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Risposta sull'euro

di Aldo Barba e Massimo Pivetti

Con piacere riceviamo e pubblichiamo la risposta dei professori Aldo Barba e Massimo Pivetti alla domanda specifica da noi posta sull’euro e sulla flessibilità del cambio in occasione dell’intervista del Collettivo Aristoteles, nella quale appunto questo tema non era affrontato in maniera diretta.  Il nostro intento era di sollecitare un dialogo rispettoso, chiaro e sperabilmente proficuo tra tutti coloro che hanno una posizione critica nei confronti dell’integrazione europea e delle politiche che ne derivano, ma spesso si dividono (anche ferocemente) su aspetti che, a nostro modesto avviso, appaiono marginali rispetto alla enorme portata dei problemi che ci troviamo ad affrontare. Offriamo dunque la risposta dei professori alla valutazione e ai commenti dei lettori, accompagnandola, al termine, con qualche breve osservazione.

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“Voci dall’Estero, nel dare visibilità all’intervista fattaci dal collettivo torinese Aristoteles, ci pone ulteriori quesiti circa il tema dell’uscita dall’euro e della flessibilità del cambio.

Non ci sembra possano esservi grandi dubbi sul fatto che ‘un ritorno alla sovranità monetaria e fiscale porterebbe necessariamente all’uscita dall’euro’. Il pieno utilizzo delle leve di politica economica finalizzato al conseguimento dell’obiettivo del pieno impiego, come argomentato nell’intervista e più compiutamente ne ‘La Scomparsa della sinistra in Europa’, è impedito dai vincoli europei.

Il punto centrale da cogliere, però, è che tali vincoli non si esauriscono nella fissazione del cambio, ma riguardano prima di tutto la libera circolazione dei capitali e delle merci.

In assenza di coordinamento in senso espansivo delle politiche economiche di un gruppo di paesi che siano importanti partner commerciali, ci sono solo tre modi in cui un singolo paese può affrontare il problema della sua bilancia dei pagamenti con il resto del mondo. Il primo è crescere meno degli altri, in pratica rinunciare a perseguire politiche di piena occupazione. Il secondo è quello cui si fa riferimento nella domanda di Voci dall’Estero: puntare sulla flessibilità del tasso di cambio per difendere la competitività della produzione interna, in pratica poter ricorrere alla svalutazione  per contenere le importazioni e sostenere le esportazioni. Il terzo è quello suggerito dalla nostra analisi: ricorrere a controlli amministrativi delle transazioni finanziarie e commerciali con l’estero. Noi siamo critici nei confronti di una visione della sovranità nazionale come essenzialmente funzionale al ripristino della flessibilità del cambio. E lo siamo soprattutto quando questo ‘meccanismo di riequilibrio automatico’ è reputato un fattore in grado di assicurare la convivenza tra le politiche del pieno impiego e la libera circolazione dei capitali e delle merci.

In ogni caso, le svalutazioni competitive equivalgono sostanzialmente a peggioramenti delle ragioni di scambio e sono inflazionistiche attraverso i prezzi delle merci importate non sostituibili con produzione interna. Questi loro effetti si scaricherebbero certamente sui salariati nelle presenti condizioni di azzeramento del loro potere contrattuale e di pressoché totale assenza di difesa dei salari reali dall’inflazione.

Chiunque consideri il ripristino della sovranità nazionale in campo monetario e fiscale la condizione del ritorno a un assetto distributivo come quello che precedette la mondializzazione liberista, nutrirebbe illusioni se non si convincesse che un paese emancipatosi dall’eurosistema deve ricorrere ai controlli delle transazioni con l’estero e al contempo adoprarsi con ogni mezzo per mantenere il controllo del valore interno ed esterno della sua moneta.”

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La prima osservazione non può non essere il constatare che, pur se non detto espressamente nell’intervista, anche Barba e Pivetti condividono l’inevitabilità dell’uscita dall’euro se si vuole riconquistare la sovranità monetaria e fiscale. Quanto al punto richiamato dagli autori relativo alla necessità di limitare la circolazione dei capitali, tutto il pensiero no euro, a quanto ci risulta, l’ha sempre considerato uno dei punti necessari, insieme all’abbandono del principio dell’indipendenza della banca centrale, a partire dallo storico “Tramonto dell’euro” di Alberto Bagnai. Quindi, nessuna reale diversità di vedute in proposito, se non forse una certa differenza di accento che noi poniamo nel considerare il ritorno alla moneta nazionale non solo un fatto che a un certo punto diverrebbe necessario o inevitabile, quanto un obiettivo in se stesso vitale (da perseguire nei tempi e nei modi possibili, certo) nel momento in cui si riconosce nell’euro lo strumento di dominio del capitale sul lavoro e il grimaldello per la distruzione della democrazia e dello stato sociale europeo. D’altra parte, anche su questa visione dell’euro non pare esistere una reale diversità di vedute, in quanto lo stesso Pivetti in questo video  definisce l’euro come lo “strumento diabolico di un progetto consapevolmente perseguito di drastico indebolimento dei lavoratori salariati, per ridurne drasticamente e a tempo indeterminato il potere contrattuale”.  

Altre osservazioni sarebbero da fare sulle richiamate “svalutazioni competitive” o sull’effetto inflazionistico della svalutazione che si potrebbe scaricare sui salari, aspetti sui quali è sicuramente possibile aggiungere delle considerazioni rilevanti.  Per il momento, tuttavia, ci limitiamo a sottolineare i punti in comune e lasciamo spazio agli ulteriori contributi da parte dei lettori.  

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