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La vergogna della sinistra che odia il popolo: Michele Serra

di Alessandro Visalli

Non sono proprio uno di quelli che a Michele Serra presta molta attenzione, non credo ne valga la pena, ma questa volta scrive qualcosa di significativo.

“Tocca dire una cosa sgradevole, a proposito degli episodi di intimidazione di alunni contro i professori. Sgradevole ma necessaria. Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore, e lo è per una ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza. Cosa che da un lato ci inchioda alla struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società (vanno al liceo i figli di quelli che avevano fatto il liceo), dall’altro lato ci costringe a prendere atto della menzogna demagogica insita nel concetto di “populismo”.

Il populismo è prima di tutto un’operazione consolatoria, perché evita di prendere coscienza della subalternità sociale e della debolezza culturale dei ceti popolari. Il popolo è più debole della borghesia, come i ragazzini tracotanti e imbarazzanti che fanno voce grossa con i professori per imitazione di padri e madri ignoranti, aggressivi, impreparati alla vita. Che di questa ignoranza, di questa aggressività, di questa mala educacion, di questo disprezzo per le regole si sia fatto un titolo di vanto è un danno atroce inflitto ai poveri: che oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori”.

 Questo pezzo de L’amaca del 20 aprile 2018 commenta un caso assurto agli onori della cronaca, al tempo dei social e di you tube, dopo sedici mesi dal fatto (un ragazzo con un casco bullizza un professore in aula) che avviene mentre viene ripreso per essere messo in rete. Il ragazzo e la famiglia erano di buona provenienza sociale e compie un atto plateale, apertamente teatralizzato, mentre un compagno lo riprende con il telefonino e lo diffonde in rete. Avviene al centro-nord.

Di questo episodio non isolato, certamente significativo, Michele Serra coglie un aspetto solo: il divario di classe. E lo coglie dal punto di vista proprio: di fiero appartenente agli ottimati. A quelle classi superiori, elette, che da Socrate in avanti (ovviamente da prima) non cessano di voler insegnare al mondo come ci si sta, cosa si deve pensare, cosa dire; insomma, come si sta a tavola.

Dice Serra, infatti, che la colpa è dei poveri (i “sans dentes”, come simpaticamente li definì Hollande in conversazioni private), che, essendolo, non hanno “padronanza dei gesti e delle parole”. I poveri, essendo nullatenenti, non hanno “padronanza”, sembrerebbe lapalissiano. E quindi non rispettano le regole, non a caso riempiono le prigioni.

Mio figlio ha tredici anni, e vede nell’episodio una ricerca di “like”. Un “pariare”, ovvero giocare per farsi bello e acquisire notorietà, essere in vista, “figo”. Una dinamica sociale, insomma. La provenienza sociale del ragazzo ha davvero poco a che fare con questo, lui parla un buon italiano, corretto, dà del lei, teatralizza gesti, usa il professore come un oggetto di scena, perché il vero soggetto cui si riferisce è dall’altra parte del telefonino che, non a caso, il suo compagno tiene in mano ed ha avviato subito prima che inizi la scena. Noi vediamo un’escalation, da un normale colloquio sul voto ad una rivendicazione di potere “non mi faccia incazzare”, “mette sei!”, “chi è che comanda?”, “si inginocchi!”, e l’esercizio di fisicità esibita (il casco, i gesti) perché è stata ripresa.

Di questo episodio estremamente interessante, di narcisismo mediatico e perdita del riferimento, di trasferimento del reale (dall’aula, mera scena, alla rete della condivisione social, vero punto di riferimento identitario) alla ricerca del consenso, Serra vede invece solo l’occasione per mostrare la sua ostilità al popolo.

L’uomo è un animale che vive in gruppi, ricercandone il consenso per supportare la propria finitezza, e che percepisce il confine tra i gruppi come un luogo di contesa. L’antropologia in mutamento della modernità contemporanea si mostra in piena vista in questi piccoli episodi; l’educazione, la “padronanza”, il “rispetto”, non sono la questione, ma casomai lo è la direzione di queste. La classe sociale, i poveri ed i ricchi, i saggi e gli ignoranti, non hanno a che fare con questo episodio, non sono pertinenti ad esso. Dovremmo chiederci il ragazzo, in una pratica condivisa e dotata di consenso, di chi e dove ricerca rispetto; verso chi esercita una richiesta di controllo, di potere; quale rito sta compiendo.

Le divisioni di classe, di saggi e ignoranti, di adatti e non, sono solo pertinenti allo sguardo che vi posa Michele Serra.

L’Istat ha compiuto una dettagliata analisi del fenomeno: sono più colpiti i giovanissimi, poco più le femmine, più i liceali degli studenti delle professionali (esattamente l’opposto di quanto immaginato senza dati né ricerche da Serra), più al nord, ricco, che al sud, povero, con pochissima differenza tra famiglie disagiate e non.

Su “Il Fatto quotidiano”, il filosofo del diritto Federicomaria Tedesco scrive in proposito che la denuncia di Serra, apparentemente per denunciare la struttura classista della società, in realtà la riproduce. Dire che i poveri delinquono di più, o meglio che riempiono le galere, e che sono ignoranti ed impreparati alla vita, riproduce tutti i topos classici dell’autolegittimazione delle élite, come scrive il nostro “una vecchia storia”. Cito: “Una vecchia storia, che risale alla distinzione delle forme di governo nell’antichità classica, e che arriva, frusta, ai nostri tempi. Aristotele distingueva la politeia dalla democrazia come governo a vantaggio dei poveri, condotto dai poveri, dalla plebe, una forma corrotta, così come per Rousseau la democrazia si trasforma in oclocrazia. Ma non meriterebbe altro commento un’uscita del genere su un fatto di cronaca, se essa, andando oltre il fatto stesso, non denunciasse involontariamente tutta l’insipienza delle classi dirigenti nel cogliere i fenomeni, tutta la chiusura che esse dimostrano nei confronti di quelle che, non capendo, indicano come minacce ai loro status.”

Su Twitter Manuel Cremonese, che non conosco, ha scritto questo.

Mia nonna era una donna tenue, pastello. Contadina. Sguattera per mantenere due figlie una delle quali disabile. Mi metteva la merenda nello zaino e ripeteva: Manuel, porta rispetto ai professori, ascoltali, noi a casa non potremo darti altre spiegazioni. Era di sinistra. 

Lei.

Insomma, ancora una volta, una vecchia storia (ad esempio ne avevamo parlato qui) che ripete tutti i luoghi che le destre si sono dati nei secoli per confermare il proprio diritto al potere.

La propria “padronanza”, appunto.

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