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odysseo

Salvini che cita Simone Weil…

di Domenico Canciani

C’era da aspettarsela una reazione al passaggio del discorso di Salvini a Pontida in cui, citando Simone Weil, le spalanca le porte del pantheon leghista. E, infatti, messaggi pervasi di una punta di fastidio non hanno tardato ad arrivare. Non so quanti tra gli ascoltatori assiepati sul pratone abbiano identificato nella citazione del loro leader la giovane filosofa francese, morta a Londra nel 1943, o quanti, invece, non l’abbiano confusa con l’altra Simone Veil, presidente del parlamento europeo, che nel Panthéon della patria francese, tra contrasti, ci è entrata ufficialmente proprio in questi giorni. Ma non è questo comprensibile scambio di persone a preoccupare, quanto la maldestra pretesa di Salvini di riassumere a proprio vantaggio in due imprecise citazioni il pensiero di Simone Weil. Ma così funziona la comunicazione oggi: si isola una frase, estrapolandola dal contesto, e intorno ad essa si fila la propria ragnatela da cui il pensiero critico e la probità intellettuale sono completamente assenti. Non c’è da stupirsi: è il triste destino di donne e di uomini che hanno pensato e  pensano in modo coraggioso, citati e mai letti davvero. Tra l’altro, citare oggi Simone Weil è un vezzo a cui soggiacciono professori e conferenzieri, allora perché stupirsi che lo facciano anche dei politici?

La fortuna del pensiero di Simone Weil è andata soggetta a interpretazioni contrastanti, ora di destra, ora di sinistra, e oggi di nuovo di destra. In questo momento, infatti, in Francia si assiste a un ricupero in funzione identitaria di un aspetto del suo pensiero da parte della destra nazionalista, quella stessa destra a cui guarda con simpatia il leader della lega.

A usare disinvoltamente il pensiero di Simone Weil ci aveva già pensato qualche anno fa Beppe Grillo, ricuperando a proprio vantaggio la Nota per la soppressione generale dei partiti, il suo primo scritto, tradotto in Italia da Franco Ferrarotti e fatto conoscere da Adriano Olivetti, un’altra personalità arruolata da Salvini. Al fondatore dei Cinque stelle non è parso vero di poter attingere alla critica spietata rivolta a tutti i partiti da Simone Weil che quello scritto contiene. Solo definendo Movimento la sua creatura ha creduto di potersi mettere al riparo dalla critica weiliana. Ma l’escamotage è stato immediatamente smascherato da Alessandro Leogrande, lo straordinario giornalista, noto ai lettori di Odysseo. Il guru trionfante nel post in cui invitava i suoi seguaci a leggere lo scritto di Simone Weil mostrava di averlo completamente frainteso. Infatti, faceva notare  Leogrande, «Simone Weil criticava aspramente il partito giacobino-staliniano (e il modellarsi su quella forma anche dei partiti nati in un solco culturale e politico diverso). Criticava l’asservimento dei singoli militanti al volere del Capo, il sacrificare la capacità di discernimento di ogni singolo eletto sull’altare di quella che è invece la volontà che discende dall’alto dei gruppi parlamentari o del comitato centrale o del sommo leader. Il pensare “partitico”, nel momento in cui sostituisce a ogni criterio di Giustizia e Verità, cioè di pensiero autonomo e disinteressato, quello del successo del partito medesimo (contro tutti gli altri partiti) conduce in un vicolo cieco. […] La cosa che Simone Weil temeva, aggiunge Leogrande, è il fuoco della demagogia, cioè la capacità di alcune forze politiche (soprattutto di quelle che vogliano abbattere tutto, per poi edificare una nuova era) di essere straordinari moltiplicatori di torbide passioni collettive. Come? Con un uso sapiente della propaganda e della persuasione, che sono diametralmente opposte alla comunicazione reale tra persone, al discernimento dei problemi concreti» (Orwell, novembre 2012).

La disinvoltura di Salvini che cita Simone Weil non è da meno, è solo più banale. Ma per poterlo asserire non mi sono affidato alle sintesi riportate dai media: ho voluto ascoltare integralmente il discorso indirizzato ai suoi elettori e simpatizzanti per potere situare nel contesto giusto le allusioni e le affermazioni prese a prestito da Simone Weil.

