La Cina popolare è oggi l'unica garanzia che rende nominabile il socialismo e ne fa un progetto politico reale
di Stefano G. Azzarà
Se la Repubblica popolare cinese non avesse resistito all'offensiva restauratrice che ha abbattuto le democrazie popolari in Est Europa al termine della Guerra Fredda, e se anzi non avesse rilanciato il suo progetto per il XXI secolo, la prospettiva socialista sarebbe oggi mero oggetto di studio per gli storici contemporaneisti e, per qualcuno, ricordo nostalgico della giovinezza e del mito. Oppure, ancora peggio, oggetto di investimento psicopatologico per frequentatori di minuscole sette in cerca di conforto.
E' solo grazie a Deng e ai suoi successori, i quali a partire da Tienanmen hanno fatto della Cina un'alternativa strategica globale, se il socialismo è invece ancora una realtà effettuale, un progetto politico attuale e da portare a compimento e un orizzonte di civiltà.
La sfida di una modernità e di una ricchezza sociale integrale, nella quale questione nazionale, questione sociale e sguardo globale-universalistico si fondono e per la quale il capitalismo e le sue irrazionalità saranno solo preistoria.
Senza quel gruppo dirigente neobolscevico, saremmo ridotti oggi all'idealismo impotente e persino al folclore più imbarazzante.
Questo non significa identificarsi acriticamente con la Cina e non vederne i limiti e gli errori, che sono tanti. Proprio studiando queste cose in maniera impietosa, semmai, la aiutiamo e contribuiamo nel nostro piccolo a ripensare il socialismo (anche perché i comunisti cinesi, soprattutto nella teoria e nelle scienze umane, hanno ancora moltissime cose da imparare persino da noi).
Lo stesso non può dirsi della Russia particolarista e introflessa, nonostante il positivo ruolo di stabilizzazione della politica estera di Putin. Anche la Russia ovviamente va studiata: ma anche in questo caso è solo la presenza della Cina che rende ancora immaginabile una transizione in quel paese.
Non parliamo poi dell'Europa occidentale, dove una storia è definitivamente finita, ogni porta è chiusa e dobbiamo ripartire da zero.
Chi invece ritiene che in Cina il capitalismo sia stato restaurato, chi si ritiene troppo scienziato o troppo raffinato, oppure è troppo sensibile per sopportare certe contraddizioni, si immagina un socialismo tutto personale che vive soltanto nella dimensione del ricordo, del desiderio e del sogno ed è letteralmente disperato.
Ora, si può anche scegliere di essere soltanto dei poveri sognatori estranei alla realtà e alla politica, come la sinistra italiana. Ma in tal caso tanto vale almeno scegliersi dei sogni belli e ambiziosi e non l'edonismo privato o la secessione del proprio condominio.
Comments
Marx definì Comunismo "il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti", un concetto che dice tutto e niente e se applicato alla Russia di ieri e di oggi, alla Cina di ieri e di oggi, all'India di ieri e di oggi o ai paesi latinoamericani di ieri e di oggi ci ingarbugliamo senza riuscire a trovare il bandolo della matassa per una ragione molto semplice: il capitalismo non è un modello sociale imposto da una parte minoritaria degli uomini nei confronti del resto dell'umanità (che è maggioritaria), no, esso è un movimento storico tra gli uomini con i mezzi di produzione che partito dall'Europa si è esteso in tutto il mondo. L'opposizione a tale movimento - la lotta anticoloniale prima e antimperialista poi - per intenderci - aveva come scopo la partecipazione a pieno titolo a quello straordinario movimento storico che Marx definì Modo di Produzione Capitalistico e che le parti interessate - Cina, Russia, Vietnam, popoli latinoamericani ecc. - lo fecero all'insegna dei simboli del lavoro: falce e martello che all'immediato apparivano come fattori unificatori, ma in prospettiva sarebbero stati confliggenti e la storia si è occupata ben presto di dimostrarlo: in Russia, in Cina e in tutte le nazioni subito dopo aver conquistato l'indipendenza politica, cioè la possibilità di partecipare al modo di produzione capitalistico a pieno titolo.
In che modo rintracciamo il "comunismo" in queste aree? nell'unico modo possibile: la centralizzazione della lotta prima e dell'economia poi. E' questo il comunismo dei paesi che si sono battuti in suo nome. Una centralizzazione economica che si è sforzata di essere programmatica - contro l'anarchia del capitalismo "puro" - e di distribuire in maniera meno sperequata dello stesso.
Ora, che si tratti di un modo diverso e nobile di affrontare un problema storico è fuori discussione; anzi dobbiamo con forza dire che si è trattato di un geniale e generoso tentativo. Il vero punto in questione consiste in quello che lo stesso Marx dirà nel Capitale, ovvero del carattere im-per-so-na-le del modo di produzione capitalistico, del capitale e dei capitalisti. Ecco il dramma: la Russia e a seguire tutte le altre nazione che sono state integrate nel modo di produzione capitalistico - sia attraverso la lotta in nome del comunismo o in nome dell'Islam - saranno governate dalle stesse leggi e avvolte dalla stessa spirale del modo di produzione e subiranno la stessa sorte di un generale caos. Pertanto il comunismo o socialismo - cioè l'ipotesi di nuovi e diversi rapporti fra gli uomini - non si presenta come un diverso modello di economia di mercato, ma come la negazione del mercato che potrà darsi solo con l'implosione del modo di produzione piuttosto che una sua diversa organizzazione.
Conclusione: Lenin, Stalin, Mao, Fidel, Deng, Komeini, Saddam e così via sono l'espressione di una progressione storica di un movimento generale che è partito e si è sempre di più sviluppato e per sue stesse leggi andrà incontro all'implosione. I comunisti farebbero bene a tener ben presente questo piuttosto che indicare in un modello capitalistico la liberazione dell'uomo dal capitalismo.
Michele Castaldo
Lo stato cinese si attrezza militarmente (ci mancherebbe che non lo facesse) per proteggere i profitti privati, funzionando da strumento della borghesia capitalistica?
La cosa andrebbe approfondita. A me non sembra da poco.
A Gian Nicola De Marti, che ringrazio per la sua smagliante ipotiposi, rispondo che mi ci riconosco completamente. Non a caso, quando all'inizio dei lontani anni Settanta militavo nella FGCI, fui definito "il poliziotto ideologico"...
Tralasciando il giudizio sulla NEP, la restaurazione del capitalismo, ecc., mi sembra un particolare trascurato il fatto che la Cina non vada a bombardare e a invadere qua e là per soddisfare il suo presunto imperialismo. A meno che non si pensi che non lo faccia solo perchè frenata dalle circostanze e che lo farebbe se si rendesse necessario.
Barone ha sempre ragione : per questo ne ho paura.