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L’Economia al tempo dei social network e il tramonto dei tecnici

di Guglielmo Forges Davanzati

La crisi ha comprensibilmente prodotto un aumento considerevole dell’interesse dell’opinione pubblica per l’Economia. Un interesse che si è tradotto, e si traduce talvolta, in un approccio fideistico alla disciplina, dove ciò che conta è la (presunta) verità enunciata di volta in volta dal politico di riferimento e legittimata dall’economista di riferimento del politico.

Ne costituisce un esempio paradigmatico lo studio dell’andamento dello spread (ovvero del differenziale dei tassi di interesse fra titoli di Stato italiani e titoli di Stato tedeschi). La stessa parola era pressoché sconosciuta in Italia fino al 2011, quando, proprio a seguito di una sua impennata, si insediò il Governo Monti. Nel biennio 2011-2013 era convinzione diffusa che la priorità per l’economia italiana era ridurlo e che, per ridurlo, occorreva procedere lungo la direzione delle c.d. riforme strutturali (privatizzazioni, liberalizzazioni, deregolamentazione del mercato del lavoro).

A distanza di pochi anni, è convinzione altrettanto diffusa che “fra il popolo e lo spread” – come se ci fosse un’alternativa – si sceglie il popolo, come recentemente dichiarato da un Ministro della repubblica italiana.

A fronte di ciò, occorre chiedersi se l’Economia sia davvero accessibile a tutti, anche non addetti ai lavori, ovvero anche coloro che non hanno studiato per diventare economisti e che sono pagati per farlo.

La risposta, in questa sede, può essere data sulla base dei seguenti passaggi che si riferiscono alle modalità standard adottate nella comunità degli economisti di professione.

1) Ogni modello economico è costruito sulla base di un insieme di ipotesi. Queste ipotesi sono in larga misura arbitrare, selezionate dal ricercatore sulla base di convenzioni (cioè, recependo le ipotesi più diffusamente adottate nella comunità di riferimento) e di convinzioni pre-analitiche, che riflettono il proprio orientamento politico-ideologico. Nella fase della selezione delle ipotesi si è dunque in un campo dove l’opinabilità è ammessa e dunque in un campo nel quale potenzialmente tutti – anche non economisti – possono esprimersi.

2) Le ipotesi vengono successivamente usate per costruire un modello (spesso, non sempre e non necessariamente, in forma matematica). Il requisito essenziale perché un modello possa avere un suo accreditamento scientifico è la sua coerenza interna: non devono essere state poste ipotesi ridondanti e nessuna ipotesi può essere contraddittoria rispetto al modello. In questa fase di elaborazione, solo gli specialisti – la comunità scientifica – può esprimersi, dal momento che solo gli specialisti sanno elaborare modelli economici e valutare quelli prodotti da colleghi.

3) Il modello viene successivamente sottoposto a verifica empirica. Le tecniche statistiche utilizzate possono essere molto diverse fra loro, ma – anche in questo caso – solo gli specialisti possono esprimersi. Anzi, possono esprimersi solo coloro che hanno padronanza di queste tecniche, dunque un sottoinsieme della più ampia categoria degli economisti di professione. Va detto, a riguardo, che la tendenza in atto fa riferimento all’uso di un metodo induttivo, stando al quale si parte dalla verifica empirica e si induce una conclusione teorica e di politica economica. In alcune varianti (o meglio degenerazioni) di questo approccio, la verifica empirica è fine a sé stessa e spesso attiene a questioni che esulano dal tradizionale campo d’indagine dell’Economia. E’ quello che viene definito imperialismo dell’Economia, ovvero la pretesa di alcuni economisti di poter utilizzare il criterio della scelta razionale per analizzare qualsiasi scelta: costituisce di questo un esempio paradigmatico l’economia della famiglia, che si interroga su quando conviene sposarsi, date quali condizioni è profittevole il divorzio e così via.

In tempi molto rapidi, in Italia e non solo, si è passati da una stagione nella quale l’opinione pubblica richiedeva sempre più spesso l’opinione dei “tecnici” (fino a far diventare alcuni tecnici Presidenti del Consiglio) all’attuale stagione del <fai da te>, caratterizzata dalla pretesa – molto diffusa – di possedere una propria verità economica. Tale verità è, di norma, consapevolmente o meno, costruita sulla base di convinzioni derivanti da teorie di economisti di professione: quando tale consapevolezza sussiste, l’economista di professione è spesso idolatrato, considerato il depositario di un sapere assoluto. Si tratta di un fenomeno particolarmente accentuato in Italia, proprio, cioè, nel Paese che annovera una percentuale di laureati sul totale della popolazione di gran lunga inferiore alla media europea e alla media OCSE (meno del 30% a fronte di un valore medio del 40%).

