Print Friendly, PDF & Email

sollevazione2

Il "primate" della politica

Economia, politica, diritto, Stato e mercato...

di Bazaar

Siamo lieti di informare i nostri sempre più numerosi lettori che l'amico Bazaar ha accettato di collaborare stabilmente con SOLLEVAZIONE

Schmitt bisticciava con Kelsen, che bisticciava con Hayek, che bisticciava con tutti; il tema principale era il rapporto tra diritto, politica ed economia. Ora: occuparsi di epistemologia delle scienze sociali è una delle attività intellettuali più importanti e delicate che si possano intraprendere.

Nell’epistemologia delle scienze sociali si studiano le fondamenta stesse dell’organizzazione sociale, ovvero — dal pensiero che lega insieme economia, diritto e politica — nasce quella che può essere o meno — non una semplice società — ma un nuovo ordine sociale.

Quindi la materia va presa con la dovuta serietà: ogni parola ha un suo peso, un determinato significato in funzione del contesto dialettico e della cornice dottrinaria.

Il più famoso epistemologo delle scienze sociali è stato indubbiamente Karl Marx, con la sua critica all’economia politica, Il Capitale.

Lo spunto di riflessione sarà basato su un’impostazione marxiana; vediamo Kelsen: egli viene ricordato per l’atteggiamento neokantiano per cui un’Idea si trasformerebbe in una Grundnorm, e questa «norma fondamentale» si tradurrebbe in una Costituzione che farebbe da base alla piramide dell’ordinamento giuridico.

Un ordinamento giuridico, potremmo dire, che ha in sé il suo ordine sociale a priori, e che viene codificato nel momento in cui l’Idea da “ipostasi” diventa materialmente una carta costituzionale.

Per Schmitt la Costituzione è «la decisione politica fondamentale»: il Politico nella sua espressione di puro atto di forza primigenio. Un nuovo ordine giuridico verrebbe costituito da chi ha la forza di rompere l’ordine giuridico esistente (si pensi allo schmittiano Gianfranco Miglio ed al suo sbrego costituzionale come puro intento decisionista volto a “strappare” l’ordinamento italiano).

Questa concezione dell’ordinamento giuridico ha già in sé gli elementi fondativi dell’ordine sociale voluto: tendenzialmente fascista.

Questi due autori non lasciano grande spazio all’economico: Schmitt lo snobba per principio, Kelsen semplicemente gli dà il giusto spazio affinché questo venga integrato (Posner 2011) così come la politica, che, per Schmitt, ha invece un ruolo ontologicamente preminente, “pregiuridico”.

Chi invece si avvicina all’approccio marxiano per dirimere la materia, se pur con visioni perfettamente antitetiche, è Hayek: il padre del moderno neoliberismo, per sostenere la sua visione dell’ordine sociale, usa una (pseudo) analisi economica del diritto. (Giusto per frantumarlo).

Cosa propone Hayek? Come nella tradizione del liberalismo classico, dove lo Stato viene considerato separato dalla società civile, l’economico deve essere scorporato dal sociale e la legislazione deve trovare genesi nell’ordine spontaneo del mercato; quindi, arrivando al punto chiave, la stessa politica deve essere totalmente sottomessa all’economico affinché il decisore politico non influisca sull’evoluzione darwiniana dell’organizzazione sociale prodotta dal libero mercato.

Questo Hayek lo teorizza anche nel diritto, giusto per comprendere perché oggi le blockchain vengano così sponsorizzate dall’industria finanziaria o da noti liberali nostrani: il giudice, ovvero lo Stato, non deve intervenire nell’organizzazione sociale. Una volontà generale, politica, un ente esponenziale degli interessi generali non deve esistere; quindi tutti i processi devono essere (apparentemente) disintermediati. Così per Hayek il giudice non deve far altro che l’arbitro, e tutto l’ordinamento non deve che poter deve essere organizzato privatisticamente, dove la sfera del privato non viene violata da quella del pubblico. (Strumenti tecnici di disitermediazione come le blockchain nascono con questo scopo in testa: validare contratti e transazioni senza l’ausilio dello Stato e dei suoi pubblici ufficiali).

