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ilsimplicissimus

Il vecchio Marx e gli eterni orecchianti

di ilsimplicissimus

Ci avrei giurato che nella querelle dell’Aquarius prima o poi qualcuno in una sinistra consumata dal mal sottile avrebbe scomodato Marx per sostenere le ragioni di un’immigrazione epocale senza scomodarsi a considerarne né gli effetti, né le cause e dunque rientrando nella mera categoria dell’impolitico o meglio ancora navigando sotto le vaghe stelle di un grottesco umanesimo neo liberista che è al tempo stesso cosmopolita e schiavista. Del resto confondere una fuga disperata dalle guerre e dallo sfruttamento con il diritto di ciascun individuo di andare dove vuole, è un po’ come considerare l’ espansione del latifondo come la messa in comune della proprietà agricola. Mi ha sorpreso che in questa trappola sia caduto anche Giorgio Cremaschi, ma dalla mia esperienza accademica prima e giornalistica poi, so che quasi sempre queste invocazioni da ultima spiaggia a Marx, non solo nascondono una conoscenza superficiale, di seconda, terza o quarta mano, ma testimoniano purtroppo il processo di feticizzazione di un pensiero che va avanti ormai da quasi quarant’anni e che rischia di trasformalo in una sorta di sacra scrittura avulsa dal processo storico.

Quando ai miei tempi ho studiato Marx questi era ancora vivo e in quanto tale si muoveva e ancora esprimeva molti e diversi marxismi, tra loro diversissimi da quelli “senza capitale” di Gramsci e Galvano della Volpe, allo strutturalismo althusseriano, a quelli francofortiani, agli operaismi che in realtà si avvicinavano assai più all’autoctisi dell’atto e del soggetto di Gentile, alle prime intese iniezioni di Nietzsche e di Heidegger ed esistevano persino comunismi non marxisti. Questa aggrovigliata ricchezza nasceva per molti versi dal fatto che Marx era ancora considerato quasi un inizio più che una fine e d’altra parte, al contrario di quanto si pensi o si voglia pensare, non è per fortuna un pensatore sistematico, molte questioni sono in realtà tutte da definire, molte linee di pensiero sono incomplete o appena accennate e hanno anche diverse sfumature a seconda del periodo, del tipo di pubblicazione e delle loro diverse edizioni, dell’influsso più o meno forte di Engels, di una certa dose di ambiguità tra hegelismo e positivismo, per non parlare poi delle traduzioni approssimative che hanno tuttavia avuto un influsso enorme. Ma per la verità le molte scuole e teorizzazioni degli anni del dopoguerra nascevano soprattutto dal tentativo di dare al marxismo un’antropologia più complessa di quella espressa nei testi e in particolare di conciliare quella della liberazione del Sé, tenuta a battesimo da Freud ed espressa poi in termini politici dirompenti nel ’68. Una sintesi necessaria perché ogni ideologia vincente deve in qualche modo essere totalitaria, come ha insegnato Gramsci, ossia proporre una visione e un’interpretazione del mondo capaci di un elevato grado di universalizzazione e di coerenza con le dinamiche reali della vita.

Ci vorrebbero molti libri per analizzare il perché questo non sia avvenuto o perché l’ideologia iper liberista che concepisce solo desideranti sia nel pieno di una crisi speculare, priva com’è di qualsiasi concezione sociale: sta di fatto che già agli inizi degli anni ’80 mentre si esaurivano i marxismi e in generale la cultura marxiana, si cominciava a creare un mausoleo al posto di un pensiero. Così per esprimere difficoltà e disagi che ormai venivano allo scoperto, anche a causa del declino dell’Unione Sovietica e dunque di un’ortodossia forzosa di riferimento, invece di sviluppare un dibattito teorico ci si limitò a costruire l’altarino laterale del “giovane Marx” meno hegeliano di quello della maturità. Proprio questa scelta faceva intuire già allora che il pensatore della rivoluzione sarebbe stato dichiarato morto dal capitalismo o per chi proveniva da una cultura diciamo così antagonista, sarebbe stato chiuso in una teca a fare da semplice reliquia, buona al massimo per asfittiche querelles accademiche e/o preghiere, mentre tutto l’enorme mondo di idee che era potenzialmente dietro la dottrina testuale, perdeva la sua voce e la sua urgenza, lasciando dietro di sé un messale di luoghi comuni e di automatismi mentali.

Un quarto si secolo dopo e soprattutto con l’infuriare di una crisi endemica, sono cominciati i recuperi di Marx dopo un’opaca stagione di abiure ed eclettismi tutti fioriti sulle terreno di una assoluta subalternità all’egemonia culturale statunitense di cui l’altermondialismo non è che un aspetto, ma si tratta per ora come di un risveglio dal coma che ha cancellato la memoria o ancora peggio di un recupero in cui il cuore e il senso del pensiero marxista viene scartato per mettere invece in primo piano quelle parti che possono essere giostrate nell’economia di mercato o che costituiscono la caduca parte speculare del capitalismo. Solo attraverso queste operazioni di modificazione genetica che agli orecchianti vengono facili, si può mettere in relazione Marx con l’internazionalismo dei buoni sentimenti e scambiare lo schiavismo globalizzato, l’alienazione assoluta, con l’attuazione di diritti umano che sembrano ritagliatu su quelli del turismo. D’altra parte chi di questi neo marxisti da domenica al parco potrebbe rinunciare alla visibilità patinata che verrebbe messa in forse se non si usasse Marx per dire ciò che vuole il potere reale? Servirsi a sproposito di Marx per contestare Salvini ( e tra l’altro soffiare nelle sue vele) è come usare un cannone per abbattere una formica. Ma forse è questo il modo di pensare delle formiche.

Comments

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eino rahja
Tuesday, 26 June 2018 13:33
Vittu mitä paskaa!
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