Il tramonto dei tecnici può essere attribuito a due cause. Da un lato, l’evidenza del fatto che, anche quando governano, i tecnici non riescono a individuare politiche economiche adeguate a far fronte alla crisi e non riescono a formulare previsioni sufficientemente attendibili. Dall’altro, vi è la crescente consapevolezza – nella pubblica opinione – che l’economia è un campo nel quale sono estremamente rilevanti i rapporti di forza.

Portata alle estreme conseguenza, questa tesi implica che tutto è politica e, conseguentemente, che la teoria economica in sé non ha nulla da dire. Se poi tutto è politica, anche i non addetti ai lavori, anche cioè coloro che non hanno mai sfogliato un manuale di base di Economia, sono legittimati a esprimersi, e pretendono di esprimere tesi che hanno lo stesso ordine di validità di quelle espresse da economisti di professione e accademici.

È evidente che la diffusione della Rete e dei social network ha amplificato il fenomeno, rendendo a tutti accessibili informazioni in tempi rapidissimi e contribuendo a rafforzare fenomeni di “effetto gregge”. Se si intende contrastare il fenomeno – in quanto lo si legge come un campanello d’allarme per la crisi della disciplina – il modo peggiore per farlo è, come sostenuto, fra gli altri, dalla prof. Fornero, insegnare Economia fin dalle scuole primarie. Quale Economia si insegnerebbe?

La proposta di Elsa Fornero fa riferimento a un’alfabetizzazione primaria finalizzata a far imparare ai ragazzi che i vincoli di bilancio contano, ovvero che vivono in un mondo di scarsità. Al netto di considerazioni pedagogiche, è qui in discussione la negazione – implicita in questa proposta – del fatto che in Economia, in quanto disciplina sociale, non esiste una verità e, in particolare, l’ipotesi per la quale tutte le risorse sono scarse è una delle tante possibili ipotesi che si possono formulare sui problemi di scelta e che nei fatti sono state formulate. La crisi della disciplina si contrasta, al più, insegnando una pluralità di teorie economiche, proprio per evitare fenomeni di neo-analfabetismo , in linea con la migliore tradizione italiana di studi economici.

Joan Robinson diceva che occorre conoscere l’Economia per non farsi ingannare dagli economisti. L’ammonimento vale anche oggi, con una precisazione. Gli economisti contemporanei, soprattutto le giovani generazioni e soprattutto quelli allineati alla visione dominante, sono a tal punto specializzati da essere sostanzialmente incapaci di ingannare, se non altro perché manca loro una visione d’insieme del funzionamento di un sistema economico. Molto spesso non sono neppure dentro il dibattito pubblico, ritenendo che il loro mestiere sia assimilabile a quello di uno scienziato puro e che, proprio in quanto scienziato, non debba, per così dire, sporcarsi le mani con dispute che inevitabilmente sfociano nella diatriba politica.

Ciò che fondamentalmente dovrebbe differenziare un economista di professione da un non economista non è la padronanza, da parte del primo, delle tecniche di analisi della disciplina (molte tecniche sono di fatto costruite come “barriere all’entrata”, dispositivi, cioè, finalizzati a non far comprendere), bensì la conoscenza di una pluralità di teorie e, conseguentemente, la consapevolezza degli enormi limiti della disciplina – inclusa l’enorme difficoltà nel formulare previsioni.

Un non addetto ai lavori di norma conosce una sola teoria, perché è – consapevolmente o meno – un seguace: e, come tale, acritico e disposto a difendere la teoria nella quale si riconosce contro ogni dimostrazione del suo fallimento. Se anche l’economista di professione conosce una sola teoria, la differenza rispetto agli autodidatti è sostanzialmente nulla.


* V. R. Bellofiore e G. Vertova, "L’università del sapere pesato e venduto un tanto al chilo", in R.Bellofiore e G. Vertova (a cura di), "Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università". Academia University Press, 2018, pp.26 ss e pp.115 ss..

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