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Balzerani, D’Antona, Voltaire

di Militant

Non torniamo sull’ormai notissima vicenda di Barbara Balzerani, indagata (!) dalla procura di Firenze per aver parlato in pubblico in un centro sociale, il Cpa-Firenze Sud, luogo di compagni tra i più cari che ci è capitato di conoscere in questi anni. Tutto l’episodio descrive egregiamente i tempi correnti, in cui si usa Voltaire per legittimare il neofascismo televisivo ma si ricorre a Torquemada quando l’interlocutore proviene dal sottosuolo degli anni Settanta. Meritano però una breve riflessione le contorsioni logiche della signora D’Antona, in questi giorni intervistata più di Salvini e Di Maio, a proposito del «mestiere della vittima». Dice giustamente la signora che, negli anni Settanta, «abbiamo avuto 800 morti, c’è stata una guerra». Quello che l’intellettualità pezzente di questo paese ha cercato di negare per anni, de-legittimando e scomunicando chiunque affrontasse di petto il nodo contraddittorio degli anni Settanta, prorompe dal senno di questa vedova giustamente, dal suo punto di vista, arrabbiata con tutto ciò che puzza di lotta di classe, e proprio per questo ancor più sincera nei suoi ragionamenti. C’è stata una guerra (civile): absit iniuria verbis! Nel paese in cui persino la Resistenza ha atteso quarant’anni per essere riconosciuta per quello che era, una guerra civile appunto, come convalidare la presenza di legittimi fronti contrapposti solo quarant’anni fa?

Le parole scappate di bocca dalla signora D’Antona contraddicono il fine ragionamento espresso il giorno dopo dai microfoni di Radio Capital, che invitiamo ad ascoltare per intero: un’intemerata reazionaria contro chiunque speri di mettere il naso fuori dal carcere nel quale deve trovare la sua ingloriosa sepoltura. «Buttiamo la chiave!», il coro radiofonico diretto dalla signora democratica. Ma contro chi ce l’aveva? Qualche complice dell’assassinio del proprio marito ancora in clandestinità? Neppure per sogno: a dover marcire in carcere dovrebbero essere, per D’Antona, Moretti e la Balzerani, l’uno ancora in carcere dal 1981, l’altra liberata nel 2011 dopo vent’anni e passa di carcere duro.

La comicità del ricordo pretestuoso e fantasioso di un Moretti che scrutava la signora D’Antona in un bar (ma cosa c’entra poi Moretti e le Br con D’Antona e le nuove Br?), non smaschera solo la povertà d’animo di una vittima – perché vittima lo è per davvero, attenzione – incarognita col suo destino, ma svela l’autocoscienza di un potere pubblico che conosce i contorni di quella guerra combattuta con morti sulle due sponde, e non iniziati certo dalla sinistra, e proprio perché conosce la cornice lavora quotidianamente per distruggerla. Gli anni Settanta sono ancora un nervo scoperto, ma la lotta armata è il sale su ferite ancora non rimarginate.

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