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remocontro

Libia, in francese il gran pasticcio tra avidità e improvvisazione

di Piero Orteca

Fu Sarkozy a organizzare l’eliminazione di Gheddafi mascherandola da “Primavera araba”.
-Petrolio e uranio dietro la ricerca della “democrazia” usata come paravento per i propri interessi.-E ora Macron a che gioco sta giocando?

Grandeur piccola piccola

Non vogliamo parlare di quello che sta succedendo oggi in Libia. Perché solo orbi, incapaci e gonzi potevano pensare che con l’assassinio di Gheddafi le cose si rimettessero magicamente a posto. No, l’allarme era stato lanciato dagli analisti più avveduti ben prima che le Nazioni Unite (un logoro vestito buono per tutte le stagioni) votassero la risoluzione destinata a mettere il coperchio sopra le foie interventiste della Francia. Ci riferiamo ai primi mesi del 2011, quando Sarkozy, che non andava più d’accordo e non si spartiva più i pani e i pesci col suo compare d’anello, Colonnello Gheddafi, prese cappello e diede ordine ai suoi servizi segreti di preparare il “piattino”, leggasi un colpo di Stato in Libia.

 

Falsa primavera

Ma quale Primavera araba! Dietro le tende di una diplomazia putrida e arrivista, per Parigi si agitavano ragioni meno nobili della “democrazia” e molto più remunerative: petrolio e, soprattutto, uranio.

La storia è lunga e l’abbiamo già raccontata più volte, ma sarà utile rinfrescare qualche passaggio a chi è corto di memoria. Il dramma libico di oggi, che poi è un dramma pure per noi italiani e per molti motivi, ha radici lontane. Gheddafi è stato solo il pretesto, lo specchietto per le allodole, per arrivare a mettere in saccoccia un bottino che non aveva nulla a che vedere con i principi di libertà e di indipendenza delle popolazioni africane. Primavera araba? “Ma mi faccia il piacere”, avrebbe esclamato il mitico Totò.

 

Rivoluzioni mancate

Ogni Paese che ha vissuto quella stagione camminava per conto suo. Tutti, forse, meno la Tunisia, la più “sincera” tra le rivoluzioni. Le altre, a partire dall’Egitto, proseguendo per la Libia e arrivando fino alla Siria, mostravano un background dove il più pulito aveva la rogna. Primavere arabe? Un milione e mezzo di morti, mettendoci nel mazzo anche l’Irak, bastano a tacitare le coscienze di chi non si è ancora accorto che trattavasi di una colossale presa in giro organizzata e cavalcata dalle parti dell’Eliseo? Un bagno di sangue, perché tutto, alla fine, fosse peggio di prima. Sai che bella pensata! La verità è che i Paesi che hanno tentato di “copiare” (sotto dettatura) istituzioni e modelli politici occidentali ci hanno rimesso la pellaccia e il piumaggio.

 

Cameron – Sarkozy

Chi ha soffiato sul fuoco della protesta, come la Francia (ma anche America e Regno Unito) sperava di lucrare materie prime e, soprattutto, posizioni strategiche, alla faccia delle popolazioni locali. Incitate a scannarsi, nell’attesa del tradizionale “soccorso” occidentale. Solo che non sono più i tempi di quando Berta filava, E così le potenze europee, che sognavano “un posto al sole” riveduto e corretto, sono uscite con le ossa rotte da un tale becero tentativo di costruire un “colonialismo di ritorno”. Mentre anche Obama, tirato per la giacca da quegli idioti di Cameron e Sarkozy, è stato scaraventato con tutte le scarpe nelle sabbie mobili di una palude da cui si rischia di non uscire più.

 

Usa per trascinamento

Gli Stati Uniti, allora, si pentirono quasi subito. E, nel caso della Libia, un think-tank prestigioso come il Council on Foreign Relations sparò a palle incatenate contro l’intervento americano, con un saggio di James M. Lindsay (senior vice president Cfr) che criticava la decisione della Casa Bianca con parole profetiche: gli Stati Uniti e i loro alleati sbarcando in Libia non sanno in che guai si stanno mettendo. Bene, anzi male. Oggi stiamo qui a leccarci le ferite e a tremare. Perché se scoppia la polveriera libica, cioè Tripolitania contro Cirenaica, col Fezzan in mezzo e 1750 gruppi armati (sì, avete capito bene, millesettecentocinquanta bande di tagliagole) non ce n’è più per nessuno.

 

Fighetto Macron

A cominciare dall’Italia che, quasi fosse una nemesi storica, paga sempre le pere per tutti. Anche per il fu Sarkozy e per il novello “Napoleone di borgata”, Emmanuel Macron, un fighetto tutto “grandeur” all’amatriciana, parole mielose e coltellaccio dietro la schiena. Uno che non ci ama e da cui, come dicono a New York, non comprereste mai una macchina usata. A proposito, qualche uccellino già comincia a cinguettare. Che non c’entri pure lui, in qualche modo, in codesto nuovo mattatoio tripolino? Come gridare agli italiani: “Libertè, fraternitè …e fregalitè”.

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