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Il colonialismo ideologico della lobby della deflazione

di comidad

Infuria la polemica sulle dichiarazioni del neopresidente della RAI, Vittorio Foa, ad un quotidiano israeliano circa i rapporti tra il PD ed il finanziere George Soros. Non è chiaro se Foa abbia effettivamente parlato di “finanziamenti” di Soros al PD, in quanto i virgolettati dei giornali lasciano il tempo che trovano. Quel che è certo è che il documento interno della Open Society Foundation di Soros esibito da Foa non appare molto significativo. Il documento parla infatti di “alleati affidabili” all’interno dell’attuale parlamento europeo, il che può indicare anche soggetti dimostratisi particolarmente manipolabili.

Il punto vero è che, al di là di ciò che Foa abbia dichiarato o meno, la questione dei finanziamenti del PD si presenta in parte come fuori tempo ed in parte fuorviante. Dal 2014 e sino all’anno scorso infatti Soros appariva come il maggiore investitore, con una quota di poco superiore al 5%, nella IGD, una delle principali società della Lega delle Cooperative. L’uscita di Soros ha portato alla defezione anche di altri investitori americani, come Morgan Stanley.

Dati i rapporti organici tra PD e lega delle Cooperative, si può dire che il feeling finanziario tra PD e Soros sia ormai tramontato, probabilmente perché è venuta a cadere di fatto la principale motivazione: frenare i rapporti di un partito di governo italiano con la Russia. L’anno scorso il PD era già un partito “cotto” sul piano elettorale, perciò non aveva più senso cercare di condizionarne la politica estera.

In tema di finanziamento ai partiti, sarebbe poi interessante sapere come stanno effettivamente le cose a venticinque anni dalla cosiddetta “Tangentopoli”, dato che continuano gli strani “suicidi” dei personaggi coinvolti; “suicidi” tutti avallati dai solerti magistrati. L’ultima vittima della serie è Bruno Binasco, “suicidato” poco più di tre mesi fa.

Non si può negare che esistano i venduti e neppure che ci siano quelli che, come diceva Victor Hugo, pagherebbero pur di vendersi; ma applicare la categoria del vendersi ad intere aree politiche non ha molto senso. La questione dei rapporti finanziari tra PD e Soros rischia dunque di essere fuorviante se si considera che non si può certo ipotizzare un legame tra Soros ed il PCI di Enrico Berlinguer nel 1976. Eppure in quel periodo Berlinguer adottava in pieno le posizioni deflazionistiche imposte dall’establishment finanziario, arrivando a santificare la cosiddetta “austerità”. I pentimenti di Berlinguer arrivarono tardi ed in modo confuso: il suo PCI si oppose a manovre deflazionistiche come il Sistema Monetario Europeo ed il taglio della scala mobile sui salari, ma si arrese senza condizioni davanti alla ambigua icona pseudo-moralistica di Carlo Azeglio Ciampi quando si celebrò quel “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia che portava alla definitiva consegna dell’Italia nelle grinfie degli “investitori istituzionali”. Berlinguer assistette quindi del tutto inerte alla totale deindustrializzazione del Sud ed alla sterilizzazione di suoi tradizionali serbatoi elettorali come Castellamare di Stabia, dove la scomparsa di una storica classe operaia comportò la consegna del feudo elettorale alla DC di Gava.

In quest’ultimo decennio si è diffusa la locuzione di “pensiero unico”, un concetto che ha anche qualche fondamento, ma che rischia anch’esso di portare fuori strada. La realtà è che il lobbying ha aggredito la politica utilizzando l’arma delle pubbliche relazioni, utilizzando perciò parole d’ordine e valori della stessa politica. Si può dire che il lobbying ha sconfitto la politica e che le pubbliche relazioni hanno sconfitto le ideologie. Il risultato non è stato un semplice “pensiero unico” ma una colonizzazione ideologica, cioè l’occupazione di uno spazio politico con lo sfruttamento e la riconversione delle risorse ideologiche e valoriali trovate in loco.