Il passaggio in questione è abbastanza lungo e, accavallandosi, muove dalla critica all’Europa e a quelli che in Europa per arrivare in modo repentino e inaspettato a evocare Simone Weil. Dice Salvini: «[Se non stiamo attenti] vincono loro, quelli per cui non esistono i confini, non esistono regole, esistono solo diritti, ma non esistono doveri. Simone Weil diceva che i doveri vengono prima dei diritti e questo se lo deve mettere bene in testa chi vive in Italia da tempo ma soprattutto chi arriva in Italia domani mattina. I doveri vengono prima dei diritti, il rispetto di un popolo, di una storia, di una cultura, di una tradizione. Non c’è niente di gratuito e di regalato. E a proposito di immigrazione la stessa Simone Weil, che non può essere accusata di populismo, sovranismo, fascismo, nazismo o marzianismo, tutto quello di cui veniamo accusati solitamente, scriveva che “è criminale tutto ciò che ha effetto di sradicare un essere umano o di impedirgli di mettere radici”. Questo (fa) Bruxelles, Berlino, Parigi hanno provato a fare in questi anni, toglierci le radici da sotto terra, cancellare donne e uomini per avere numeri e consumatori al servizio di quelle multinazionali, come la Coca Cola, che poi sponsorizzano le sfilate dell’orgoglio nelle varie città per conquistare nuovi consumatori e magari qualcuno ti spiega che fa meglio la coca cola dell’olio d’oliva italiano, se lo bevessero loro…».

Non c’è bisogno di essere degli specialisti del linguaggio per notare che in questo brano le parole non servono un ragionamento ma nel loro accavallarsi e rincorrersi funzionano come suscitatrici di emozioni e di sentimenti e risentimenti immediati.

Ma non è questo ciò che interessa in questo momento. Domandiamoci piuttosto cosa e quanto del pensiero di Simone Weil trascina con sé il fiume di parole di Salvini. La prima cosa che occorre rilevare è che non c’è bisogno di scomodare Simone Weil per ricordare che i diritti e doveri procedono di pari passo. In realtà il discorso sul dovere o, meglio, sull’obbligo, nel lessico di Simone Weil ha ben altra radicalità, profondità e dimensione:  con la nozione di obbligo, capovolgendo la concezione tradizionale erede dell’età dei lumi, Simone Weil stabilisce un principio originario, incondizionato, non subordinato alla forza, ancorato al rispetto sempre e ovunque dovuto ad ogni essere umano nella sua integrità di corpo e di anima. Il rispetto dell’essere umano s’incarna nel dovere concreto di individuare, definire e soddisfare i bisogni umani del corpo e dell’anima, tra i quali è primario quello del radicamento. È in questa prospettiva che, in un’eventuale nuova Costituzione,  si dovrà riconoscere che:

«L’anima umana ha bisogno sopra ogni altra cosa di essere radicata in molteplici ambienti naturali e di comunicare tramite loro con l’universo».

Poi compare la frase citata da Salvini, dove si definisce «criminale (tutto) ciò che ha come effetto di sradicare un essere umano o d’impedirgli di mettere radici» (Dichiarazione degli obblighi verso l’essere umano).

In questo senso il bisogno di radicamento in una comunità di lingua, di storia e di cultura è un obbligo da salvaguardare e soddisfare: disattenderlo si configura come un’azione criminale. Ma bisogna subito precisare che il crimine che denuncia Simone Weil, se si pone mente a quanto ha scritto in numerosi suoi testi e ribadito nella Prima radice, riguarda la Francia, l’Italia, l’Europa, insomma l’Occidente, che nell’impresa coloniale hanno sradicato intere popolazioni dell’Asia e dell’Africa, causando quello sconquasso e successivamente quell’esodo massiccio di persone che oggi ci spaventa e a cui ci rifiutiamo di porre rimedio.

Ed eccoci costretti a parlare di immigrati e di rifugiati, nel caso di Simone Weil di lavoratori stranieri per lo più provenienti dall’Indocina, che lei ha visitato nei campi di raccolta, confino e detenzione (Gurs, Argelès, Saint-Cyprien…) durante i mesi in cui era sfollata a Marsiglia. Chi lo vuole può ora leggere, tra le sue carte e tra gli scritti marsigliesi, le lettere di denuncia, le note e le dettagliate proposte di riforma nel rispetto della dignità umana di migranti e rifugiati, indirizzate con testarda determinazione ai responsabili di quelle strutture e agli organismi deputati del Governo di Vichy (Ministeri del Lavoro e degli Interni).

La Simone Weil, evocata da Salvini e additata all’ammirazione dei simpatizzanti della Lega, è ben più ricca, radicale e esigente di quanto non appaia nel discorso pronunciato a Pontida. Tra coloro che l’hanno ascoltato domenica scorsa ce ne sarà più d’uno che, incuriosito, vorrà rendersene conto personalmente, leggendola davvero. È a queste persone che, per concludere, offro, timidamente, l’ultima strofa di una poesia di Simone Weil, intitolata Mare, che proprio perché parla di cose eterne risulta di straordinaria attualità. Possa servire ad aprirci gli occhi e a scuotere le nostre coscienze affinché una catastrofe analoga a quella che ha funestato il secolo scorso non abbia a ripetersi ancora:

Vasto mare, abbi pietà degli sventurati mortali,

Stretti sulle tue rive, persi nel tuo deserto,

A chi s’inabissa parla prima che soccomba.

Scendigli nell’anima, nostro fratello mare.

PurificalA nelle tue acque di giustizia.

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