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petiteplaisance

Vecchio e nuovo schiavismo

di Salvatore Bravo

Il collare e le catene delle navi negriere, sono ora sostituiti dal controllo digitale, un panopticon che controlla per spezzare sul nascere la possibilità di un pensiero che voglia progettare un mondo altro

Marx, per argomentare tale tesi, ricostruisce la genesi del capitale, l’accumulazione originaria del capitale. Tra le condizioni che hanno permesso lo sviluppo del capitalismo Marx enumera una serie di cause tra cui il commercio triangolare. Quest’ultimo denuncia la vera natura del capitalismo, ne smaschera la sostanza in modo inequivocabile. Il commercio triangolare tra Inghilterra, Africa (Guinea), e continente americano nel sedicesimo e diciasettesimo secolo, ha consentito una enorme eccedenza in denaro e la produzione del cotone a costo zero. Entrambe le variabili sono tra le precondizioni più importanti per l’affermarsi della prima Rivoluzione industriale. Se per mare il cattivo infinito del denaro – rompendo ogni legge della misura, della razionalità e dell’etica – imperversava e si concretizzava nelle navi negriere, in terra il capitale ungulato mostrava il suo volto con le recinzioni.

Sia nel caso delle navi negriere che nelle recinzioni in Inghilterra, si assisteva alla deportazione coatta e violenta di popoli e culture da un contesto in un altro al fine della produzione.

Le recinzioni necessarie a trasformare il latifondo in azienda agricola, impedivano l’uso comune delle terre. Il latifondo conservava una parte comune delle terre nelle quali i contadini potevano procurarsi cibo, legna, coltivare orti o piccoli appezzamenti di terra per la famiglia o per la comunità. Con le recinzioni si assiste alla scomparsa di un popolo costretto a servire il capitale in città fumose e anonime. Con le recinzioni scompare l’abitudine a condividere, si afferma l’individualismo borghese sancito da Hobbes come da Locke. La volontà dei deportati non ha mai contato, la sopravvivenza li ha costretti a vivere l’esperienza distruttiva della fabbrica.

Se in terra il movimento coatto è dalla campagna alla città, o meglio alla fabbrica, in mare è da continente a continente. Le navi negriere sono l’espressione concreta e metaforica della “cultura” della fabbrica e del potere disciplinare. Nelle navi come nelle fabbriche, gli spazi erano organizzati secondo un calcolo razionale: legati l’un l’altro con catene, per poter accumulare più schiavi possibili, si calcolava per ciascun nero lo spazio e la quantità di cibo e d’acqua necessarie. Nel caso non sopravvivessero per le cattive condizioni igieniche, per le malattie e per il terrore, la merce umana era gettata in acqua. Le navi negriere erano munite di assicurazione qualora accadessero incidenti in mare e dunque il carico fosse perso. Marx, nel primo libro del Capitale, svela l’essenza mondana del capitale attraverso la ricostruzione storica e genealogica del fenomeno capitalismo:

«I vari momenti dell’accumulazione originaria si distribuiscono ora, più o meno, in successione cronologica, specialmente fra Spagna, Portogallo, Olanda, Francia e Inghilterra. Alla fine del secolo XVII quei vari momenti vengono combinati sistematicamente in Inghilterra in sistema coloniale, sistema del debito pubblico, sistema tributario e protezionistico moderni. I metodi poggiano in parte sulla violenza più brutale, come per esempio il sistema coloniale. Ma tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata della società, per fomentare artificialmente il processo di trasformazione del modo di produzione feudale in modo di produzione capitalistico e per accorciare i passaggi. La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica.

Un uomo famoso per il suo senso critiano, W. Howitt, così parla del sistema coloniale cristiano: “Gli atti di barbarie e le infami atrocità delle razze cosiddette cristiane in ogni regione del mondo e contro ogni popolo che sono riuscite a soggiogare, non trovano parallelo in nessun’altra epoca della storia della terra, in nessun’altra razza, per quanto selvaggia e incolta, spietata e spudorata”. La storia dell’amministrazione coloniale olandese e l’Olanda è stata la nazione capitalistica modello del secolo XVII — “mostra un quadro insuperabile di tradimenti, corruzioni, assassini e infamie”. Più caratteristico di tutto è il suo sistema del furto di uomini a Celebes per ottenere schiavi per Giava. I ladri di uomini venivano addestrati a questo scopo. Il ladro, l’interprete e il venditore erano gli agenti principali di questo traffico, e prìncipi indigeni erano i venditori principali. La gioventù rubata veniva nascosta nelle prigioni segrete di Celebes finché era matura ad essere spedita sulle navi negriere. Una relazione ufficiale dice: “Questa sola città di Makassar per esempio è piena di prigioni segrete, una più orrenda dell’altra, stipate di sciagurati, vittime della cupidigia e della tirannide, legati in catene, strappati con la violenza alle loro famiglie”. Per impadronirsi di Malacca gli olandesi corruppero il governatore portoghese, che nel 1641 li lasciò entrare nella Città; ed essi corsero subito da lui e l’assassinarono per “astenersi” dal pagamento della somma di 21.875 sterline, prezzo del tradimento. Dove gli olandesi mettevano piede, seguivano la devastazione e lo spopolamento. Banjuwangi, provincia di Giava, contava nel 1750 più di ottantamila abitanti, nel 1811 ne aveva ormai soltanto ottomila. Ecco il doux commerce!

