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Italia come la Grecia? Non è più impensabile…

di Claudio Conti

E’ la prima volta che accade, dunque non è “normale”. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, andato a Lussemburgo per l’Eurogruppo (nella foto è accanto al collega greco Euclid Tsakalotos), è tornato a Roma in giornata, ufficialmente per per dedicarsi alla chiusura della Nota di aggiornamento al Def. Non sarà dunque presente alla riunione dell’Ecofin, in programma oggi.

Lui garantisce di aver “spiegato” ai colleghi che la manovra in corso di definizione sarà “di crescita” e dunque – per il normale gioco aritmetico in un rapporto tra due fattori (se il Pil cresce, deficit e debito calano in proporzione) – i conti italiani saranno in ordine, anche se per ora lo scostamento sale al 2,4% (e ci rimarrà, secondo le previsioni, per altri due anni).

Non sappiamo quanto Tria consideri se stesso persuasivo, ma le risposte arrivate dai suoi colleghi e dalla Commissione Europea sembrano decisamente opposte.

Per il presidente della commissione Jean-Claude Juncker:

“L’Italia si sta allontanando dagli obiettivi di bilancio concordati a livello europeo, abbiamo appena risolto la crisi della Grecia, non voglio ritrovarmi nella stessa situazione, una crisi è abbastanza. Se l’Italia vuole un trattamento speciale, sarebbe la fine dell’euro. Per questo dobbiamo essere molto rigidi”.

E’ un’altra prima volta: il destino dell’Italia – se il governo insiste in questa direzione – sarà simile a quello della Grecia. A parti politiche invertite (lì c’era l’ex “sinistro” Alexis Tsipras, poi piegatosi ai diktat contro il suo popolo), Lega e Cinque Stelle subiranno l’identico livello di “pressioni”. Anzi, maggiori, perché il peso dell’economia italiana è molto superiore a quello di Atene…

Il commissario titolare delle materie economiche, Pierre Moscovici, che comunque rinvia al 15 ottobre l’analisi del Def italiano, a “prima vista c’è una deviazione significativa dagli impegni presi” da Roma. Perché “la manovra privilegia la spesa pubblica, ai cittadini bisogna dire la verità. Cerchiamo di raffreddare la situazione, ho visto che Luigi Di Maio mi accusa di terrorismo o di terrorizzare i mercati: non ha senso. Io svolgo il mio ruolo e il mio ruolo come commissario è fare in modo che le regole, che sono comuni a tutti, siano rispettate da tutti”.

A sua volta il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, ha anticipato quel giudizio:

“Aspettiamo la bozza di legge di Stabilità” ma “a prima vista” i piani di bilancio italiani “non sembrano compatibili con le regole del Patto”.

Ma tutta questa è roba di ieri, dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano, pur se annunciano un dato che nei giorni scorsi era ancora incerto: l’Unione Europea sarà durissima.

Si era infatti ipotizzato che, per non scuotere troppo i mercati, ma anche per non incentivare il clima “antieuropeo” che viene raccolto in alcuni paesi soprattutto dalle destre, la Ue avrebbe mantenuto un atteggiamento “flessibile”, com’era avvenuto con i governi Renzi e Gentiloni. Ora invece si capisce che le chiacchiere “rassicuranti” sparse da Di Maio e Salvini non hanno convinto nessuno.

Soprattutto, “i mercati” stanno scrivendo la loro sentenza: lo spread tra titoli italiani e tedeschi è salito al di sopra dei 300 punti base.

Qui il problema economico diventa però anche politico.

L’opposizione di destra a un governo di destra – il Pd e Forza Italia, insomma – punta tutto sul “compagno spread” per nutrire qualche speranza di scalzare il consenso verso l’esecutivo. Il che è indicativo degli interessi di classe difesi da questa “opposizione europeista” (il grande capitale multinazionale europeo, sia industriale che finanziario), ma è anche un suicidio politico che alimenta ulteriormente il “populismo di destra”.

In termini sociali, la manovra sommariamente indicata nel Def (ma soprattutto nelle dichiarazioni dei due “capi politici” della maggioranza) è per tre quarti a favore della piccola e media impresa, e per un quarto elemosina verso i poverissimi (con chiari scopi elettorali).

Persino la possibile introduzione della “quota 100” per accedere alla pensione, rivedendo in parte la legge Fornero, è pensata come un altro favore alle imprese, non ai lavoratori (come raccontano Salvini e Di Maio).

Lo spiegava tranquillamente, qualche giorno fa, lo stesso Tria in una intervista a IlSole24Ore:

“L’intervento per favorire l’uscita accelerata di lavoratori anziani anticipandone il pensionamento rispetto alle regole attuali ha un costo, lo so benissimo. Ma negli ultimi mesi ho avuto molti incontri con grandi imprese e rappresentanze di categoria e in tutte queste occasioni ho constatato che la richiesta di svecchiamento del personale, legata alla necessità di adeguarne le competenze e di migliorare l’efficienza nell’allocazione di risorse umane, è veramente forte. Le regole previdenziali in vigore oggi rallentano fortemente questo ricambio, che è necessario per aumentare la produttività e favorirà in gran parte i giovani. Anche nella Pa è necessario questo processo”.

Anche la flat tax, nella misura in cui è stata per ora disegnata, è in pratica la reintroduzione dell’antico “forfettone” per partite Iva e professionisti, che sono il nucleo motore sia della Lega che, in misura minore, dei Cinque Stelle. Niente di “rivoluzionario” sul piano sociale, insomma.

Ma anche questo “lavorare per le imprese” ha un costo: la forzatura – non la “rottura” – delle regole previste dai trattati europei. E si tratta di una forzatura che avviene in un momento in cui la legislatura europea volge al termine (e quasi sicuramente ci sarà una composizione politica ridurrà al minimo la vecchia grosse koalition tra popolari e socialdemocratici), la crisi economica ha ripreso a mordere, le tensioni sui dazi con gli Usa aumentano, le destra crescono e una “diversa sinistra” europea sta emergendo come alternativa credibile al putrido “partito socialista europeo”.

Ma non è finita. In Germania è in corso l’operazione di fusione tra Commerzbank e Deutsche Bank, due banche in grandissima difficoltà per la speculazione sui “derivati” (che però non vengono considerati “pericolosi” dalla Bce, al contrario dei crediti a famiglie e imprese, oltre che i titoli di Stato). La seconda banca dovrebbe inglobare la prima. Ma per farlo Deutsche Bank deve varare un aumento di capitale di 15 miliardi di euro, per coprire le svalutazioni di una parte dei derivati in pancia. Chi sottoscrive questo aumento? Inoltre sono alle porte le elezioni in Baviera, con Afd che dovrebbe diventare il primo partito del land tedesco più grande,  e che potrebbe far cadere il governo.

Una convergenza di “cigni neri” che sembra aver tolto lucidità – e dunque margini di “flessibilità” – all’establishment europeo. Anzi, secondo molti l’attacco all’Italia farebbe passare in secondo piano i problemi tedeschi (e francesi).

Il problema vero è che “i mercati” sanno invece benissimo a chi mandare il conto di tutte queste tensioni.

Allacciate le cinture, ma soprattutto mettiamoci in movimento…

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