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marxianomics

L’equilibrio di Dio

di Marco Veronese Passarella

Lo so che siete tutti impazienti di sapere come va a finire con Marx, Sraffa e lo Spirito Santo. Però prima c’é un’altra cosa che vi voglio raccontare e che sono sicuro che vi interesserà. O forse no, siete troppo presi a discettare di Target 2, ma ve la racconto lo stesso. Si tratta di questo. L’estate scorsa il mio maestro e amico Giorgio Gattei mi regala un libricino dalla trama provocatoria: il Papa che annuncia a San Pietro, di fronte ad una folla sbigottita, che Dio non esiste. Non vi dico come va a finire, perché per quello non avete che da procurarvi il libro – e soprattutto perché non me lo ricordo. E del resto in un mondo in cui la domanda langue, bisognerà pur creare qualche frizione dal lato dell’offerta per divertirsi un po’ – chiedere ai nostri amici economisti neoclassici a cui piace solo così. Ecco, i neoclassici, proprio loro volevo. Vedete, il fatto é questo: anche noi – cioè loro, i neoclassici, ma pure alcuni di noi marxisti per la verità – in economia abbiano il nostro dio. É l’equilibrio naturale. Che cosa sia nessuno lo sa, ma ci hanno detto che si finisce sempre lì nel lungo periodo, quando cioè saremo tutti morti. Solo che sulla porta ad attenderci non ci sarà San Pietro, ma un tale francese che di nome faceva Leone Walras (di lui vi parlerò un’altra volta, ma quello che dovrete dirgli lo capirete ora).

É importante che ci sia, sapete, l’equilibrio. Ed é altrettanto importante che sia uno solo. E perché mai, vi chiederete? Perché se se non ci fosse perderemmo ogni riferimento su ciò che é Bene e ciò che è Male. In concreto, non ci sarebbe più alcuna giustificazione per questa o quella politica economica. Alzare i tassi, abbassare i tassi, spendere, tagliare, ognuno potrebbe fare un po’ quello che gli pare. Come nella Juve di Maifredi. Del resto, se nessuno sa dove si va, ogni indicazione vale l’altra, no?! Se poi, invece, di equilibri ce ne fossero molti non sapremmo più dove l’economia si dirige sotto la spinta delle forze spontanee del mercato, sicché verrebbe meno ogni base oggettiva per rinunciare a misure espansive di politica economica (fino al pieno impiego di tutte le risorse, s’intende). Un bel disastro per i nostri, o almeno per alcuni di loro, per i quali la fine dell’austerity e l’uso discrezionale dell’intervento pubblico é più o meno l’anticamera del socialismo. Ecco perché di equilibri ne vogliamo – cioè loro ne vogliono, io no, ma qui mi muovo in incognito come un druso libanese – uno ed uno solo. Uno ed unico. Proprio come il dio dei cristiani. E, notate bene, diciamo che esiste ed é uno solo anche se sappiamo tutti benissimo che non é così, che in realtà gli equilibri possono essere molteplici, e che sono naturali come gli zigomi di Nina Moric. Ma pensate che succederebbe se il Pontefice annunciasse domenica prossima a San Pietro che oltre al dio di Abramo, ci stanno pure Zeus, Shiva e Odino, e magari, che so, che dio é una costruzione socialmente determinata bla bla bla. Ne converrete che sarebbe la fine. Non so voi, ma io non ci voglio finire nel Valhalla a mangiare polpette di merluzzo per l’eternità seduto ad un tavolo Ekedalen montato da me. Passerei armi e bagagli alla concorrenza (che a noi marxisti ci ha sempre accolto a braccia aperte, va detto, peccato solo per lo zolfo che rovina l’atmosfera). Ecco, se capite questo, capite anche perché, per la stessa ragione, i neoclassici non ammetteranno mai l’esistenza di equilibri multipli. Tutti sanno che sono tanti, ma non si può dire. Punto. Un po’ come il buon Francesco sa che i culti dei santi e quelli mariani sono forme mascherate di sincretismo religioso, quando non di vero e proprio politeismo, ma sa anche che é bene soprassedere. Ma allora, vi chiederete, perché non ammettere semplicemente che non sappiamo? O magari dire che… forse… l’equilibrio… non c’é… piú…? Tipo Heidegger o giú di lì? Beh, c’é chi l’ha fatto, sapete. No, non l’UAAR. Tra gli economisti intendo. Si chiamano economisti neo-austriaci, ma li potremmo chiamare nazi-lib. Sono cugini dei neoclassici e nipotini, un po’ degeneri per la verità, di Hayek e Mises. Loro dicono che non esiste l’equilibrio, solo disequilibrio. E se non esiste, si premurano subito di aggiungere, niente più politiche economiche e soprattutto, cari i miei fannulloni parassiti mantenuti con i denari pubblici a sbafo, bye bye Stato. Solo forze spontanee della concorrenza guidate dal flebile ma potente segnale dei prezzi relativi dei prodotti – con il quale lo Stato finirebbe solo per interferire. Hayek docet. Niente più dover essere, niente più scarto con il mondo là fuori, e niente più Stato. E voi interventisti tutti, neoclassici, maxisti e keynesiani, ruspa! Disgraziatamente per loro (e fortunatamente per noi fannulloni stipendiati dallo Stato) questo significa anche… niente più teoria economica, sicché capite bene che i nazi-lib sono quasi tutti finiti a raccogliere barbabietole. La lezione deve, però, essere servita ai loro cugini neoclassici (cugini, campagna, Papa: vi dice niente?!), i quali ora il loro dio imperfetto ma unico, cioè l’equilibrio naturale, se lo tengono stretto stretto. Perché uno è meglio di zero, ci ripetono. Ma uno è anche meglio di tanti! – si affannano subito a precisare. No, non è una cosa così strana, sapete. Sono conti che vi suoneranno sballati se applicati alle scatolette di tonno, ma che facciamo tutti i giorni per le cose che contano davvero. Cose del tipo “o tutto o niente” e giù di lì. Nella teoria delle scelte le chiamano “preferenze lessicografiche” e sono un’altra cosa con cui noi economisti si bisticcia spesso. Ma magari ve ne parlo la prossima volta. Ora, per favore, concentratevi su questo: c’è non perché c’è; c’è perché è meglio che ci sia. Meglio per noi, s’intende.

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