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Riace: pensare due concetti alla volta

di Riccardo Paccosi

Non considero quello di Riace un modello di integrazione.

Primo perché, come analizzato in dettaglio da diversi commentatori di sinistra, esso si fonda su un contesto territoriale molto particolare e specifico e, quindi, risulta assai difficilmente esportabile nelle periferie d’una metropoli.

Secondo perché ritengo che le politiche d’integrazione di qualsivoglia genere, quando accompagnate a una concezione deregolazionista dei flussi migratori, rischino d’indicare più suggestioni morali che soluzioni concrete e generali.

Ciò detto, ritengo legittimo il sospetto che da parte di Salvini sia stata presa una decisione giuridico-amministrativa seguendo, però, una logica di rappresaglia politica.

Se questo fosse davvero il quadro, ci troveremmo dinanzi all’ennesima incrinatura sulla superficie del diritto e della separazione di poteri e di ambiti.

Il punto è che occorrerebbe ragionare con calma e lucidamente, giacché le relazioni fra politica e giustizia richiedono il pensare più di un concetto alla volta: colui che subisce una sanzione giudiziaria, per esempio, può essere colpevole ma suddetta colpevolezza non esclude affatto l’ipotesi di uso politico della giustizia nei suoi confronti.

Invece, dai tempi di Berlusconi e prima ancora di Mani Pulite, l’opinione pubblica proprio non riesce a separare i due ambiti: non riesce cioè a capire che la colpevolezza o l’innocenza rappresentano un problema, mentre l’uso politico della giustizia e/o della tempistica giudiziaria rappresenta un altro problema ancora.

Nel caso di Riace, l’azione di Salvini arriva a compimento di un’azione ispettiva avviata dal suo predecessore Minniti. Apparentemente, quindi, sembrerebbe un iter amministrativo non avente implicazioni politiche. Ma nel dettaglio della tempistica, spesso, si nasconde il Diavolo: chi può dire che l’arresto del sindaco di Riace non abbia dato un segnale politico volto a far accelerare la procedura al Ministero degli Interni?

E anche sull’arresto del sindaco ci sarebbe da dire: la carcerazione per reati amministrativi, in genere, avviene quando c’è un rischio di fuga o un inquinamento di prove. Era questo il caso del sindaco Lucano? Oppure il contesto politico ha favorito una scelta d’inasprimento repressivo?

I toni emotivi utilizzati da Salvini nel commentare la vicenda – unitamente alla sua inguaribile tendenza a spettacolarizzare ogni conflitto politico – legittimano pienamente il porsi questo tipo di domande.

Queste domande, però, non riguardano il dibattito sull’essere pro o contro il modello d’integrazione sperimentato a Riace, bensì riguardano una questione più onnicomprensiva e, quindi, d’importanza decisamente maggiore: ovvero se si stia o meno verificando, per l’ennesima volta nella storia della Repubblica italiana, una impropria e anti-costituzionale commistione fra politica e giustizia.

Per ragionare di queste cose, non ha senso tifare per la destra o la sinistra, giacché entrambe le fazioni, in numerose occasioni e a seconda della convenienza del momento, hanno dimostrato di guardare con favore a tale commistione. Tra destra e sinistra, come si dice a Roma, sul rapporto tra politica e giustizia “er più pulito cià la rogna”.

Del resto, questa è una situazione difficile da superare proprio a causa di destra e sinistra, giacché esse, congiuntamente, stanno avvelenando i pozzi del dibattito politico tramite i seguenti dispositivi ideologici:
a) capovolgono la propria concezione generale del diritto, a seconda che una repressione amministrativa o giudiziaria colpisca uno di loro o un loro avversario;
b) impediscono alle masse – e dunque anche alle singole persone – di pensare più d’un concetto alla volta; alimentandosi la polarizzazione fra tifosi delle coalizioni politiche, un ragionamento come quello espresso in questo post – che veicola non uno ma due concetti alla volta – viene sabotato ovvero ne viene materialmente ostacolata la propagazione.

Per tutti questi motivi, combattere su due fronti – cioè produrre analisi critiche sia verso la destra che verso la sinistra – è l’imperativo inevitabile per chiunque voglia difendere i fondamenti giuridici della democrazia e l’autonomia di pensiero.

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