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poliscritture

In morte di un reazionario

di Ennio Abate

Punctus contra punctum: Ceronetti/Samizdat

La morte di Guido Ceronetti ha dato la stura ai panegirici sulla stampa: “grande scrittore”, “grande traduttore” di testi biblici, ecc. Mi ha stupito (solo perché sono vecchio) che su Facebook molti “amici” si accodassero agli osanna e condividessero la sua ultima intervista al “Fatto quotidiano” (qui) di Silvia Truzzi, sovranisticamente intitolata “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna”, un vero “grido di dolore” reazionario. E allora ho ripescato nel mio salvadanaio culturale alcuni spiccioli di cultura critica del solito Fortini, che Ceronetti l’aveva conosciuto da vicino (qui). I commenti seguiti mi hanno indotto a  contestare punto per punto  le “sparate” di Ceronetti in quella intervista. [E. A.]

* * * *

1. Ceronetti si dice « patriota vissuto in una ininterrotta perdizione di patria».

Samizdat si sente un senza patria.

2. Ceronetti sostiene che « sinistra e destra sono vecchi fantasmi arcidefunti».

Samizdat sostiene che continuità e discontinuità nella storia (politica) vanno attentamente verificate; e che, fossero anche sinistra e destra soltanto fantasmi (ma non pare del tutto), bisogna farci i conti, perché i fantasmi agiscono nel nostro immaginario.

3. Ceronetti dice che «migrazioni di popoli e globalizzazione tecnologica abbattono quelle frontiere per le quali abbiamo combattuto e penato tanto».

Samizdat dice che esistono «questioni di frontiera» (Fortini). E non sta dalla parte di chi ha «combattuto e penato tanto» per difendere certe frontiere. Sta dalla parte di chi – come i migranti – le oltrepassano e pongono ai residenti nuovi problemi: perché noi dobbiamo essere esclusi da beni costruiti anche rapinando i nostri paesi? Non ci può essere un’altra forma di società (e di civiltà) che non escluda nessuno o escluda il meno possibile (e non sempre e soltanto i poveri o noi extra)?

4. Ceronetti dice: « la patria è una madre più grande per tutti. E quando manca la madre, il disorientamento è massimo».

Samizdat dice che siamo ben più disorientati quando manca il pane, il lavoro, un’abitazione e non si ha la possibilità di studiare, girare, conoscere, godere il mondo. E che la patria/madre (ma patria non è «(terra) dei padri’»?) è una «comunità immaginata» (qui), che, sì, agisce anche nella nostra psiche ma in contemporanea con altri fattori materialmente condizionanti.

5. Ceronetti dice: « L’assenza di patria non è sostituita da nient’altro, forse solo, per quelli che ce l’hanno, dalla fede».

Samizdat dice che Ceronetti non vede valori oltre quelli della patria e della fede. Lui ne vede altri – un po’ sporcati, un po’ azzoppati – nell’esperienze – contraddittorie, da ripensare, da riaffermare – del moderno, dell’illuminismo, del socialismo/comunismo.

6. Molto rammaricandosene (ed, infatti, ha nostalgia di Pio X, del suo calamaio museificato; e svalorizza l’attuale papa giudicandolo *al massimo* « un grande modernizzatore. Ma niente di più»), Ceronetti dice : «è sbagliato pensare che l’Italia sia un Paese cattolico. Abbiamo almeno ottocento gruppi religiosi, la stessa Sicilia va diventando pentecostale: diciamo meglio che l’Italia è un Paese dove c’è anche il Vaticano».

Per Samizdat è meglio che l’Italia diventi sempre meno cattolica. È stato un bene e non una iattura che si sia avuta nel Cinquecento la spaccatura della Riforma protestante. È un bene che altre religioni arrivino in Italia e mettano credenti e non credenti di fronte al problema di capirle e fare i conti con esse.

7. Ceronetti è di una superficialità bestiale quando parla di politica. La riduce soltanto a «menzogna». O a « surrogato incruento della guerra civile». O le nega qualsiasi elemento di verità («era la prosecuzione di quegli altri discorsi, era lo stesso identico vuoto di verità»). Evita il giudizio storico politico ed è reticente nel parlare di certi eventi: «Ricordo il passaggio decisamente traumatico e violento del 25 aprile» ( Sì, ma eri coi traumatizzati o coi partigiani?). Confonde la militanza con la conversione (« Ero della generazione delle “conversioni de La corazzata Potëmkin”.»). O un errore di gioventù di cui s’è pentito («Dopo la Liberazione mi appassionava moltissimo tutto quel che era politica. Per slancio, del resto ero talmente giovane»). Pur avendo detto (all’inizio dell’intervista) che « sinistra e destra sono vecchi fantasmi arcidefunti», nei casi concreti che cita, simpatizza di fatto esclusivamente con rappresentati riconducibili alla Destra: – è comprensivo verso Priebke (« è sempre stato un essere umano») ma non ce la fa né a comprendere né a vedere umanità anche nella « folla che prende a calci la sua bara» ( qualche motivo cisarà stato o no?); – equipara l’attentato dei partigiani (i gappisti) di Via Rasella, che conducevano con pochi mezzi la guerriglia contro i nazisti, alla strage-rappresaglia delle Fosse Ardeatine contro 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni; – mette tutto nello stesso mucchio: Hitler, Lenin, Stalin; – ricorda che « quando Lenin arrivò in Russia nell’aprile 1917 subito si mise a predicare la trasformazione della guerra europea in aperta guerra civile», ma non capisce che quella rivoluzione (non semplice «guerra civile») ebbe il merito di fermare quantomeno la Prima Guerra mondiale.

Samizdat ritiene la verità (non solo contemplativa e ideale) e non la menzogna elemento decisivo di determinate politiche. E pensa il conflitto (non la guerra civile) come strumento indispensabile di emancipazione di chi soffre ed è messo sotto da dominatori di turno. E ha giudizi antitetici a quelli di Ceronetti su Resistenza, Priebke, Fosse Ardeatine, Lenin e Rivoluzione russa.

8. Ceronetti è un nostalgico del latino («Ecco, se c’è una differenza tra la classe dirigente del secolo scorso e questa, è che l’altra aveva una base di latino. Questa non ha niente e perciò ha le chiappe scoperte. Se non hai come base il latino, quel che dici in italiano difficilmente contiene verità»).

Samizdat ritiene che sia stato importante per una certa area culturale il latino, ma nega che tutte le culture e letterature di altri popoli siano inferiori solo per non essere derivate dal latino. E sa che la verità si costruisce nella storia e non è già bella e scritta solo in latino, una lingua che Ceronetti riduce a feticcio o a distintivo per élites dominanti e patriottiche («Alla domanda “a cosa serve il latino?”, posso rispondere che serve a distinguere un uomo che ha studiato il latino da uno che non ne sa niente. Latino è il vero padre della patria.»).

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