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Il colpo grosso dell’Italia: “Haftar sarà a Palermo”

di Mauro Indelicato

La visita di Giuseppe Conte a Mosca, sul fronte libico, sembra aver mosso a cascata tante importanti pedine. Del resto, quando ad inizio mese il ministro degli esteri, Enzo Moavero Milanesi, si è recato al Cremlino l’impressione è stata quella di un vero e proprio via ufficiale del tour de force diplomatico italiano in vista del vertice sulla Libia di Palermo. Moavero ha, per usare un gergo calcistico, posto in essere un assist e, successivamente, il premier Conte si è incaricato di raccoglierlo e di “ricordare” a Putin l’appuntamento presso il capoluogo siciliano. Da parte sua il presidente russo, anche se non ha confermato la presenza, ha comunque dato il suo benestare ad una rappresentanza russa di alto livello in Sicilia. Si parla del primo ministro Medvedev, accompagnato dal ministro degli esteri Lavrov. Ma ciò che più importa, in vista di Palermo, è che il disco verde del Cremlino funga come catalizzatore per altri benestare, a partire da quello di Haftar. L’uomo forte della Cirenaica dovrebbe essere al vertice e, con lui, altri attori libici: capi tribù, sindaci, capi fazione ed altri ancora. Adesso, per l’Italia, inizia la corsa contro il tempo: il vertice scatta il 12 novembre, occorre ancora stilare un programma, organizzare la logistica e preparare tutto quanto occorre per la buona riuscita di un appuntamento considerato importante da Farnesina e Palazzo Chigi.

 

“Haftar molto probabilmente sarà a Palermo”

È proprio il ministro Milanesi a tracciare un punto della situazione in vista del summit del 12 e 13 novembre prossimi. L’occasione è il forum Italia – Africa tenuto presso il ministero degli esteri nella giornata di giovedì: “Il generale libico Khalifa Haftar – sono le parole del titolare della Farnesina – ci ha dato svariate conferme di voler partecipare alla Conferenza di Palermo sulla Libia. Stiamo parlando con lui, Haftar ci ha dato svariate conferme di volerci essere”. Non ancora una certezza dunque, ma non è un caso che a poche ore dall’incontro tra Conte e Putin a Mosca dal governo ci si sbilanci sulla presenza di quello che forse, al momento, è il principale attore nello scacchiere libico. Haftar infatti controlla buona parte della Cirenaica, è colui che ha allontanato diversi gruppi islamisti e, grazie ad una ramificazioni di contatti sempre più estesa negli ultimi mesi, aspira a fare breccia anche a Tripoli e nel Fezzan.

In poche parole, senza Haftar mancherebbe l’invitato principale ed il vertice di Palermo rischierebbe di essere un mero incontro istituzionale senza alcuno scopo specifico. L’Italia vuole proprio evitare questo: a Roma lo spauracchio riguarda la paura di trasformare il summit in una mera gita dove, al massimo, gli invitati possano portare a casa il bel ricordo di Villa Igiea, la sede scelta per gli incontri istituzionali. Su Haftar, così come su Mosca, il pressing parte già dalla fine dell’estate: non solo Moavero, a margine degli scontri che tengono con il fiato sospeso Tripoli ed il governo di Al Serraj, a Bengasi “riabilita” di fatto Haftar incontrando il leader della Cirenaica, ma anche altre mosse nelle ultime settimane vanno nella direzione di convincere il generale libico a sbarcare a Palermo. Tra tutte, il viaggio del sottosegretario agli esteri Emanuela Del Re la quale, a Bengasi, ha personalmente portato l’invito ad Haftar. Il silenzio del principale attore libico in queste settimane evidenzia una sua “riflessione”: Haftar è infatti molto vicino alla Francia, paese che di certo non tifa per la buona riuscita degli obiettivi italiani in Libia. Ma il generale è vicino anche alla Russia, il benestare di Putin serve in tal senso per garantire all’Italia un parziale successo dell’iniziativa di Palermo.