Negli anni ’70 la lobby della deflazione, cioè la lobby degli “investitori istituzionali”, attuava il suo capolavoro. Nel 1971 il presidente USA Nixon aveva messo fine al sistema di Bretton Woods, il sistema deflazionistico “soft” che aveva imperato sino ad allora: tutte le monete del “Mondo Libero” agganciate al dollaro e questo, a sua volta, convertibile in oro. A causa della fine del sistema, i prezzi del materie prime aumentarono, tutte le monete si trovarono sotto attacchi speculativi da parte degli “investitori istituzionali”; attacchi ai quali le banche centrali opponevano la solita reazione demenziale: sperperare le proprie riserve valutarie per sostenere la moneta nazionale. La lobby della deflazione, con una massiccia campagna mediatica, riuscì ad imputare questo caos a presunte politiche keynesiane dei governi: Keynes venne criminalizzato e bollato come “superato”. Si ponevano così le basi per un sistema deflazionistico “hard”.

Capolavoro nel capolavoro: la lobby della deflazione riuscì ad annettersi anche la sinistra. Nel 1976 Berlinguer non aveva fatto altro che manifestare la dipendenza della sinistra nei confronti delle pubbliche relazioni, le quali dissimulavano la manovra deflazionistica e gli interessi finanziari che le stavano dietro sotto il paravento neutro e “oggettivo” della “crisi”; inoltre strumentalizzavano il moralismo tradizionale della sinistra per offrire uno slogan denso sul piano valoriale come “austerità”.

La vera “crisi” era stata però quella di venti anni prima, la crisi dello stalinismo nel 1956. La sinistra post-stalinista (compresa la cosiddetta “Nuova Sinistra” del ’68) era impegnata ad esorcizzare il pericolo di un nuovo dogmatismo interno. La sinistra diventava quindi la preda perfetta per un dogmatismo imposto dall’esterno; un dogmatismo coloniale che sfruttasse sia la nostalgia della sinistra per il suo dogmatismo passato, sia il senso di colpa della stessa sinistra per gli esiti di quel suo dogmatismo. Di conseguenza anche il dibattito interno alla sinistra diventava una finzione. Qualunque linea venisse elaborata avrebbe dovuto infatti essere portata avanti e quindi rischiare di diventare un nuovo “dogma”, una nuova “verità in tasca”. Era quindi meno rischioso adattarsi alla corrente dei media mainstream già manipolati dalle pubbliche relazioni: dallo stalinismo all’eterostalinismo.

Il paradosso storico è che la sinistra si trova politicamente fuori gioco proprio in una fase storica nella quale sarebbe molto più facile pescare nel serbatoio elettorale di un ceto medio sotto il tiro dei grandi “investitori”. Se oggi l’Italia ha uno spread più alto di quello del Portogallo, è perché in Italia c’è un ceto medio proprietario molto più esteso, che si potrebbe spremere con le “piccole patrimoniali” sulla casa, così come raccomandano la UE ed il Fondo Monetario Internazionale. Ma proprio in questo periodo un PD ideologicamente colonizzato e colpevolizzato si schiera invece con i poveri “investitori istituzionali” che ci affidano i loro soldi e quindi vanno tutelati. All’assistenzialismo per ricchi voluto dal governo Conte, si contrappone l’assistenzialismo per soli ricchissimi predicato dal PD.

Comments

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G.N.De Martini
Wednesday, 31 October 2018 06:53
Vorrei essere caritatevole nei confronti di Comidad e dargli ragione su quanto afferma, come si fa con i bambini problematici.
E' però oggettivamente difficile capire le capriole e gli arzigogoli semantici (che il Nostro usa con audace ) che , passando con sublime leggerezza da Castellamare di Stabia a Bretton Woods, mettono nello stesso calderone Berlinguer, il PD, i post-stalinisti e tutto il '68: è davvero un po' troppo
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