Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Gentile

di Salvatore Bravo

L’assenza del futuro è il nichilismo del presente. La contemporaneità è il luogo dell’astratto, dell’immediato scisso da ogni legame con se stessi e con la comunità. Il naturale fondamento dell’umanità ovvero, la relazione, perisce sotto i colpi della scure dell’indifferenziazione delle scelte. L’astratto è il silenzio del futuro e dunque sradicamento dal presente. L’umanità globalizzata in media vive la condizione del ritiro dal mondo, misticismo edonistico che favorisce la globalizzazione della reificazione. In assenza di radicamento, di empatia, di reciprocità con la comunità, il futuro diviene una pura espressione verbale. Il futuro è condizione che esige il presente nella sua vitalità emotiva e razionale. La reificazione ed il gioco alla riduzione al presente consumato, ha divorato il futuro. La condizione umana diviene pura presenza, spettatore di uno spettacolo non scelto, semplicemente subito nel chiasso della esemplificazione. Gli autori che hanno spostato l’asse verso il futuro scompaiono dal teatrino della discussione culturale, per rendere omaggio al nichilismo linguistico delle vuote parole, della volgarità di massa, delle meteore della cultura. Tutto pur di cancellare dall’orizzonte la prassi ed il futuro. Certo il modo più efficace per ottenere tale risultato è rendere ogni persona individuo-atomo. Si lotta con gli altri e per gli altri, la vita è prassi nella comunione delle idee, ma ancor più profondamente nella comunione della carne vissuta.

Annichilito il fondamento con le armi dello stordimento di massa: competizione, crematistica, culto del corpo spettacolo, non può che collassare la prospettiva del futuro. Il trionfo dell’immediato-astratto forma individui e non persone. Vi sono autori che scomparsi dall’orizzonte mediatico, continuano a donarci concetti per capire il presente ed aprire alla prospettiva della trasformazione. Giovanni Gentile non è assente dal circolo mediatico per la sua adesione al fascismo, in realtà una lettura meno stereotipata ed omologata dell’autore, ci porta al ragionevole sospetto che su di lui pesi l’interdetto liberista. Filosofo della prassi e della comunità intendeva l’essere umano come soggetto creativo, responsabile della prassi, in cui la dimensione del presente è concretamente colta nel suo darsi verso il futuro:

Lo svolgimento spirituale, in cui consiste, è questa progressiva autodeterminazione dell’Io: nella quale ogni momento è un’affermazione in nuova forma dell’Io stesso, e però una negazione, un reale annullamento dell’Io nella forma in cui era prima determinato: un passare dal non essere all’essere di un Io determinato: e, poiché un io non determinato non è nulla, si può anche dire che sia un passare dal non essere all’essere dell’Io. La nostra vita è un continuo morire del vecchio io, un nascere continuo del nuovo, in cui il vecchio bensì permane, ma rinnovato e trasfiguratoi .”

L’attualismo gentiliano, dunque, è prassi, trasformazione, il presente ed il passato nella concretezza non sono distinguibili, ma sono il libero fuoco del pensiero che rende ubertoso il futuro. La libertà è pensiero nel quale sono integrati i piani della persona. Nel concreto i piani non sono geometricamente distinguibili. L’essere umano gentiliano ha sul fondo la lezione di Vico: l’umanità esprime al massimo il suo potenziale creativo nell’unità dello spirito. La storia è lo scenario in cui l’essere umano realizza pienamente la sua umanità.

Ora non posso tracciare tutta la storia del progresso del soggettivismo. Ma non posso non accennare che G. B. Vico ha, per questo rispetto, il merito di avere benché oscuramente, affermato, di contro all’analisi cartesiana, la necessità tutta moderna di quella sintesi che egli scolpiva nella celebre frase: verum et factum convertuntur; di avere primo, con entusiasmo che ha del religioso, additato nello sviluppo eterno del mondo delle nazioni, che lo sviluppo dello spirito, la stessa realizzazione di quella che egli diceva Provvidenza divina: unificando il divino e l’umano, e risolvendo, per conseguenza, l’immobilità e l’eternità pura di quello nel processo storico, ed eterno in quanto storico, di questo; di aver insomma inaugurato la nuova metafisica, che è filosofia dello spirito, anticipando di un secolo il movimento del pensiero, quale si svolse poi gradatamente in Germaniaii .”

