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Uno sketch lungo 25 anni, ora recitato da Salvini

di Dante Barontini

Siamo sempre allo stesso punto. Da 25 anni.

La sceneggiata messa su dal fascioleghista ministro dell’interno – apertura in video di una busta recapitatagli da un carabiniere, dal contenuto già abbondantemente a lui noto – occupa le prime pagine dei giornali. Per una volta a ragione, ma con argomentazioni e analisi completamente sballate. Inchiodate a uno schema stupido (la “contrapposizione tra politica e magistratura”) che non spiega nulla. Anzi, nasconde tutto.

Andiamo con ordine.

Nella busta gialla c’era una comunicazione formale dovuta, da parte dei magistrati palermitani, visto che hanno modificato le contestazioni ipotizzate inizialmente dalla Procura di Agrigento nei suoi confronti: ora gli viene contestato il reato di sequestro di persona aggravato.

Sul piano politico non cambia molto – il sequestro è relativo al “trattamento” riservato a profughi ed equipaggio a bordo della nave Diciotti, della Guardia Costiera italiana – ma Salvini ha deciso di farne l’occasione per uno spot politico-elettorale decisamente golpista.

L’argomento-chiave è appunto vecchio di 25 anni: “Qui c’è la certificazione che un organo dello Stato indaga un altro organo dello Stato, con la piccolissima differenza che questo organo dello Stato, pieno di difetti e di limiti, per carità, è stato eletto, altri non sono eletti da nessuno“.

Anche uno studente al primo anno di giurisprudenza sa che la democrazia liberale si basa sulla tripartizione dei poteri dello Stato – esecutivo o governo, legislativo (Parlamento) e giudiziario – e sul principio dell’eguaglianza generale davanti alla legge. Insomma, che l’esser stati eletti non assicura alcuna superiorità rispetto alle leggi esistenti. E la storia italiana del dopoguerra è abbastanza ricca di ministri, parlamentari, addiritura ex presidenti del consiglio indagati, processati e – com’è ovvio che sia – alcune volte condannati, altre assolti. Craxi, Andreotti, Pietro Longo (Psdi) e una pletora di figure minori inciampate in reati di tutti i tipi. Così come in altri paesi è avvenuto con Nixon (destituito da presidente della prima superpotenza globale!), ha rischiato Clinton, ha subito Chirac e tanti altri.

E’ la regola della democrazia liberale: qualcuno viene eletto per fare il parlamentare ed eventualmente governare, i magistrati devono controllare se quel che fa è consentito oppure no dalle leggi esistenti (che possono comunque essere modificate dal Parlamento, ma fin quando esistono valgono per tutti). I magistrati, nelle democrazie liberali, sono quasi sempre assunti per concorso, non per elezione (solo negli Stati Uniti e in qualche altro Stato di tradizione anglosassone c’è quest’altro tipo di selezione), perché si presume che l’approfondita conoscenza delle leggi e delle loro interconnessioni richieda competenze che un “eletto” può benissimo non avere.

Ma queste sono appunto banalità da primo anno di corso…

Possibile che un ministro dell’interno e parlamentare da molte legislature (tra Montecitorio e Strasburgo) non sia mai stato informato di questi “dettagli”?

Di tutto possiamo accusare Salvini, tranne che di essere un fesso che apre bocca senza sapere cosa dice. E’ un “comunicatore”, come Berlusconi e Renzi; uno che fiuta l’aria, cerca l’appoggio dei “poteri forti” e imbastisce recite pubbliche per incantare i grulli. Non un fine intellettuale, certamente, ma neanche quel cinghialone tutto istinto ed empatia che si sforza di interpretare a beneficio del pubblico di bocca buona…

Quindi dobbiamo pensare che sappia esattamente quali conseguenze discendono dalla diffusione di un “luogo comune” secondo cui chi è stato eletto (sia pure con il 17% appena) è perciò stesso al di sopra della legge e dei magistrati.

E qui ritorniamo sempre al punto di partenza della “seconda repubblica”, nata da un collasso dell’antica classe politica (l’inchiesta passata alla storia come “Tangentopoli”), che ha spalancato i portoni a tutte le possibili scorrerie e a una piccola schiera di lanzichenecchi pescati nella “società civile”.

