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pensieriprov

Il mercato ha fallito. Abbiamo bisogno dello Stato

di Sandro Arcais

La strage di Genova ha dimostrato, per chi ha l’abitudine ad andare alle cause delle cose, che il sistema del mercato neoliberista ha ambiamente fallito (almeno dal punto di vista dell’80-90% dei popoli dell’Occidente, perché dal punto di vista del restante 10-20%, ma soprattutto dell’1% che concentra sempre più ricchezze, il mercato neoliberista funziona alla grande). Dobbiamo abbandonare idee, concetti, categorie che ci fanno male e che faranno ancor più male ai nostri figli. Il post che segue parla di questo, e lo fa presentando un documento che verosimilmente entrerà a far parte (speriamo) del prossimo Rapporto sullo Sviluppo Sostenibile Globale delle Nazioni Unite.

BIOS è una unità di ricerca multidisciplinare indipendente finlandese «che studia gli effetti delle questioni ambientali e legate alle risorse sulla società finlandese … e sviluppa le abilità dei cittadini e dei politici atte ad anticipare l’impatto di tali questioni.»

L’unità di ricerca è stata invitata a produrre  un documento scientifico di base sulla trasformazione dell’economia, a supporto del lavoro di stesura del Rapporto del 2019 sullo Sviluppo Sostenibile Globale redatto dalle Nazioni Unite.

Il documento è una condanna pacata, ma senza appello, del modello di sviluppo capitalistico attuale, di uno sviluppo basato sui meccanismi “anonimi” (si fa per dire) del mercato, e della teoria economica neoclassica che gli dà legittimità “scientifica” (si fa per dire).

Queste ultime sono intimamente in contraddizione con le sfide ambientali epocali che l’umanità si trova attualmente ad affrontare:

Le teorie economiche dominanti … si basano sul presupposto di una continua crescita energetica e materiale. Le teorie e i modelli prevedono solo cambiamenti incrementali nell’ordine economico esistente. Quindi, sono inadeguati per spiegare l’attuale turbolenza.

Insieme a questa ineliminabile inadeguatezza di fondo, le teorie economiche neoclassiche legittimano una serie di politiche economiche che piuttosto che rappresentare soluzioni generano problemi.

Oltre ai rapidi cambiamenti climatici, alla perdita di biodiversità e ad altri rischi ambientali, le società stanno assistendo a disuguaglianze crescenti, aumento della disoccupazione, crescita economica lenta, aumento dei livelli di debito e governi senza strumenti utilizzabili per la gestione delle loro economie.

Alla luce di questa micidiale miscela che sta risucchiando le società dei paesi occidentali soprattutto (e di quella parte del mondo che a lei è sottomessa) in un classico circolo vizioso che si sta velocemente trasformando in un vortice, le economie dei paesi di tutto il mondo hanno bisogno di

trasformare i modi in cui energia, trasporti, cibo e alloggio vengono prodotti e consumati. Il risultato dovrebbe essere una produzione e un consumo che offrono opportunità decenti per una buona vita riducendo drasticamente il carico sugli ecosistemi naturali.

Tutto questo il capitalismo basato sul “libero” (si fa per dire) mercato e sulla “libera” (si fa per dire) concorrenza non può farlo. Voler uscire fuori dai guai epocali in cui l’umanità si trova attualmente, con le stesse istituzioni capitalistiche e le stesse categorie economiche a loro coerenti che tali guai hanno creato, sarebbe come voler tagliare a fette con un martello un filoncino di pane. Per realizzare queste trasformazioni radicali

è necessario un forte governo politico. L’azione basata sul mercato non è sufficiente … . Ci deve essere una visione globale e piani strettamente coordinati. Altrimenti, una trasformazione rapida a livello di sistema verso obiettivi di sostenibilità globale è inconcepibile.

E non basterà uno stato che interviene «in maniera reattiva ad aggiustare i fallimenti del mercato», ma sarà necessario uno stato che progetti e si metta alla guida di «una  em>innovazione proattiva orientata al perseguimento degli obiettivi»

L’idea di uno stato che si mette alla guida di un percorso di innovazione istituzionale dell’economia deve affrontare soprattutto due obiezioni, due idee profondamente radicate nelle menti degli economisti, politici, e opinione pubblica occidentali. La prima è quella secondo cui

solo sotto un regime di “intervento” limitato da parte del governo , il mercato può mantenere la sua efficienza. Quindi, se lo stato dà la priorità a una tecnologia rispetto all’altra, molto probabilmente darà la priorità a quella sbagliata. Se lo stato impiega le persone a costruire nuove infrastrutture, toglierà spazio all’impresa privata.

