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effimera

Uno spettro o un folletto?

di Tonino Biffarino

Una recensione alla nuova edizione del Manifesto Comunista. Con saggi e contributi sull’attualità del Manifesto di Karl Marx, Friedrich Engels, a cura di C17, Ponte alle Grazie, Milano 2018

Nel mese di aprile è uscita una nuova edizione del Manifesto, inserendosi nella serie di pubblicazioni che accompagnano i duecento anni trascorsi dalla nascita di Karl Marx. Contiene una nuova traduzione, e la dobbiamo a Marina Montanelli, ricercatrice e (non guasta di certo) attivista politica delle CLAP (Camere del Lavoro Autonomo e Precario). Il volume è assai corposo; alla traduzione è unito un commento a più voci curato da C17 (una cinquantina di pagine) che accompagna singoli passaggi del testo. Troviamo nomi a noi noti: oltre alla traduttrice Tania Rispoli, Francesco Brancaccio, Alberto De Nicola, Chiara Giorgi, Dario Gentili, Francesco Raparelli, Federica Giardini, Giuseppe Allegri, Giovanna Ferrara, Biagio Quattrocchi, Nicolas Martino. Li abbiamo volutamente voluti ricordare tutti quanti perché hanno fatto un bel lavoro; e lo riconosce ben volentieri anche chi come me non aveva invece per nulla apprezzato il minestrone dedicato alla rivoluzione d’ottobre.

Questo è un volume da tenere per consultazione; è il segnalibro di questa fase un po’ strana che stiamo vivendo durante la transizione che caratterizza il radicale mutamento del processo di estrazione della ricchezza. Non tutti i passaggi del commento sono condivisibili e neppure sono al loro interno riconducibili ad unità completa. Ma forse è proprio questo il bello.

Questo vale anche per i saggi e per i contributi che completano il volume (350 pagine in tutto, contro le 23 dell’edizione originale in prima tiratura!). Etienne Balibar definisce il comunismo del Manifesto una “transizione infinita”, con il sopravvivere di partito e movimento, Parta Chatterije (in forma di intervista) critica la transizione come idea storicistica e privilegia i concetti chiave (capitale, classe, rivoluzione). A seguire Dardot e Laval, che ribadiscono, quasi in parallelo, le proprie convinzioni; mentre Alisa Del Re ci offre una lettura femminista insieme al concetto di lavoro riproduttivo e al venir meno della distinzione lotta politica/lotta economica. Silvia Federici (un’altra intervista, peccato non ci abbia regalato un saggio vero e proprio) suggerisce di rimettere al centro dello sfruttamento i senza salario, schiavi, colonizzati, casalinghe, lavoro infantile. Veronica Gago importa lo spettro in america latina e lo riveste di femminismo contemporaneo, dentro una rivoluzione non solo politica ma anche esistenziale. Hardt-Mezzadra, a quattro mani, riprendono, come fosse un classico, la questione dell’abolizione della proprietà privata; aggiornando la critica dello stato e legando alla costruzione del comune il programma di lotta (sotto sotto non rinunziano al partito). Chiudono la rassegna due saggi diversamente provocatori. Toni Negri e Slavoj Zizek. Il primo ci pone la questione attuale del dispotismo americano, di Trump: mettere la guerra fuori dalla storia come condizione per affermare il potere costituente di un periodo storico postsocialista (sembra dirci: scusate se è poco!). Il secondo (difficile non avere simpatia per questo strano tipo) coglie il tentativo capitalista di privatizzare il general intellect e, osserva come la ricchezza di un Bill Gates derivi proprio dal fatto che costui si è impossessato della cooperazione sociale. E rievoca lo spettro del Manifesto. Il feticismo del denaro culmina nel suo passaggio alla forma elettronica, scrive Zizek; anche se bruci le banconote il fantasma del debito ti perseguita. Fantasma contro fantasma; il capitale si vuole appropriare anche di questo mito!

La vicenda del celebre incipit marxiano è assai particolare, e non solo nella traduzione italiana. La prima stampa del Manifest (caratteri gotici, testo tedesco, al 46 di Liverpool Street) ci presenta un Gespenst, una creatura immateriale, in giro per l’Europa (geht um): il Kommunismus. Le traduzioni indicate nella prima edizione sono anch’esse un fantasma, nessuna venne mai rintracciata e non vi è prova che siano esistite; solo in Svezia ne esiste una coeva (siamo al dicembre 1848), ma non è citata nel prologo originale. La versione svedese (non autorizzata da Marx e Engels, pur essendo il traduttore membro della Lega dei comunisti) è opera di Pehr Gotrek (1798-1876), comunista cristiano, astemio e vegetariano, che gestiva una libreria antiquaria a Sodermalm; invece del celebre proletari di tutto il mondo unitevi quest’uomo pio preferì folket rost, guds rost (la voce del popolo è la voce di Dio). Anche il Gespenst rimase in questa occasione defilato.

Merita invece attenzione il testo inglese, uscito in quattro puntate, nel novembre 1850, sul periodico settimanale cartista The Red Republican (Londra). La traduzione è di una militante socialista, Helen Mc Farlane (1818-1860), amica personale di Marx e di Engels, che qui compaiono, per la prima volta, quali autori. Helen era una giornalista scozzese di grande talento e cultura, si firmava (per travestimento maschile) Howard Morton, imitando la Dupin che aveva scelto il nome Gorge Sand.

Il nostro Gespenst viene interpretato in modo davvero inconsueto, e reso come frightful Hobgoblin. Proprio a Londra, a partire dal 1840, Lucia Bartolozzi (in arte Madame Vestris) aveva avuto l’idea di assegnare il ruolo di Oberon e di Puck ad una donna (e a se stessa in particolare) rivoluzionando e rinnovando le rappresentazioni del notissimo Sogno di una notte di mezza estate. Helen coglie appieno l’ironia che contrassegna il prologo di Marx; frightful ribadisce il concetto della grande paura governativa di fronte al comunismo (induce spavento, dunque) ma veste poi il fantasma con i panni del più famoso folletto scozzese, Robin Goodfellow, Robin Gobelin, Hobgoblin appunto. Il più conosciuto a Londra, nel 1848, fra i folletti Hobgoblin era il Puck di William Shakespeare e di Lucia Bartolozzi. Il fantasma del comunismo, terrore del nascente capitalismo industriale, era dunque una donna in veste di folletto.

Nel 1888 William Reeves pubblicò la nuova traduzione di Samuel Moore e il nostro leggiadro folletto situazionista fu riportato al più severo e compunto Spectre. Ma, nel 2018, in questa epoca di crisi e di transizioni, non possiamo non avere nostalgia per il folletto di Helen, più vivo e attuale che mai.

L’ottima Marina Montanelli ha preferito mantenere il Gespelst nel solco della scelta che caratterizza le traduzioni italiane. Le prime due, del Bissolati e dell’anarchico Pietro Gori, omettono il prologo e saltano il problema. Quella, completa e autorizzata poco dopo da Engels (1892 e 1893 per “Critica Sociale”, a firma del poeta tipografo Pompeo Bettini) : c’è uno spettro in Europa; nella copia di Antonio Labriola trovo una segnatura in matita blu sotto il sostantivo, quasi al momento non lo accettasse convinto. La successiva versione italiana, pur se a sua firma, fu quasi certamente opera della moglie, Rosalia von Sprenger, e presenta comunque molti errori. Palmiro Togliatti (1944) porta la stessa sequenza conservata da Montanelli: uno spettro si aggira per l’Europa. Perché nella prossima stampa non facciamo rivivere Puck? Magari porta bene alla sovversione dello stato di cose presente!

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