo fecero per davvero, con competenza e coscienza, di controllare, tenere sotto strettissima sorveglianza, far lavorare per il Potere Proletario, tutti i “competenti” cui si fu costretti a rivolgersi nell'immediato, per dirigere fabbriche, enti amministrativi, forze armate, in attesa che le “cuoche” prendessero confidenza con quei compiti. Ma, per far questo, per poter mettere i “competenti” al lavoro per il “popolo”, è sottinteso che il potere statale sia nelle mani delle “cuoche”; è necessario che esse detengano il potere, prima di tutto per liquidare quei trattati sovranazionali di cui oggi si è ostaggio. Dunque, la questione centrale, ancora una volta, è quella del potere.

Non a caso, nel programma di Potere al Popolo, si afferma di lottare per “rompere l’Unione Europea dei trattati, rifiutare l’ossessione della “governabilità”, lo svuotamento di potere del Parlamento, il rafforzamento degli esecutivi”, ecc. Si intende farlo, o si crede di poterlo fare, a partire principalmente dai seggi parlamentari, come forse intendono alcune delle formazioni organizzate che partecipano a PaP?

In alcune affermazioni di PaP, si dice di voler ridar speranza a tutti quelli che hanno perso fiducia nella politica; dunque, anche e soprattutto, a quei milioni di operai, di disoccupati, sottoccupati, giovani, pensionati, che da anni non hanno più fiducia in questa o quella formazione che dice di rappresentarli in parlamento e che, in realtà, non ha fatto che perpetuarne e approfondirne lo scarnamento più selvaggio. Siamo sicuri che la sola presentazione del programma di PaP sia sufficiente a ridare speranza e fiducia a tutti coloro che “non credono più nella politica” (certo, in parecchi casi, è molto sottile la linea tra sfiducia e astensionismo “coscienti”, da un lato, e indifferenza, disinteresse, apatia e disaffezione, dall'altro) e non si rischi invece di convogliare, nella sola tornata elettorale, preziosissime energie che, se il risultato non fosse quello atteso, la delusione rischierebbe di veder perse, e per parecchio tempo non disponibili, per il necessario e doveroso lavoro di aggregazione e organizzazione politica rivolto proprio verso quei settori di risoluto astensionismo?

Se insieme al programma, dettagliatissimo, non si spendono due parole per scrivere, quantomeno, quale sia il tipo di “fiducia” che i comunisti che partecipano a PaP ripongono nel parlamento della borghesia, del capitale, dei trattati; quale sia il compito dei comunisti in quel parlamento, come intendano utilizzarlo, sembra quasi di voler ridare fiducia nel parlamento della borghesia, infondere la speranza che si possa, direttamente dai suoi scranni, davvero cambiare, che si possa “rompere l'Unione Europea” e ridare “potere al parlamento”. E' probabile che alcune delle formazioni attive in PaP ne siano davvero convinte.

Nella lista sterminata di propositi enunciata nel programma e, ora, nelle centinaia di assemblee che stanno definendo le liste dei candidati, non si è trovato spazio (spero di sbagliarmi) per un accenno al ruolo e ai compiti che dovranno essere assegnati a quei candidati che eventualmente dovessero finire in parlamento. Non si dice cosa debbano fare gli eventuali eletti, cosa debbano denunciare in parlamento: i singoli provvedimenti dei governi di “sua maestà” Bruxelles, o invece il carattere stesso del parlamento in quanto istituzione di classe, lontano da quella prospettiva di “governo a buon mercato” avanzata da Marx e in cui la cuoca di Lenin costituiva proprio l'antitesi del parlamentarismo ed evocava invece una forma di potere statale alla cui base stessero i lavoratori organizzati?

Nelle tesi su “I partiti comunisti e il parlamentarismo”, enunciate nel 1920 al secondo Congresso del Comintern, si diceva che “L'atteggiamento dei partiti socialisti verso il parlamentarismo è consistito sin dall'inizio, già all'epoca della I Internazionale, nell'utilizzare i parlamenti borghesi per l'agitazione. La partecipazione al parlamento era considerata dal punto di vista dello sviluppo dell'autocoscienza di classe, cioè del risveglio dell'ostilità di classe del proletariato verso verso le classi dominanti”. E ancora: “Al momento attuale, il parlamento non può in alcun modo rappresentare per i comunisti un'arena di lotta per le riforme, per il

miglioramento delle condizioni della classe operaia. Il centro di gravità della vita politica si è spostato completamente e definitivamente fuori del parlamento. D'altra parte, la borghesia … è costretta a condurre, in un modo o nell'altro, parte delle proprie azioni, attraverso il parlamento, in cui cricche diverse mercanteggiano il proprio potere, mostrano i propri lati forti e scoprono quelli deboli, si compromettono, e così via. Per questo, compito storico diretto della classe operaia è quello di strappare questi apparati dalle mani delle classi dominanti, spezzarli, liquidarli e creare al loro posto nuovi organi del potere proletario. Al tempo stesso, lo stato maggiore della classe operaia, per agevolare tale obiettivo distruttivo, ha pieno interesse ad avere una propria unità di ricognizione negli istituti parlamentari della borghesia”.

Si stanno spendendo (giustamente) grosse energie in una campagna elettorale tutta in salita. Ma, vogliamo scrivere nel programma che vogliamo spendere altrettante energie per far sì che quei milioni che oggi non vanno a votare riacquistino fiducia, non tanto nel parlamento, quanto nella capacità collettiva, nelle azioni di massa, per liquidare il sistema dello sfruttamento capitalista?

In generale, “Ogni lotta di classe è una lotta politica, giacché essa, in ultima analisi, è lotta per il potere. Ogni sciopero che abbracci l'intero paese, comincia a minacciare lo stato borghese e acquista con ciò stesso carattere politico”, affermavano quelle tesi dell'IC. Così che “la questione della lotta politica non si riduce alla questione dell'atteggiamento verso il parlamentarismo. Si tratta della questione generale della lotta di classe del proletariato, dato che questa lotta si trasforma da limitata e settoriale in lotta per il rovesciamento dell'ordine capitalista generale”. E dunque “il partito del proletariato deve rinforzare tutte le posizioni legali conquistate, trasformandole in basi d'appoggio sussidiarie del proprio lavoro rivoluzionario e assoggettando tali posizioni al piano della campagna generale, della campagna della lotta di massa”. E una di tali basi sussidiarie è rappresentata dalla “tribuna del parlamento borghese. … Il partito comunista entra in questa istituzione non per condurvi un lavoro organico, bensì per aiutare le masse, attraverso il parlamento, a far saltare la macchina statale della borghesia e lo stesso parlamento dall'interno”.

Vogliamo scrivere nel programma che siamo disposti a spendere altrettante energie affinché la “stessa campagna elettorale [venga] condotta non nello spirito della rincorsa al massimo numero di mandati parlamentari, bensì nello spirito della mobilitazione rivoluzionaria delle masse, sotto lo slogan della rivoluzione proletaria.”?

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