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sinistra

Salvini e la “pseudomorfosi” di sinistra

di Eros Barone

Risolvere correttamente il problema dell’identificazione della natura di classe della Lega sembra essere diventato un compito troppo arduo per un certo numero di marxisti o di sedicenti tali. Orbene, tenendo conto che occorre distinguere tra base sociale (ossia l’effettiva direzione di un movimento) e base di massa (ossia l’insieme degli strati sociali, tra cui figura anche un ampio settore del proletariato, egemonizzati dalla classe che detiene la direzione di tale movimento), non vi è dubbio che la Lega sia da definire come un movimento reazionario della piccola e media borghesia dell’Italia settentrionale: un movimento atto a fornire una base di massa alle politiche antipopolari dei settori più corporativi e autoritari della grande borghesia (che coincidono in larga misura con quei settori la cui attività economica è strettamente connessa ai circuiti produttivi e commerciali dell’Europa centrale e orientale), fondato su un’ideologia populista che amàlgama valori liberali (individualismo, liberismo e federalismo), valori fascisti (securitarismo, xenofobia, razzismo, darwinismo sociale, comunitarismo organicista e culto del capo) e, in certi momenti, perfino valori democratici (elettività della magistratura e associazionismo).

 

Se questa è la natura profonda della Lega, va detto nondimeno che essa, come tutti i movimenti dello stesso tipo (basti pensare all’eclettico pressappochismo ideologico e all’opportunismo politico che la caratterizzano), può “permettersi il lusso” – per parafrasare una celebre dichiarazione di Mussolini – “di essere aristocratica e democratica, conservatrice e progressiva, reazionaria e rivoluzionaria, legalitaria e illegataria, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente”. In effetti, come risulta anche dal ‘modus operandi’ di Salvini nella sua veste di ministro dell’interno, la tattica proteiforme seguita dalla Lega trova oggi il suo cemento non solo nel richiamo storico al liberismo, ma anche e soprattutto, come ha teorizzato a suo tempo Giulio Tremonti, ideologo organico del blocco corporativo interclassista e nordista, nella svolta neo-protezionista e anti-europeista, che caratterizza la dirigenza leghista. D’altronde, le posizioni della Lega sulla questione meridionale, sulle politiche industriali, finanziarie, sociali, fiscali e del lavoro, confermano pienamente la giustezza di quella definizione, mettendo a nudo la natura della Lega quale prodotto di una reazione aggressiva del ‘popolo delle partite Iva’ (corrispettivo fiscale del gramsciano “popolo delle scimmie”)1 ai processi di mondializzazione (= concentrazione + centralizzazione) posti in atto dal grande capitale industriale e finanziario: reazione sostenuta da vasti consensi territoriali originati, oltre che dall’aggregazione, in chiave localista, dei settori più retrivi dell’area clericale, dalla decomposizione politica e ideale di una parte del proletariato, che prima sosteneva e votava il Pci e il Psi (e in questo senso resta ancor oggi pertinente la definizione dalemiana della Lega come ‘costola della sinistra’). Sennonché, tolte le diverse maschere ideologiche di volta in volta indossate, ciò che la Lega mostra è il volto di un coacervo di forze politicamente reazionarie e ideologicamente primitive. Basti pensare alla concezione soggettivistica e dietrologica, insistentemente riproposta da vari dirigenti leghisti, secondo cui la storia è il risultato di un complotto di onnipotenti demiurghi che dirigono la politica mondiale: una concezione con cui tali dirigenti, ispirandosi forse a De Maistre, nonché (con quanta consapevolezza non è dato sapere) a Hitler e Mussolini, mirano a demonizzare la massoneria, l’ebraismo, le ‘demoplutocrazie giudaico-massoniche’ e, naturalmente, il Moloch della globalizzazione, che di tali forze è il prodotto. Né il discorso cambia se si prende in considerazione la critica, tipicamente piccolo-borghese, che la Lega sviluppa contro il predominio del grande capitale monopolistico: una critica che esprime il carattere fondamentalmente regressivo dell’ircocervo leghista il quale aspira, nel XXI secolo, a ritornare dal capitalismo monopolistico al capitalismo ‘nazionale’ e/o piccolo-proprietario, così come, nel XIX secolo, altri rappresentanti di utopie reazionarie (basti pensare a Friedrich List o a Simondo Sismondi) aspiravano a ritornare dal capitalismo al feudalesimo.

