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controlacrisi

La tecnologia del capitale. A febbraio un convegno a Pisa

di Federico Giusti

Si va diffondendo l’idea, anche negli ambienti politicamente e culturalmente radicali, che i processi tecnologici siano inevitabili e inarrestabili e per questo motivo non ci resterebbe che subirli scendendo a compromessi onorevoli . Nulla, secondo certe teorie, è possibile per arrestare i processi di automazione, da qui la rivendicazione di un reddito di cittadinanza rafforzando al contempo la cultura del rifiuto del lavoro come risposta a quel lavoro gratuito affermatosi dentro quella economia della promessa.

Queste teorie ormai considerano irrilevanti i movimenti politici e sociali, inadeguati e incapaci a cogliere le trasformazioni e a contrastarne la realizzazione pratica. Certo che gli stessi movimenti e le realtà organizzate debbono rivedere profondamente il loro stesso modo di agire, uscire dalla logica della rappresentanza istituzionale che facendola da padrona induce a ogni forma di compromesso, a subire e sottoscrivere accordi sindacali indecorosi come il testo unico sulla rappresentanza o i bonus al posto degli aumenti contrattuali (tanto per restare all'ambito sindacale) o a calarsi nelle dispute elettorali dimenticando ogni altro impegno nella speranza, mai sopita, di occultare la perdita del consenso reale dietro a qualche parlamentare.

Il discorso ci porterebbe lontani, ossia alla questione del potere e alla idea che si possa cambiare la società capitalistica al suo interno, una illusione che ha già prodotto danni nefasti, dal terzo settore diventato una industria basata sul ricatto dei soci e sulla precarietà fino alle teorie della fine del lavoro con l’operaio massa sostituito dalla partita iva. Con il tempo abbiamo visto che le partite iva non sono in aumento ma in continua diminuzione, settori avulsi dalla classe operaia tradizionale (i facchini per esempio) subiscono processi analoghi a quelli dell'operaio tradizionale, anzi al fordismo si è aggiunto l'algoritmo per accescere lo sfruttamento.

Di sicuro siamo in grande ritardo perfino nella comprensione dei processi tecnologici, degli algoritmi a dettare i tempi e le modalità del lavoro, incapaci di guardare criticamente a Industria 4.0 con tutte le sue ripercussioni sul sistema fiscale, sul welfare (i bonus andranno a sostituire gli aumenti contrattuali, il contratto nazionale affossato dal secondo livello di contrattazione che grazie al sistema delle deroghe annullerà gran parte delle conquiste degli ultimi decenni abbattendo il potere di acquisto e di contrattazione), sull’organizzazione materiale del lavoro che ha bisogno di sempre maggiore flessibilità (salariale, oraria e contrattuale), di ridurre ai minimi termini gli spazi di agibilità (da qui scaturisce la necessità dei padroni di approvare una nuova legge atta a cancellare di fatto il diritto di sciopero)

A Pisa un gruppo eterogeneo di attivisti (dai delegati del sindacato generale di base ai collettivi antipsichiatrici, dalla redazione del giornale lotta continua a pochi intellettuali non organici al think thank dominante) ha iniziato un percorso di analisi e lettura collettiva ragionando sui testi di Renato Curcio e sui processi di Industria 4.0 (a metà febbraio, Sgb organizzerà un convegno in una casa del popolo della provincia di Pisa, luogo scelto non a caso per riportare dentro questi luoghi, un tempo di socialità e di mutuo soccorso, la discussione e il dibattito sulla ristrutturazione capitalistica).

Non si tratta di demonizzare il digitale, o la rivoluzione del silicio, non siamo in presenza della abiura del presente e del futuro, vogliamo solo provare a leggere i cambiamenti in atto come un ulteriore processo di rafforzamento del capitale e delle sue istituzioni.

Gli esseri umani sono sempre meno dialoganti, le relazioni umani e sociali rischiano di essere soppiantate dalle connessioni digitali e dalla solitudine dei singoli sempre meno capaci di interloquire nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nella società.

La innovazione tecnologia ha operato innumerevoli e complessi progetti , non ci rendiamo conto dei cambiamenti operati anche a livello lavorativo e sociale. Dentro l’economia della promessa è cresciuta la subalternità e la ricattabilità della forza lavoro e degli studenti ma anche il progressivo isolamento delle generazioni piu’ anziane, vittime di una propaganda mediatica che ci spinge ad assumere atteggiamenti xenofobi e razzisti.

E’ innegabile che il sistema di produzione capitalistico indirizzi verso le periferie dell’Impero (permetteteci una volta tanto di citare Negri) il suo volto brutale, basti ricordare le fabbriche della Foxxon o le condizioni di vita nei paesi piu’ poveri.

Allo stesso tempo nelle periferie urbane vengono ricacciati gli ultimi per sradicarli dai centri storici, espellerli dal salotto delle città vetrina. E’ cosi’ si affermano i daspo contro il degrado urbano dentro quella cultura securitaria che ha saputo cancellare i problemi sociali affermando la priorità del tema sicurezza, mentre le politiche sociali ed economiche stanno accrescendo l’esercito dei senza lavoro, dei poveri schiacciati da iniquità e rassegnazione.

