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collettivo48

Sul 4 marzo e oltre

Dopo il teatrino elettorale, chi comanda?

di Collettivo 48ohm

Chi comanda realmente in questa società e si serve della democrazia per esercitare il suo potere economico ha fatto capire senza troppi giri di parole che i partiti che si contendono il governo del paese sono intercambiabili. Che siano Pd, M5S, Lega o altri, non fa alcuna differenza. Il presidente di Confindustria ha dichiarato di non essere preoccupato trattandosi di “partiti democratici”, quindi sia gestibili sia allineati nel processo di gestione dei loro interessi. L’amministratore delegato Fiat Marchionne si è spinto fino al punto di dire che «non ha paura di un cavolo di niente». Più chiaro di così.

 

L’ultimo rifugio degli oppressi

La crisi del sistema che frantuma i meccanismi della rappresentanza istituzionale produce crisi di governabilità. Negli ultimi 5 anni nei paesi europei (Spagna, Belgio, Olanda, Irlanda e Germania) le elezioni hanno portato ad una maggioranza governativa solo dopo lunghe fasi di trattativa conclusesi sempre con delle larghe coalizioni. In Italia se la situazione di stallo verrà superata senza dover ricorrere ad un voto anticipato, toccherà molto probabilmente al Movimento 5 stelle prendere per mano il governo.

Il partito guidato da Di Maio, che durante la campagna elettorale si era accreditato agli industriali, ai banchieri londinesi, alle istituzioni europee e ai governi atlantici come affidabile guida del paese, ha raccolto soprattutto al Sud i voti di chi è asfissiato dalla vecchia classe politica e cerca una soluzione istituzionale ai suoi bisogni. Il M5S si troverà così ad essere fiduciario delle istanze provenienti da diversi nonché contrapposti strati sociali e perno del governo che dovrà sottostare ai comandi delle tiranniche leggi del capitale. Dai flussi elettorali si nota come il consenso del M5S cresca in misura inversamente proporzionale al reddito dei suoi elettori. Sono soprattutto giovani studenti che non hanno ancora un lavoro, disoccupati di lungo periodo, lavoratori precari, operai con miseri salari, i quali non avendo più nulla da perdere, odiando una “sinistra” compromessa con le politiche antipopolari che ha gestito gli interessi dei capitalisti contro i lavoratori (dal ceto dirigente del Pd a quello di LeU e Potere al Popolo - ex Rifondazione), hanno deciso di guardare altrove e dirigere i loro consensi verso direzioni, comunque non rispondenti ai loro reali interessi di classe, ma non ancora consumate.

 

É un'illusione?

Le diverse fazioni del mondo borghese hanno prima di tutto il compito di tenere in vita questa democrazia putrescente, già incapace di assicurare la soglia della sopravvivenza alla maggioranza della popolazione, perché è la miglior garanzia per la tenuta di ciò che loro chiamano “coesione sociale”, ovvero la conservazione di un ordine dispotico che può finire in rovina sotto i colpi della lotta di classe. Il M5S offre una nuova sponda alla classe dominante costruendo la narrazione di una «casta» di privilegiati che ha corrotto gli apparati istituzionali, partitici, sindacali, non svolgendo il suo compito con onestà e trasparenza. Il messaggio che si manda ai lavoratori è che se il capitalismo non fosse gestito da questa casta li farebbe, tutto sommato, vivere dignitosamente. In questo modo la classe dei capitalisti, cioè la dirigenza dei grandi gruppi industriali e finanziari nazionali ed internazionali, che detiene il reale potere economico e politico in tutto il mondo e lo esercita attraverso le macchine statali nazionali, si nasconde frapponendo fra sé e i lavoratori la schiera dei suoi servitori. È un boccone avvelenato funzionale al mantenimento del vero status quo, che è il sistema economico capitalista: è questo sistema in sé a non funzionare, meglio dire che può funzionare solo se assicura profitti e privilegi per un manipolo di padroni che prosperano sulla schiavitù e lo sfruttamento di milioni di persone. Se pure ci fosse un ceto politico di specchiata onestà non potrebbe di certo evitare ciò che si rende necessario alla lubrificazione dei meccanismi che tengono in vita il capitalismo, soprattutto oggi che è dilaniato da una crisi che lo spinge a correre verso il tracollo. I nodi strutturali del prossimo governo non saranno affrontati da Di Maio o chi per lui. Il capitalismo italiano ha bisogno di misure come il Jobs Act, la legge Fornero, la Buona Scuola, il decreto Minniti così come i centri del potere finanziario europeo necessitano di vincoli sul debito e sulla spesa sociale. Al di là della campagna propagandistica, Di Maio dovrà seguire il solco scavato dal governo Renzi e quelli precedenti. Chi vuole conservare il capitalismo ha l’agenda già pronta: aumento della precarietà, riduzione dei salari, licenziamenti, aumento della produttività, smantellamento dello stato sociale. Questo è il campo da gioco.

 

Necessità storiche

Per questi motivi oggi il “riformismo”, nella sua accezione storica, cioè l’idea che la condizione di vita delle masse lavoratrici possa progressivamente migliorare attraverso un intervento rimodulativo delle leggi capitalistiche fino ad ottenere la formula di un capitalismo ‘buono’ con cui convivere, non è nemmeno più da porre nei termini di una disputa tra frontiere ideologiche, è che non si dà più come opzione spendibile, è sostanzialmente impraticabile. E chi a sinistra si ostina a parlarne, riproponendo ricette elettoralistiche fuori tempo massimo, rischia nella migliore delle ipotesi di mostrare un’assoluta trascuratezza per il sistema di funzionamento di questa società, nella peggiore di essere in malafede. Per i proletari sarà sempre più evidente, con l’esplosione delle contraddizioni negli ultimi recinti a protezione degli sfruttatori, la necessità di cercare al di fuori del sistema delle relazioni borghesi le istanze politico-organizzative del proprio riscatto sociale e passare dalla difensiva entro il sistema all’offensiva per uscirne. I legami che tengono le masse popolari ancorate alla politica e alle istituzioni borghesi sono efficaci finché ci sono briciole da spartirsi (le ultime riguardano la remota attuabilità di un reddito di cittadinanza) e un minimo di garanzia rispetto alla gestione dei rapporti sociali, ma una volta saltata l’intera rete di protezione, di assistenza e di previdenza, per il proletariato sarà una questione di vita o morte organizzarsi per vie indipendenti e far saltare il tavolo.

L’autoattività, l’autonomia proletaria, la ripresa di un conflitto su larga scala per affermare l’incompatibilità degli interessi di classe, si pongono alla stregua di necessità storiche.

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