Il regno dell’astratto è il trionfo del cartesianesimo: analisi senza sintesi. La divisione è il mezzo con il quale si effettua il dominio dell’incomprensibile. Il presente risulta adialettico, nella divisione lo sguardo olistico si eclissa per lasciare spazio all’integralismo della violenza di una parte sulle altre. L’assoggettamento economico del mondo e delle persone, vive e prolifera nella separazione. La dinamicità della coscienza è così occultata, resa presenza, oggetto dei processi. Il soggetto necessita della coscienza di sé per potersi porre come soggetto della storia, deve poter ricostruire il processo complesso del quotidiano per vivere la propria presenza come attore di un possibile cambiamento. Affinché ciò si possa materializzare è necessario che il soggetto sia autocoscienza, Gegenstand, consapevole di aver posto il mondo e dunque responsabile di un eventuale processo di riforma. “La Filosofia è il proprio tempo appreso in pensieri” affermava Hegel in Lineamenti di Filosofia del diritto. Se invece si vive l’esperienza della separazione, se il mondo semplicemente è sempre esistito e con esso le forme sociali, la coscienza è ente tra gli enti, oggetto di manipolazione senza speranza, senza futuro, senza presente, senza storia. L’aumento delle merci è proporzionale alla negazione dell’essere umano. Il radicamento nell’attimo, nel cogliere l’occasione per il risultato, fa del soggetto ente che si piega alle circostanze, ne è trascinato via, sviluppando in tal modo una estrema adattabilità agli eventi fino alla dimenticanza di sé. La divisione è abitudine alla morte. La vita è unità. per Giovanni Gentile. Anche la morte è per il filosofo dell’attualismo un atto di vita in quanto si muore a qualcuno. La Filosofa forma alla vita, essa stessa è un corpo vivo, le cui parti ritrovano il loro senso nella loro relazione imprescindibile come la vita.

La filosofia appunto perciò è una; e si trasformi, s’atteggi variamente, e si particolarizzi quanto si voglia, resta sempre la filosofia come appunto quello sforzo di fissare l’essere nella sua organica natura, in ogni momento della coscienza, nella sua vittoria sul non essere. Quel ritmo vitale dell’essere, che la filosofia si sforza di conoscere, se è il ritmo dell’essere vivo della coscienza nostra, deve essere il ritmo della natura che si rispecchia nell’animo nostro, il ritmo dello spirito, alla cui formazione assistiamo interiormente, spettacolo insieme e spettatori, il ritmo del conoscere e dell’operare: di tutto ciò che è di tutto l’essere. Perciò ogni filosofo, ogni sistema ha un principio e un complesso di dottrine speciali, in cui quel principio viene esplicato, e ciascuna delle quali perderebbe tutto il suo significato e la sua stessa consistenza se volesse considerarsi indipendentemente dal principioiii .”

La Filosofia di G. Gentile dunque è attualismo perché concretezza della vita contro ogni positivismo scientista. Filosofia della vita contro ogni rigor mortis delle parti. L’ostilità ad un approfondito esame non può essere ridotta alla sua adesione al fascismo, piuttosto problematica, ma rientra nell’attuale ostracismo contro gli autori che hanno posto la coscienza e la prassi quale sostanza del loro pensiero. La concretezza con il suo operare è osteggiata per favorire l’ipostatizzazione dell’immediato, perché si viva nella tragica e bugiarda negazione non solo del futuro, ma specialmente dell’analisi complessiva dei fenomeni sociali. Il Regno animale dello Spirito di Hegel può presentarsi, così, come l’unico modello possibile, eternizzato dalla mortificazione generale e dall’espulsione di ogni atteggiamento teoretico. La caverna diviene gabbia d’acciaio. Contro di essa l’attualismo di G. Gentile ha ben reso paleso quanto il pensato rivissuto è pensiero concreto in quanto ridivenuto attuale e come tale combustibile per il pensiero pensante, agere, nuovo inizio e come tale già prassi, e quindi apertura verso il futuro.

Un pensiero nostro, ma già pensato, non si ripensa se non in quanto si rivive nel pensiero attuale; è cioè solo e in quanto esso non è il pensiero di una volta, distinto dal pensiero presente ma lo stesso pensiero attuale, almeno provvisoriamente. Sicché pensare un pensiero (o porre il pensiero oggettivamente) è realizzarlo; ossia negarlo nella sua astratta oggettività per affermarlo in un’oggettività concreta, che non è di là dal soggetto, poiché è in virtù dell’atto di questoiv .”

L’attualismo Filosofia della prassi ha nell’atto la sua legge teoretica. L’atto è l’unità della coscienza viva pensante che si sottrae al fatalismo per essere nel mondo, per vivere la responsabilità dell’agire politico. Nell’anomia generalizzata delle passioni tristi, G. Gentile rompe con la decadenza della fine delle grandi narrazioni per sfidarci ad un altro modo di esserci nella storia. Solo con la forza plastica dei grandi autori possiamo cominciare a ritrovare la via che ci conduce fuori dalla gabbia d’acciaio. Perché questo accada dobbiamo superare l’ostacolo epistemologico indotto dalla società in cui si può trasgredire in ogni ambito, ma non si può pensare con coscienza di sé, essa è sostituita con il semplice “sentire.”


Note

i Giovanni Gentile, La Riforma della dialettica hegeliana, Sansoni, Firenze 1954, pag.261

ii Ibidem pag. 115

iii Ibidem pag.110

iv Ibidem pag. 184

Add comment

Submit