Occorre, peraltro, riconoscere che la trasformazione della Lega Nord da partito secessionista e nord-sciovinista in partito nazionalista e tendenzialmente anti-europeista costituisce un notevole successo del camaleontismo politico-ideologico di Matteo Salvini. Questi, dopo avere stretto una stabile alleanza con il “Front National” di Marine Le Pen ed essersi organicamente integrato nel gruppo di estrema destra all’europarlamento, è riuscito così a rilanciare una Lega Nord che sembrava destinata all’estinzione, inceppata, com’era, per un verso dal colorito familismo amorale e per un altro verso dal grigio governismo istituzionale. In pochi anni, invece, la Lega Nord ha rinsaldato le sue posizioni adottando e applicando quello che si può definire il ‘modello Borghezio’, cioè scendendo e operando con efficacia sull’antico terreno della xenofobia, della retorica populista e della mobilitazione reazionaria delle masse. Archiviata la linea secessionista, è stata così inaugurata la linea nazionalista, secondo la quale il problema non consiste più nel distacco del Nord dal Sud d’Italia, ma nella fuoriuscita dell’Italia intera dall’euro. Il logico corollario della nuova linea nazionalista è la polarizzazione, coscientemente perseguita, dei variegati gruppi dell’estrema destra intorno al fulcro leghista e la loro valorizzazione nelle campagne di difesa dell’italianità contro le diverse ‘invasioni’ (dai migranti clandestini ai rom, dai musulmani ai profughi di guerra) che minaccerebbero il nostro paese. La linea che caratterizza questo pericoloso coacervo di forze di estrema destra è quella di raccogliere consensi e basi di massa tra i settori operai e popolari maggiormente colpiti dalla crisi economica e sociale: settori che, a causa del disarmo ideologico e dell’abbandono politico delle periferie metropolitane da parte della sinistra revisionista e riformista, sono anche potenzialmente sensibili al richiamo del “sole nero degli oppressi”, rappresentato dalla mitologia populista e ultranazionalista del fascismo e del nazismo. Così l’odio per l’Unione Europea non viene alimentato per il carattere imperialista, capitalista e liberista di tale conglomerato, ma per il suo carattere mondialista ed omologante, quindi antitetico all’identità nazionale, laddove l’obiettivo che viene perseguito non è il cambiamento del sistema economico-sociale e il rovesciamento dei rapporti di forza tra le classi, ma la preservazione, per l’appunto, dell’identità nazionale concepita nei suoi aspetti più conservatori e reazionari.

A questo punto, consapevole delle vaste praterie che il disarmo della sinistra ha regalato alle destre, Salvini non ha esitato ad adottare una ‘pseudomofosi’ di sinistra2 e, in un’intervista pubblicata dal «Washington Post», ha affermato che bisogna cancellare le sanzioni contro la Russia per la cosiddetta aggressione russa contro l’Ucraina in quanto danneggiano le esportazioni italiane, sostenendo inoltre il diritto della Russia di riunirsi con la Crimea e capovolgendo in un sol colpo la posizione assunta dai precedenti governi su questo tema. Sta di fatto che sia la legittimazione dell’annessione della Crimea alla Russia, sanzionata da un referendum plebiscitario, sia la delegittimazione della cosiddetta ‘rivoluzione di Majdan’ ricondotta alle sue reali dimensioni di colpo di Stato finanziato da potenze esterne facilmente individuabili, oltre ad essere in sé posizioni di sinistra (ancorché, come è noto, non della sinistra), hanno provocato la reazione stizzita del governo-fantoccio di Kiev e l’immediata convocazione dell’ambasciatore italiano.