 

Sarà solo una “conferenza di servizio”?

In poche parole, Stati Uniti e Russia remano in direzione dell’Italia sulla Libia. Washington già a giugno ha dato il benestare sul vertice, da Mosca le novità sono più recenti ma non meno importanti. Questo non certo per “amor d’Italia”. Come ha spiegato in una nostra recente intervista la docente Michela Mercuri, “Usa e Russia convergono su Roma perchè hanno due distinti obiettivi”: a Washington si preme per una Libia stabile in funzione anti terrorismo, dal Cremlino invece si pensa ai propri interessi geostrategici rappresentati dal paese africano. Ma la vicinanza delle due potenze è garanzia di successo del summit di Palermo? Le incognite ancora non mancano. Lo stesso ministro Moavero parla di “conferenza di servizio”, un termine che sembra ridimensionare le ambizioni del vertice ed attorno al quale nelle ultime ore in tanti cercano di capire quali siano le reali aspettative del nostro governo. Una conferenza di servizio è ben diversa da un summit dove invece si prendono decisioni certe per il futuro, modalità questa inizialmente presentata dall’Italia nel pubblicizzare il vertice.

Di certo una mera conferenza di servizio non giustifica uno sforzo diplomatico che dura da parecchie settimane e che risulta finalizzato a portare a Palermo quanti più attori di primo piano possibile. Attività diplomatica che peraltro non si è affatto fermata nelle ultime ore. A Roma infatti è giunto Al Serraj, così come sia Conte che Moavero hanno incontrato Ghassan Salamè, inviato speciale dell’Onu per la Libia. Da qui ai prossimi giorni, è prevista sempre a Roma la presenza di altri attori libici importanti, a partire da Khaled al-Meshri, presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico, ed Aguila Saleh. Quest’ultimo è il presidente del parlamento di Tobruck, di cui Haftar ne rappresenta il braccio armato. Non è escluso, come si legge sull’Huffington post, un viaggio lampo a Roma dello stesso Haftar. Un’impennata di incontri e relazioni che mostra, da un lato, la centralità del ruolo italiano in Libia ma, dall’altro lato, anche la corsa di Roma verso il vertice di Palermo.

Un’accelerata che però rimane solo parziale, per almeno due ordini di motivi: la prima, per il fatto che a Tripoli l’Italia non ha di fatto un ambasciatore. Giuseppe Perrone, nominato dal precedente esecutivo, è a Roma dallo scorso 4 agosto. Su di lui pesano alcune dichiarazioni non gradite a Tripoli, ma soprattutto giudicate come ostili da Haftar: da Bengasi fanno sapere da settimane che Perrone sarebbe addirittura “persona non gradita”, tanto da mettere in partenza in dubbia la presenza a Palermo del generale se ufficialmente appaia ancora lui come ambasciatore. L’altro frenata invece è dovuta ad un problema interno all’Italia che non è di poco conto: i vertici dei servizi di sicurezza, tra tutti Manenti per l’Aise, sono in scadenza. Il governo gialloverde più volte ha fatto intuire l’intenzione di non rinnovare i mandati in questione, ma non ha provveduto alle nuove nomine. Questo genera confusione e più di un dubbio in vista di Palermo, visto che di fatto l’intellingence opererà in uno degli appuntamenti più delicati per la diplomazia italiana senza un vertice “riconosciuto” e pienamente in carica.

E allora, ed è a questo punto che torna a riecheggiare la domanda, è forse per questo che si è parlato solo di conferenza di servizi? È un qualcosa a cui forse si può rispondere soltanto nelle prossime settimane, quando può risultare più chiara la portata internazionale del vertice. Intanto si continua a lavorare sia sul fronte diplomatico, che su quello logistico: i timori a Roma ci sono, ma c’è anche la volontà di credere ancora nella buona riuscita dell’appuntamento palermitano.

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