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Lettera Ue dovuta. Confermare deficit al 2,4%, ma riscrivere Legge di Bilancio

di Stefano Fassina

La lettera della Commissione europea consegnata ieri da Pierre Moscovici al Ministro Tria è un atto dovuto. Stavolta almeno, a differenza del 2011 con la famosa missiva della Bce, le procedure formali sono rispettate. Sarebbe interessante sapere dal Commissario Moscovici quando recapiterà analoga lettera al Ministro Scholz per segnalare a Berlino la continua, gravissima, infrazione del limite di saldo commerciale fissato dal Six Pack. È falso sostenere, come ha appena fatto a Agorà il loquace Commissario, che non rientra nel suo mandato. Il saldo della bilancia commerciale è più rilevante del saldo di bilancio pubblico. Una ripetuta, enorme violazione delle regole da parte della Germania genera gravissimi danni collaterali per gli altri Paesi dell’eurozona, costretti a svalutazione del lavoro, contenimento della domanda interna e conseguenti effetti deflativi sul Pil reale e nominale e inevitabili rigonfiamenti del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno.

A Bruxelles, a Berlino, a Francoforte, in coro con chi in Italia prospera nelle esportazioni e nella finanza, continuano a far finta che il problema siamo soltanto noi, sempre poco responsabili a bere l’amara medicina. Il problema, invece, è proprio la medicina mercantilista Made in Germany: aggrava la malattia, sia nel vecchio continente, sia nelle relazioni con il nostro principale alleato, gli Stati Uniti, legittimato a misure difensive come i dazi (estremismo mercantilista e protezionismo sono le due facce della stessa medaglia).

Insomma, sarebbe ora di riconoscere l’insostenibilità sistemica del mercato unico e dell’euro, come coraggiosamente indicato nel documento del Ministro Savona (“Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”), assunto, senza adeguata comprensione e impegno, dal Governo Conte e dalla maggioranza. Per affrontare lo strappo “senza precedenti” del programma di finanza pubblica italiano, sarebbe necessaria una preliminare valutazione di quadro e l’avvio di una radicale correzione di rotta della politica economica europea. Anche ai partiti della “grande” coalizione a Berlino, in inarrestabile emorragia di consenso, sarebbe utile innalzare i loro investimenti pubblici e le retribuzioni di larga parte delle loro lavoratrici e lavoratori, in particolare nel settore dei servizi a basso valore aggiunto: un aumento della loro domanda interna per ridurre la loro sofferenza economica e sociale e invertire il segno del loro contributo alla crescita dell’eurozona (da fattore negativo a positivo). Invece, nulla.

Spalleggiati da una miope opposizione politica nostrana, asserragliata a difesa dei più forti, i dominus tedeschi alla guida degli interessi transnazionali imperniati su export e grande finanza insistono a presentare l’Italia, dopo la Grecia, come patologia particolare e ritentano, come nel 2011, la strada della compressione della sovranità democratica nazionale. I risultati economici e politici generati da quella imposizione sono stati disastrosi (impennata del debito pubblico e rigonfiamento della destra nazionalista e del Movimento anti-sistema), ma l’obiettivo politico ultimo raggiunto: non c’è alternativa. Quindi, riprovano.

Ma il governo italiano ha gravi responsabilità. L’innalzamento degli obiettivi di deficit di finanza pubblica per il prossimo triennio era necessario. Va confermato. Ai nostri “europeisti”, va spiegato che seguire un quadro di bilancio coerente con il Fiscal Compact sarebbe stato autolesionistico. Tentare di realizzare il “pareggio” avrebbe aggravato le condizioni della nostra economia reale e del lavoro e determinato un aumento del debito pubblico. Tuttavia, riconoscere il profilo della Nota di Aggiornamento al Def come condizione necessaria non implica “tema libero” per la scrittura della Legge di Bilancio. Affinché la condizione necessaria produca effetti positivi, la forzatura compiuta va accompagnata da misure adequate in termini di effetti economici e sociali e di finanza pubblica. Per attenuare la spirale distruttiva tra inevitabile bocciatura della Commissione e dei governi europei (“amici” di Visegrad inclusi), comportamento delle agenzie di rating e disinvestimenti da parte degli operatori finanziari, la manovra deve concentrare l’extra-deficit sugli investimenti pubblici in piccole opere e definire un ordine di priorità per gli interventi di contrasto alla povertà e inserimento al lavoro e di allentamento delle regole per il pensionamento.

L’ossessione elettorale deve essere ridimensionata. L’attuazione delle “promesse” va collocata nell’orizzonte della legislatura. Proposte indecenti sul piano della giustizia sociale e dannose sul versante economico e di finanza pubblica, come il condono fiscale e penale previsto attraverso la “dichiarazione integrativa speciale”, vanno eliminate. In tale contesto, invece di dare sponda alla miopia dell’opposizione, va costruito un dialogo, innanzitutto con le forze sociali dalla parte del lavoro, in nome dell’interesse nazionale e di un minimo di sovranità costituzionale. Va anche cercato un sostegno dei governi Ue interessati al cambio di regime economico: Spagna, Portogallo, Grecia, anche Francia, nonostante l’autolesionistica subalternità di Parigi alla Germania.

“La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”, scriveva un uomo saggio di Treviri nato 200 anni fa. Perseguire un obiettivo giusto in modo sbagliato porta al naufragio, non soltanto il Governo M5S-Lega, ma l’Italia, in primis i suoi settori più fragili, e seppellisce la praticabilità di un’alternativa progressiva al dominante assetto di svalutazione del lavoro e della democrazia.

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