Sul fronte sociale (un fronte che la Lega non ha mai trascurato), gli interessi sociali da difendere in modo preminente sono sempre, per il partito di Salvini, quelli della piccola borghesia, frazione di classe perennemente incerta e sempre pronta a rivolgere l’aggressività e il risentimento, tipici dei ceti declassati, contro capri espiatori atti a funzionare come valvole di sfogo su cui scaricare i costi della crisi. Ma il dato più allarmante, spesso sottaciuto da coloro che dovrebbero denunciarlo (sindacalisti in primo luogo), anche se è l’aspetto maggiormente preoccupante della congiuntura attuale, è la crescente adesione del voto operaio, che la Lega sta riscuotendo. Il dato per la verità non è nuovo, poiché nelle regioni settentrionali e segnatamente in Lombardia da tempo esiste tra non pochi operai la ‘doppia militanza’ sindacale e politica. Nuova è invece la convergenza sulla Lega da parte dell’organizzazione operaia per eccellenza, la Fiom. Basti pensare che qualche tempo fa il segretario regionale lombardo della Fiom, Mirco Rota, decise di aderire ufficialmente al referendum contro la legge Fornero promosso dalla Lega Nord. Un caso finora isolato, ma che rivela il duplice profilo del “partito operaio e piccolo-borghese” di Salvini, reso sempre più incisivo dalla disgregazione sociale e dall’inerzia o dalla complicità della sinistra revisionista e riformista, nonché delle burocrazie sindacali collaborazioniste. La miscela esplosiva che si sta formando è dunque micidiale e gravida di funeste conseguenze: la linea che fonde l’appello alla difesa dell’ordine esistente e alla sicurezza contro le invasioni dei clandestini con l’idea di un ritorno ad un nazionalismo autarchico, polarizzando settori operai e popolari nei quartieri devastati dalle politiche neoliberiste e collegandosi con lo squadrismo di “Casa Pound” e di “Forza Nuova”, può condurre, in assenza o carenza di validi anticorpi, ad uno sbandamento delle masse popolari in direzione del fascismo ed aprire la strada a tragiche derive autoritarie.

Che dire allora di questi ‘giri di valzer’ in cui Salvini e il suo compare Di Maio scimmiottano, da destra, talune posizioni di sinistra? Che gli interessi del vasto conglomerato italiano delle piccole e medie imprese verso l’esportazione di non pochi prodotti italiani nel mercato russo siano, come peraltro viene esplicitamente dichiarato dallo stesso leader leghista, un’importante motivazione di questa presa di posizione è indubbio; che l’Italia, sotto l’attuale governo, stia compiendo, senza minimamente mettere in discussione i fondamenti strategici della sua collocazione filoamericana, manovre tattiche di ridislocazione all’interno della “piramide imperialista” è altrettanto indubbio (la stessa simmetria che intercorre tra le presidenze statunitensi e i governi italiani è una precisa conferma dell’eterocefalia del nostro paese: Bush-Berlusconi, Obama-Renzi, Trump-Salvini/Di Maio); che, in funzione di tali manovre, sia necessario sfruttare al massimo le contraddizioni tra partito filorusso, partito filoamericano e partito filotedesco, è del pari palese. Ma la sinistra comunista, che è altra cosa, ben distinta e persino antagonista rispetto alla sinistra variamente definita (movimentista, radicale, sovranista, plurale e così via delirando), che linea deve seguire di fronte all’opportunismo e al trasformismo che improntano i continui zig-zag del governo Salvini-Di Maio? La stella polare della sinistra comunista si chiama oggi autonomia di classe, così come lo strumento per realizzarla si chiama partito indipendente del proletariato d’Italia. Non esistono infatti alleati politici, ma soltanto sociali (piccola borghesia e strati salariati non produttori di valore): è questa un’affermazione non settaria, ma semplicemente e sobriamente realistica, cui la lotta contro l’opportunismo, tumore maligno della vecchia sinistra revisionista e riformista, conferisce un ulteriore sigillo di qualità. A coloro, invece, che si fanno incantare dalle sirene del sovranismo, non avendo mai condotto una critica marxista seria e approfondita del significato dei concetti di sovranità nazionale e popolare in una formazione imperialistica, possiamo soltanto rammentare che il fascismo, prima di arrivare a Roma, è passato da Fiume.


Note
1 Cfr. A. Gramsci, Socialismo e fascismo (« L’Ordine Nuovo » 1921-1922), Einaudi, Torino 1970, pp. 9-12.
2 In mineralogia si definisce pseudomorfosi l’esistenza di un minerale che si presenta con la forma esterna propria di un’altra specie mineralogica. Il contesto rende qui evidente l’uso metaforico di tale termine.
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