La Compagnia inglese delle Indie Orientali aveva ottenuto, come si sa, oltre al dominio politico nelle Indie Orientali, il monopolio esclusivo del commercio del tè, del commercio con la Cina in genere e del trasporto delle merci dall’Europa e per l’Europa. Ma la navigazione costiera dell’India e fra le isole, come pure il commercio all’interno dell’India, erano divenuti monopolio degli alti funzionari della Compagnia. I monopoli del sale, dell’oppio, del betel e di altre merci erano miniere inesauribili di ricchezza. I funzionari stessi fissavano i prezzi e scorticavano a piacere l’infelice indù. Il governatore generale prendeva parte a questo commercio privato. I suoi favoriti ottenevano contratti a condizioni per le quali, più bravi degli alchimisti, essi potevano fare l’oro dal nulla» (K. Marx, Il Capitale, Libro primo, Genesi del capitalista industriale).

Come detto il capitalismo nasce già grondante di sangue; le condizioni di emergenza spiegano il fine e la sua evoluzione: lo sfruttamento, le merci che feticisticamente governano i soggetti, poiché padroni e servi sono due prospettive della stessa sostanza. Le due dimensioni da terra e dal mare sono spiegabili con la stessa teleologia: il plus valore ed il plus lavoro. I soggetti che divengono religiosi servitori della produzione fine a se stessa, in cui il valore d’uso è sostituito dal valore di scambio, vera struttura portante della forma mentis del capitale.

Lo storico francese Olivier Pétré-Grenouilleau (Les Traites négrières. Essai d’histoire globale, 2004) ha documentato e quantificato il numero delle vittime. Ha distinto per aree geografiche e rotte le tre tratte principali. La tratta orientale ha causato 17 milioni di persone scomparse. La tratta intra africana ha causato 14 milioni di vittime, mentre la tratta atlantica, tra il 1519 ed il 1867, 12 milioni. Durante l’attraversata circa un sesto degli schiavi moriva, per cui l’Atlantico era di fatto un cimitero liquido. Un vero genocidio non riconosciuto. Si consideri che gli effetti della tratta sono stati devastanti per le popolazioni africane: la forza lavoro impiegata coattamente che il capitale ha utilizzato, naturalmente, ha vampirizzato le energie migliori dell’Africa, ha privato il continente di generazioni che avrebbero potuto contribuire allo sviluppo dell’Africa.

Milioni di uomini, donne e bambini sono stati trasformati in energia per la produzione e lo sviluppo degli Stati Uniti e dell’Inghilterra. Solo nel 1807 la schiavitù in Inghilterra è stata abolita, mentre in Mauritania solo nel 1980. Capire la genesi del Capitalismo è fondamentale per ricostruire il senso dei nostri giorni. La storia ama i corsi ed i ricorsi storici, come affermava Vico, i quali si ripetono in modo mai uguale ma simile. Oggi assistiamo all’affermarsi e al riaffermarsi di un’esperienza già vissuta.

La storia, affermava Gramsci, è maestra di vita ma non ha scolari: forse è il nostro caso. Dall’Africa e dall’Asia giungono schiavi per il turbocapitalismo: degli sradicati, che fuggono dalle miserie, come dalle guerre, di cui l’Occidente è un comprimario in quanto a responsabilità. I nuovi schiavi che vengono per così dire “accolti”, in nome di “diritti universali”, servono come manovalanza a costo minimo per la valorizzazione del capitale; l’aspetto più inquietante che non viene messo in evidenza è che tale massiccia esportazione di lavoro neo-schiavile annichilisce il futuro delle nazioni africane, in quanto uomini e donne spesso con competenze altissime sono utilizzati dal nostra sistema a decremento dei luoghi di origine, i quali in tal modo divengono dei non luoghi molto affollati, dove manca tutto, specialmente la prassi che orienta verso il futuro. La massiccia e costrittiva “accoglienza” condanna interi continenti al sottosviluppo perenne. Il Mediterraneo diventa spesso il loro cimitero. Naturalmente una volta approdati il loro futuro è segnato dallo sfruttamento e dalla cancellazione dell’identità culturale (in nome della così detta “integrazione” da realizzarsi come prezzo dovuto). La situazione congiunturale favorisce, legalmente lo sfruttamento e la condizione neo-servile mascherata dalla legalità “buonista”. La controriforma del lavoro del sign. Renzi ha introdotto – con l’articolo quattro –, la possibilità del controllo digitale del lavoratore, favorendo la forma mentis et agendi finalizzata alla totale riduzione dei lavoratori ad oggetti da controllare sullo stesso piano delle merci. L’articolo così recita, e il termine articolo mai è stato tanto appropriato: «Esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale».

Naturalmente il collare e le catene delle navi negriere, sono ora sostituiti dal controllo digitale, un panopticon che controlla per spezzare sul nascere la possibilità di un pensiero che voglia progettare un mondo altro. Si vuole con la fermezza del controllo introiettato, col ricatto e con l’abitudine ad essere strumento e mai soggetto, impedire ogni riorganizzazione dei popoli come dei lavoratori, ma in quanto uomini. Si devia da tale condizione con espressioni retoriche per evitare che si guardi il volto meduseo della trappola in cui stiamo cadendo. Ripensare con Marx il presente ci può dare dei validi strumenti, delle categorie di comprensione che possono far cadere il velo di Maya della falsa rappresentazione della realtà. La prassi necessita della teoria, i due piani se scissi producono o semplice azione poietica o asfittica teoria. La prassi di cui urge la presenza, dunque, necessita che si ritorni a pensare per capire come orientarsi tra le ipostasi del nuovo ordine/disordine globale.

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