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Eurobond, è arrivato il momento: ecco perché

di Lorenzo D'Onofrio

1) Draghi torna a tuonare: «L’euro è irreversibile».

Mi dispiace deludere qualcuno, ma gli architetti dell’Unione Europea l’euro non lo molleranno. Ogni apparente passo indietro nasconde una rincorsa per un balzo in avanti. Le possibili evoluzioni sono da tempo sul tavolo.

2) Su quel tavolo (quello sul quale qualcuno ancora si illude di sbattere i pugni) gli EUROBOND si trovano almeno dal 2010.

Agli albori di questa interminabile “crisi” tutti dichiaravano di volerli.

Fortemente sponsorizzati da Tremonti (già allora in area Lega), sostenuto da Juncker, gli Eurobond non erano indigesti ai vari Ciampi, Prodi, Monti (qui la fonte).

Ovviamente la Germania disse di no: eravamo nel pieno della narrazione per cui la crisi sarebbe stata causata dalle oziose “cicale” del Sud Europa, abituate a vivere al di sopra dei propri mezzi sulle spalle delle “formiche” tedesche.

Una soluzione che avesse dato anche solo l’impressione di una solidarietà tedesca verso i “cialtroni” del Sud sarebbe stata politicamente improponibile.

3) Ma la Storia ci dice che i passi avanti del percorso europeo sono già stati avversati dalla Germania, che li ha poi accettati solo quando ha avuto la certezza di poterli sfruttare a proprio vantaggio: fu così per la moneta unica, accettata solo con la garanzia di poter imbrigliare l’economia italiana; fu così per il MES, che infatti i tedeschi utilizzarono per salvare il proprio sistema bancario (qui la fonte).

4) Certo, nel 2010 al vertice della BCE non c’era ancora Draghi che, diciamocelo senza mezzi termini, HA SALVATO L’EURO (e solo quello), dimostrando che la BCE può fare tutto quello che vuole e che i risultati vanno valutati solo sulla base dei fini perseguiti.

5) Venendo a noi: il governo giallo-verde vuole gli Eurobond?

Sarebbero apparentemente comodi per far respirare il Paese con un po’ di deficit controllato, certamente aiuterebbero a mantenere qualche promessa elettorale.

Del resto il leghista Giorgetti (neo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) già prima delle elezioni era stato chiaro:
«Sembrerà paradossale ma il tema degli investimenti italiani si può affrontare efficacemente solo in una dimensione europea. Condividiamo già la stessa moneta, ma non abbiamo un debito pubblico comune. Più di tenere l’euro mi preoccuperei di introdurre gli EUROBOND, di cui nessuno parla più. La moneta unica ha il vantaggio di poter sostenere un debito comune a valori di mercato e costi molto bassi. Perché non approfittarne? Per fare grandi investimenti nelle infrastrutture, come Trump sta iniziando a fare negli Stati Uniti, non vedo altra strada. In caso contrario, il rischio è quello di perdere competitività e di restare fermi nel secolo scorso. Certo, quella del debito europeo non è un’idea che la Germania digerirebbe facilmente: accusano noi italiani di non saper gestire neanche i fondi delle aree depresse. Per questo credo che sulle grandi infrastrutture del Paese una politica gestita con criteri “teutonici” non farebbe male» (qui la fonte).

6) E il “temutissimo euroscettico” Savona?

Con lui, re delle privatizzazioni anni ’90, si sfondano porte spalancate, da sempre.

A settembre 2017 proponeva due soluzioni:
«1. una europea che consenta alla BCE di far confluire in un Fondo appositamente costituito gli eccessi di debito rispetto al parametro del 60% rispetto al PIL, previa rinegoziazione dei termini di rimborso (con tassi ufficiali senza spread e date di scadenza lunghe) e impegno da parte dei paesi di rispettare il pareggio di bilancio; questa soluzione non impedirebbe la crescita della spesa pubblica – spero per investimenti, ma è un altro problema – purché essa resti nei limiti dei maggiori incassi e, quindi, della crescita nominale del PIL;
2. una nazionale che attui una conversione del debito in essere entro i limiti dell’eccesso esistente allungando le scadenze e offrendo rendimenti pari all’inflazione, dando in contropartita una GARANZIA su TUTTI i BENI dello STATO mobili e immobili, anche artistici e ambientali, escutibili con procedure rapide da stabilire anticipatamente nel caso di insolvenza».

