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micromega

Lo Stato sociale in un solo Paese

I Socialdemocratici tedeschi verso la quarta Grande coalizione

di Alessandro Somma

E così, alla fine, i Socialdemocratici tedeschi hanno detto sì. Daranno vita a una Grande coalizione con i Cristianodemocratici di Angela Merkel: la quarta, dopo quelle che hanno sostenuto l’esecutivo presieduto da Kurt Georg Kiesinger, politico dall’inquietante passato nazista (1966-69), il primo e il terzo governo Merkel (2005-09 e 2013-17). La prima volta con la Cancelliera era stata preceduta da affermazioni bellicose: i massimi dirigenti della Spd avevano giurato che mai e poi mai avrebbero accettato un esecutivo non guidato dal loro leader di allora, Gerhard Schröder. Anche recentemente Martin Schulz aveva urlato ai quattro venti che l’alleanza con i Cristianodemocratici non era cosa, che aveva capito la lezione: si era trattato di un abbraccio mortale, principale responsabile del crollo di consensi elettorali dimezzatisi nell’arco degli ultimi vent’anni (dal 40% del 1998 all’attuale 20%).

Quindi nulla di nuovo e imprevedibile. In linea con il lento e oramai definitivo allineamento dei Socialdemocratici all’ortodossia neoliberale, non a caso iniziato con la loro partecipazione alla prima Grande coalizione, e conclusosi con il secondo governo presieduto da Schröder: quello che ha mortificato lo Stato sociale tedesco e provocato un impressionante impoverimento dei lavoratori.

Proprio su questo fronte la nuova Grande coalizione sembra possa portare a qualche timido miglioramento: un leggero innalzamento della tutela dei lavoratori, un lieve miglioramento dell’assistenza sanitaria e un piccolo piano di investimenti pubblici. Si tratterebbe di una iniezione di politiche keynesiane appena percettibile per un esecutivo che, per il resto, rimane fortemente ancorato al suo credo neoliberale: quello per cui il risanamento dell’economia passa dall’austerità.

È poco ma è pur sempre meglio di niente, osservano alcuni in Germania e non solo: potrebbe essere il preludio a un cambio di rotta a livello europeo.

Ebbene, nulla di più infondato. Tutt’al più i tedeschi seguiranno i consiglio formulati dalle colonne del prestigioso settimanale progressista der Spiegel, che in un editoriale di alcuni anni fa chiedeva l’allentamento delle politiche di austerità tedesche, invocando un piano di investimenti per rilanciare l’economia attraverso il sostegno alla domanda. Ovviamente, però, il tutto non doveva valere per l’Europa, che anzi doveva proseguire lungo la strada del rigore. In cambio la Germania, con la ricchezza prodotta dal ritorno delle politiche keynesiane, avrebbe creato posti di lavoro per gli europei meno fortunati, avrebbe cioè redistribuito loro risorse in quanto Gastarbeiter: i lavoratori ospiti utilizzati negli anni Cinquanta e Sessanta a cui si deve il boom economico tedesco, allontanati nel momenti in cui le loro braccia erano divenute superflue.

Insomma, i tedeschi si preparano forse a rilanciare qualche politica di redistribuzione della ricchezza dall’alto verso il basso, ma lo fanno adattando alla situazione il noto slogan staliniano: socialismo in un solo Paese. Qui siamo allo Stato sociale in un solo Paese, con l’Europa tenuta a proseguire lungo la strada tracciata e ribadita nei nuovi interventi della Commissione: quelli volti a completare l’Unione economica e monetaria. Lì si parla di Ministro europeo delle finanze, di Fondo monetario europeo e di Fiscal compact, ovvero di pareggio di bilancio e di rientro dal debito. Il tutto rafforzando il meccanismo per cui l’appartenenza alla costruzione europea presuppone il vincolo a ridurre la spesa sociale, a realizzare le privatizzazioni e le liberalizzazioni, e a precarizzare e svalutare il lavoro. Rafforzando e spoliticizzando quel vincolo: stabilendo cioè ulteriori automatismi per l’applicazione delle ricette neoliberali e affidando sempre più ai tecnocrati la sorveglianza dei comportamenti degli Stati nazionali.

Sono questi i fondamenti del mitico asse franco-tedesco, che il Presidente francese occulta dietro la cortina fumogena di visioni oniriche sul futuro di un’Europa democratica e solidale. Merkel e Schulz badano al sodo, evitano le retoriche stucchevoli di Macron e ci forniscono, ora più che mai, seri motivi per mettere in discussione la costruzione di questa Europa. Del resto, se a Bruxelles si gioca una partita, è quella tra francesi e tedeschi, gli eterni contendenti pronti a tutto pur di ricavare dall’Unione vantaggi per i loro Paesi, e per sacrificare a questo obiettivo gli interessi altrui.

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