Si va affermando l’idea che non esista alternativa al capitalismo, la rassegnazione è finalizzata a cancellare ogni tutela collettiva, nascono cosi’ i lavori sottopagati, i call center con la forza lavoro pagata 3\4 euro all’ora, le piattaforme che danno la illusione a lavoratori subordinati e sfruttati di essere degli autonomi liberi di decidere quando e come lavorare , mentre in realtà accade l’esatto contrario.

Le istituzioni totali della nuova società digitale stanno modificando anche il nostro modo di pensare e di agire, per questo urge una lettura critica, lo dobbiamo fare in fretta in ogni ambito, dalla analisi sociologica a quella un tempo definita inchiesta di classe investendo anche l'agire sociale, politico e sindacale.

La tecnologia non è neutra, è al servizio del capitale per accrescerne i profitti e rinnovare costantemente il modo di produzione capitalistico. Se i prodotti del consumo di massa hanno decisamente migliorato la qualità della vita di uomini e donne (dal frigorifero al congelatore che ci sottrae dall'obbligo di fare la spesa una o due volte al giorno fino alla lavatrice, alla lavastoviglie, al robot per le pulizie che hanno sicuramente ridotto la fatica domestica nella cura della casa), non dimentichiamo che la loro produzione è stata dirimente per allargare i mercati e realizzare prodotti destinati a un vasto pubblico di acquirenti.

Lo stesso dicasi per la produzione delle vetture automobilistiche che hanno rivoluzionato anche il modo di pensare degli umani riducendo distanze un tempo giudicate rilevanti e oggi decisamente irrisorie. La vettura è stata uno strumento di libertà (chi non ricorda i racconti dei padri o dei nonni sulle macchine con i sedili ribaltabili?) ma anche, anzi soprattutto, molto altro.

Non si mette in discussione l'utilità dei prodotti ma è altrettanto innegabile che l'uso capitalistico fatto di questi prodotti è stato dimenticato, o meglio occultato da una pubblicità totalizzante finalizzata alla vendita .

Un po' come accade con il toyotismo e l'automatizzazione delle fabbriche metalmeccaniche, il robot e la tecnologia hanno cancellato migliaia di posti di lavoro ma allo stesso tempo non hanno eliminato i reparti confino dove si trova la forza lavoro scomoda, piu' conflittuale.

La tecnologia e la digitalizzazione hanno velocizzato la produzione dentro le fabbriche, incrementanto la produzione abbattendo i tempi morti per accrescere i profitti, la crescita esponenziale delle quotazioni in borsa del titolo ex Fiat stride con il crollo salariale degli operai e anche quando sono stati accordati aumenti , la merce di scambio era la totale assuefazione ai tempi e modi di prdurre. A Pomigliano, in dieci anni, siamo passati da 14 mila a 1500 operai.

I robot introdotti laddove c'erano piu' infortuni e malattie come nei reparti di lastrosaldatura, il robot al posto degli operai che svolgeva mansioni pericolose e cosi' rischiose da provocare ogni giorno infortuni e malattie, quindi si è pensato al robot che puo' guastarsi ma non si ammala, non si infortuna, non muore perchè viene programmato per alcuni anni , passati i quali verrà sostituito dal prodotti tecnologici nuovi.

Il robot isola gli operai, non li mette in collegamento tra di loro, i robot hanno dettato una nuova metrica del lavoro che ha accresciuto lo sfruttamento e reso ancora piu' dura la prestazione lavorativa. L'uso capitalistico della tecnologia per incrementare i profitti senza neppure portare qualche miglioramento alla qualità delle nostre vite come nel caso dei prodotti del consumo di massa. alienati, sfruttati, deprivati di ogni capacità relazionale, avulsi da un contesto collettivo per rendere possibile una contrattazione individuale tra padrone ed operaio a solo vantaggio del primo.

La robotizzazione non ha ridotto le malattie, lo stress e gli infortuni, sono aumentati , idem le patologie contratte sul lavoro, avremo magari infortuni meno gravi (ma sovente il rischio viene trasferito altrove, nela catena delle delocalizzazioni produttive) ma sicuramente la nuova organizzazione del lavoro risulta logorante disumana.

.La ossessiva tempistica della nuova metrica sul lavoro sta poi creando non solo problemi fisici ma psichici, è ormai assodato che per reggere il ritmo del lavoro si faccia uso anche di sostanze dopanti, ogni spazio o momento viene monitorato, l' errore umano diventa motivo per il procedimento disciplinare e l'accanimento repressivo del datore di lavoro il cui controllo sul singolo operaio è diventato asfissiante.

Si realizza in questo modo il controllo dispotico sulla forza lavoro a dimostrare che il modo di produzione capitalistico, al potenziamento del quale si presta la tecnologia, tende a cancellare gli spazi di libertà al suo interno e non solo in ambito produttivo ma anche nella società attraverso dispostivi securitari che si servono, a loro volta, della tecnologia per sorvegliare le devianze e punirle.

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