Sono insomma 25 anni che questa “politica” pretende l’immunità totale e dunque la subordinazione effettiva del potere giudiziario a quello esecutivo. Sono 25 anni che chi arriva ad afferrare per un attimo il potere esecutivo prova a modificare radicalmente la Costituzione.

Ha perseguito apertamente questo obiettivo Berlusconi. Ci ha riprovato Renzi, seguendo l’identico schema e la stessa traccia piduista. Prosegue nel tentativo anche Salvini.

Se si vuol capire qualcosa bisogna mandare sullo sfondo queste facce e concentrarsi sulle ragioni – e gli interessi – alla base di questo continuo attacco. Il fallimento dei primi due tentativi, infatti, è stato dovuto all’incapacità di quei due “leader” di raccogliere intorno a sé un consenso sufficiente, più che a “radicate convinzioni costituzionali” di chi, di volta in volta, si è loro opposto. Se ci fate caso, Renzi e i piddini – in queste ore – criticano Salvini ricordando che la Lega è stata, incongruamente, parte del fronte del “No” al referendum del 4 dicembre 2016. Insomma: di che ti lamenti, avevamo avuto la stessa idea…

E’ la pochezza della cosiddetta “classe politica” italiana a riproporre sempre lo stesso conflitto invertendo semplicemente i ruoli. Il segmento che va al governo non riesce a costituzionalizzare un nuovo ordinamento altamente autoritario su cui anche gli altri segmenti sono in fondo d’accordo, ma che contrastano strumentalmente perché temono di consegnare a un altro le chiavi della prigione che intendono costruire.

A noi sembra abbastanza evidente che “la politica” nazionale ha ormai ben poco margine per determinare le linee fondamentali di governo del paese. Molte delle leve più importanti – a partire dalla politica economica e di bilancio, per non dire di quella estera e delle alleanze internazionali – sono state cedute a istituzioni sovranazionali (Unione Europea e Nato). Impossibile dunque, più che “difficile”, decidere politiche tali da garantire un consenso duraturo intorno a una maggioranza politica chiara. Anzi, impossibile perfino determinare una chiara discriminante tra le diverse liste elettorali… In cosa si distingue oggi il Pd da Forza Italia o dalla Lega? Dalla maggiore o minore rozzezza del linguaggio?

Ma se tutta la sfera della “politica” perde senso e utilità pubblica; se il legame tra figure sociali e sistema istituzionale non ha più quel tessuto di relazioni un tempo interpretato dai “corpi intermedi” (partiti con programmi e riferimenti ideali “forti”, sindacati con pratiche di intermediazione differenti, associazionismo orientato da valori differenti, ecc); se tutta l’attività di governo si riduce a trovare un tema di “distrazione di massa” su cui far concentrare l’attenzione dei media, mentre nel retrobottega del potere si smantella e si svende quel che resta del sistema-paese… Ecco che chi sta per un breve periodo al centro della scena politica diventa velocemente il vettore di un bisogno di ridisegnare l’architettura costituzionale, per garantire che la governance non trovi più nessun ostacolo. Sia questo rappresentato dall’opposizione popolare oppure dal controllo di legalità anche sugli atti di governo.

I “politici” di questa fase sono attori che sanno di poter restare in prima fila per poco tempo, senza alcuna grandezza che non sia l’ambizione individuale a restarci il più possibile. Arrivati a cavalcare l’onda della popolarità con qualche trucco di marketing, sono obbligati a diventare ossessivi, tristemente ripetitivi nella ricerca quotidiana della “pensata mediatica”…

Alla fin fine stancano, anche abbastanza rapidamente, e “il pubblico” comincia a cercare un altro attore da portare in primo piano, con cui identificarsi. Il quale, immancabilmente, indica nella Costituzione e nella legge il limite che gli impedisce di tener fede alle promesse.