Si avete letto bene: rientrare sotto il tetto di Maastricht (60% debito/PIL), pareggio di bilancio, GARANZIA su TUTTI i BENI dello STATO (qui la fonte).

7) E qui arriviamo al dunque, cos’altro c’è su quel tavolo, da diversi anni?

Ricordate l’ERF, il Fondo Europeo di REDENZIONE?

Se non lo ricordate eccolo qui, un’idea tutta teutonica, a partire dal nome.

Già il Fiscal Compact prevedeva, oltre al pareggio di bilancio, anche l’abbattimento dell’eccedenza del debito sopra il 60% del Pil.

Gli Stati che aderiranno all’ERF conferirebbero in un fondo unico europeo una quota del proprio debito corrispondente alla parte di esso eccedente il 60% del Pil.

Il fondo, a sua volta, trasformerebbe i titoli nazionali in TITOLI EUROPEI, emettendo sul mercato nuove obbligazioni.

In cambio i paesi contraenti dovrebbero dare “in pegno” al nuovo fondo i propri asset nazionali, le loro riserve auree e valutarie, perfino una quota del proprio gettito fiscale, la cui esazione avverrebbe direttamente ad opera del fondo.

8) Ora, l’ERF è sul tavolo dal 2012 e ogni tanto qualcuno, sia all’estero che in Italia, torna alla carica.

Di un anno fa è ad esempio la risoluzione dell’europarlamentare piddina Mercedes Bresso e del tedesco Elmar Brok:
«Con l’approvazione di questa risoluzione anche il nostro Paese ottiene importanti risultati: si apre la via per la possibilità di introdurre gli EUROBOND o il FONDO DI REDENZIONE attraverso il Fondo del rimborso del debito» (qui la fonte).

9) Chiudiamo allora il cerchio: il neo Ministro dell’Economia TRIA… che ne pensa?

Ce l’ha spiegato pochi giorni fa:
1. «…ogni Stato membro dovrebbe cercare di prevedere il proprio investimento pubblico alla luce del mercato europeo, o addirittura globale, cercando di attirare significativi finanziamenti privati a livello globale attraverso la garanzia di rendimenti più sicuri a lungo termine. In questi termini, e per questi scopi, anche un temporaneo aumento del deficit destinato a far partire questi programmi dovrebbe essere considerato accettabile».
2. «Come osservato in precedenza, un vasto programma di investimenti pubblici infrastrutturali potrebbe essere attuato e finanziato in deficit senza creare un problema di sostenibilità dei debiti pubblici attraverso un finanziamento monetario palesemente CONDIZIONATO A LIVELLO EUROPEO. Condizionato in quanto temporaneo e soggetto a SOLIDI COMPORTAMENTI FISCALI da parte degli Stati membri dell’eurozona volti a perseguire la riduzione del debito. Questo obiettivo sarà più facilmente raggiunto grazie all’aumento del PIL nominale, che è lo scopo specifico del programma. Molti dettagli tecnici del programma, e le sue esigenze condizionali, possono essere progettati in modo adeguato con il concorso degli altri governi e delle istituzioni europee» (qui la fonte).

Il linguaggio tecnico e la supercazzola della riduzione del debito attraverso l’aumento del PIL, non riescono a nascondere la realtà: sta parlando di EUROBOND.

10) Cosa farà la Germania?

Vedremo, intanto a fine anno terminerà il QE, una imponente operazione di acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario (quindi già emessi dagli Stati e detenuti dalle banche che li avevano acquistati sul mercato primario) i cui benefici sono rimasti ben lontani dall’economia reale, che ci lascerà con oltre 300 miliardi di titoli italiani in pancia alla BCE.

La BCE sarà sempre più arbitro monopolista dei nostri destini, finché resteremo nella gabbia dell’Unione Europea.

Ma l’idea per cui la Germania non sarebbe disposta ad accettare soluzioni che un tempo ha avversato mi pare davvero stupida.

Del resto la Storia dell’Unione Europea ci testimonia che ben poche cose sono rimaste sul famoso tavolo e che, presa una decisione, si è sempre andati avanti fino al punto di non ritorno.

11) Cosa farà il nostro Governo?

Anche questo è tutto da vedere, ma probabilmente cercherà di accontentare ampi settori del proprio elettorato con mosse non dissimili, se non nello stile, dai famosi “80 euro renziani”, cercando di fare un po’ di deficit con le soluzioni che saranno concordate a livello europeo, Eurobond in primis.

Il consenso crescerà, ma entro fine legislatura si arriverà alla resa dei conti.

12) Mala tempora

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