La seconda idea noi Italiani la conosciamo molto bene. Infatti, è quella secondo cui il bilancio di uno stato deve essere in equilibrio: tanto esce in spese, tanto deve rientrare in tasse; se poi il debito pubblico supera una certa soglia, è necessario rientrare attraverso lo strumento dell’avanzo di bilancio: quanto entra in tasse deve superare quanto esce in spese.

Entrambi gli argomenti contro la guida dello stato forte presentati sopra dipendono da un particolare tipo di teoria economica, vale a dire la scuola neoclassica.

E si è visto quanto tale teoria sia inadeguata e incapace a offrire una soluzione ai problemi dell’umanità e delle società occidentali in particolare. Cosa bisogna fare in questi casi? Stare ad aspettare che arrivi la botta, magari sperando che siano tutte esagerazioni e che le cose poi cambieranno per il meglio? Avviarsi alle fosse comuni, in fila, obbedienti, catatonici, come pare facessero gli ebrei durante i massacri operati dai nazisti tedeschi (anche loro, forse, erano preda dello stesso incantesimo che con la formula magica “Non c’è alternativa” ci ha lanciato la maga Margaret quasi quaranta anni fa)? No. L’alternativa è molto semplice: cambiare ricetta economica, nella consapevolezza che nell’organizzazione economica di una società non c’è nulla di naturale:

Se passiamo a un altro obiettivo teorico, guardando l’economia da un’altra prospettiva, questi argomenti perdono il loro effetto.

L’«altra prospettiva», secondo gli autori del documento, è rappresentata dalla Teoria della Moneta Moderna, che si basa sullo studio delle «esistenti istituzioni economiche». Tale teoriaha svelato l’inadeguatezza, se non il carattere ideologico, della teoria neoclassica, ma soprattutto attacca alle fondamenta i due argomenti con cui la teoria neoclassica si oppone al ruolo-guida dello stato in economia. In primo luogo, la TMM mette in luce come

i mercati non esisterebbero e di fatto non esistono senza una regolamentazione politica

operata dallo Stato. In secondo luogo sin dall’abbandono, negli anni Settanta del secolo scorso, del sistema che agganciava le monete al valore dell’oro,

A differenza delle risorse naturali, sociali e tecnologiche, le valute sovrane non sono un fattore limitante nelle azioni collettive come è la transizione verso la sostenibilità.

Infatti

Lo stato può sempre spendere e investire nella propria valuta [e] non ha bisogno di basarsi su particolari posti di lavoro o industrie per motivi di gettito fiscale.

Quindi gli interventi di spesa dello stato può essere guidata non da (inesistenti e fittizi) limiti di spesa

ma sulla base di obiettivi sociali e concreti limiti nelle risorse materiali [a disposizione].

Liberati da inesistenti limiti di spesa, uno strumento praticabile suggerito dalla TMM è quello del Lavoro Garantito, che

garantirebbe a tutte le persone in grado e disposte a lavorare di ottenere un lavoro permanente, finanziato dallo stato e amministrato localmente. I lavori più adatti per il programma sarebbero quelli che quasi chiunque può fare con formazione limitata. I posti di lavoro potrebbero essere modellati per favorire la transizione verso la sostenibilità e per costruire capacità di adattamento ai cambiamenti climatici: ad esempio, l’installazione di soluzioni energetiche decentralizzate e la preparazione per le inondazioni. Oltre a innescare la transizione, la garanzia del posto di lavoro garantirebbe la piena occupazione. Ridurrebbe l’insicurezza e la necessità di competere per posti di lavoro ambientalmente distruttivi a livello individuale e collettivo.

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Riassumendo: abbiamo bisogno dello Stato, ma abbiamo bisogno anche che lo Stato non ripercorra strade che si sono già rivelate fallimentari (e lo stesso keynesismo del dopo guerra si è dimostrato tale). Abbiamo insomma bisogno di una teoria economica per i problemi che il presente ci pone, problemi di abbondanza piuttosto che di scarsità.

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