Sono passati 45 anni da quel testo della “Commissione Trilaterale” intitolato Crisi della democrazia, in cui si auspicava che il potere politico venisse finalmente e di nuovo sottratto all’influenza delle classi popolari, lasciandolo alla regolazione delle istituzioni sovranazionali e “dei mercati”. Tutto il travaglio che stiamo vivendo, come spettatori o protagonisti del conflitto sociale, è parte essenziale di questo processo…

P.s. Anche la “rettifica” di stamattina (“rispetto il lavoro di tutti”) è un classico nella sceneggiatura di questo eterno sketch. La prova, se volete, che c’è un abile sceneggiatore, dietro…

Comments

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Eros Barone
Wednesday, 12 September 2018 11:10
L'analisi condotta nell'articolo manca, al solito, di una categoria fondamentale, elaborata proprio dall'Internazionale Comunista nel corso della sua storia (1919-1943): la categoria di fascistizzazione. La fascistizzazione dello Stato è infatti la forma che assume la reazione della borghesia quando essa avverte come un vincolo al suo dominio la divisione liberale dei poteri e le stesse libertà democratiche borghesi. Essendo la tendenziale riscossa della borghesia, che in questo modo punta a salvare il suo dominio, la fascistizzazione è comune come 'tendenza' a quasi tutti gli Stati imperialisti. Naturalmente la fascistizzazione assume varie forme e vari aspetti a seconda dei vari paesi. Quelli che appaiono in Italia sono un diffuso anticomunismo, la mobilitazione reazionaria, la xenofobia e il razzismo, la recrudescenza dell'attività dei gruppi di estrema destra e, causa ed effetto ad un tempo dei fattori precedenti, la costituzione di un governo razzista e antioperaio, al servizio dell'estrema destra statunitense. Chi porta avanti il processo di fascistizzazione? Esso, come ho sottolineato or ora, parte innanzitutto dal governo Conte-Salvini-Di Maio. In questo senso, è doveroso rammentare che la dittatura di Mussolini ebbe tre caratteristiche pienamente compatibili con l'ideologia dell'alleanza tra la Lega e il M5S: 1) fu populistica; 2) fu razzista; 3) fu plebiscitaria. Con ciò non intendo affermare che tutto il governo ha scelto la via della fascistizzazione, ma solo dire che il governo è al centro di un processo che coinvolge uomini e dirigenti dellla Lega e del M5S, i quali trovano in esso il centro di irradiazione, se non di partenza, di tutte le manovre reazionarie. Né intendo affermare che tutto l'apparato statale è ormai conquistato dalla reazione: occorre infatti distinguere tra i settori civili e quelli militari dello Stato, come pure tra gli impiegati e i gruppi dirigenti e anche all'interno di tali gruppi. Inoltre, anche all'interno degli organi statali - mi riferisco ad alcuni settori chiave: polizia, forze armate, magistratura - la svolta reazionaria incontra una resistenza più o meno accanita. Per quanto riguarda infine le forze economiche che sostengono la svolta reazionaria, esse vanno individuate nella piccola e media borghesia, ma anche in alcune frazioni della grande borghesia interessate ad un allentamento del vincolo esterno e ad una contrattazione più energica ed assertiva con la UE per ottenere margini più ampi di manovra e di espansione in determinate sfere di mercato. Credere che costoro abbiano scelto definitivamente la strada della reazione pura è certamente una forzatura, ma pensare viceversa che costoro abbiano accettato senza reticenze di stare alle regole del gioco democratico è un errore madornale. I comunisti, naturalmente, non devono aspettare fatalisticamente che il processo di fascistizzazione si compia. Esso può essere fin d'ora arrestato e battuto, perché è segno di debolezza e non di forza della borghesia. Per batterlo però è necessario creare un vasto fronte popolare sui temi del lavoro, della democrazia e della pace. Pensare di arrestare la politica reazionaria della Lega e del M5S solo con il ritorno del PD al governo significa nella pratica voler ripetere la fallimentare esperienza del centro-sinistra (da Prodi a Renzi). Non dimentichiamo, infatti, che il governo Conte-Salvini-Di Maio non è piovuto dal cielo, ma è maturato dal grembo del centro-sinistra.
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