Nota: la Tecnica non è mai neutrale. Essa si inserisce nei rapporti di forza che concretamente si manifestano nella Storia. Nel momento stesso del concepimento intellettuale la sua natura strumentale è finalizzata politicamente. Ed il suo sviluppo è legato alla disponibilità di capitale e, quindi, da chi direttamente o indirettamente fornisce i finanziamenti. Ed i grandi finanziamenti sono sempre orientati politicamente.

Se per gli economisti neoclassici una norma legale è Pareto efficiente se non può essere modificata se non quando «una parte migliori la propria posizione senza che faccia peggiorare quella delle altre», l’efficienza del mercato, per Hayek, trasformerebbe l’ordinamento in modo efficiente nel momento in cui i giudici-arbitro dirimessero le controversie “incoscientemente” a favore dell’ordine del mercato.

“Incoscientemente” perché nessuno dovrebbe avere idea della “totalità”, nessuno dovrebbe far calcoli o semplicemente provare a pianificare alcunché (altrimenti secondo Hayek si produrrebbe un... totalitarismo: il totalitarismo sarebbe il risultato della pianificazione economica, che si occupa del “tutto” senza avere ontologicamente la possibilità si avere tutte le informazioni necessarie): tutti lavorerebbero per il mercato senza sapere che destino il mercato riserverà all’umanità. Più lo si lascerebbe evolvere spontaneamente più la libertà sarà assicurata dalla misteriosa Legge che governa il meccanismo dei prezzi o il rapporto privato tra individui.

Da un punto di vista marxiano questi tre approcci scontano un fatto determinante: il conflitto di classe. (Non compare a livello teorico, ovviamente, visto che si può dire che il diverso antisocialismo dei differenti autori ha epistemologicamente in sé lo sguardo carico di teoria “classista” e, il semplicemente negare o soprassedere sul conflitto di classe, è già parteggiare per la classe dominante che trae privilegio dall’ordine vigente).

L’idealismo kantiano di Kelsen porta a rifiutare un inscindibile legame anche “teorico” tra politica e legge, rifuggendo ogni considerazione di carattere sociopolitico in quanto le scienze sociali dovrebbero essere indipendenti dalla politica; la sua critica liberale al marxismo, il quale vede la legge come sovrastruttura — legge orientata in modo classista — prodotta in primis dalla sintesi del conflitto di classe solo successivamente mediato dalla dialettica politica, consisteva essenzialmente nel considerarne la dottrina una forma di “legge di natura”.

Possiamo sintetizzare affermando che Kelsen rimproverava al marxismo di non distinguere la legge dalla teoria del diritto; d’altronde, per un marxista, la teoria è già prassi.

Il fascismo schmittiano può essere visto come una risposta all’inadeguatezza dello Stato liberale a quello che era l’emergere della coscienza politica socialista; l’antisocialismo, quindi, si manifesta tanto nel non considerare il conflitto di classe sia nel proporre l’atto di forza pura del politico (decisionismo) al di sopra della legge.

L’atto di pura forza che può imporre lo stato d’eccezione, l’atto sovrano per eccellenza, è l’unico che può imporre l’ordine al di là del processo della dialettica politica e dell’ordinamento conseguente.

Hayek è l’antisocialismo fatto autore: è facile individuare tramite una semplice operazione ermeneutica come l’ordine spontaneo del mercato non sia altro che la rigida pianificazione degli oligopoli privati. Ovvero, l’entità che identifica il mercato lasciato libero dalle interferenze “dei lacci e laccioli” dello Stato sociale e democratico — il kosmos — non è altro che la tirannia del totalitarismo delle oligocrazie che privatizzano tutto e asserviscono tutti.

L’ordine delle cose è completamente alieno all’Uomo e alla sua coscienza che si esprime nella prassi politica.

La democrazia delle blockchain

È evidente che in un sistema in cui la legge diviene un fatto privato non mediato dallo Stato, a livello aggregato, la parte contraente più potente economicamente domina politicamente senza limite di sorta. (A questo servono le blockchain! Ad eliminare lo Stato e ridurre tutto a contrattualistica privata).

Veniamo al nocciolo di questa sintetica trattazione: i bonobi urlanti del «primato della politica» o della «democrazia diretta» (alias disintermediata) non si rendono conto di cosa ci sia dietro a queste affermazioni.

Il pensiero hegelianamente totale del socialismo marxista — che considerava inseparabili economia, diritto, politica e società — non esiste più da generazioni: il socioeconomico e il sociopolitico si sono concettualmente estinti. E dell’analisi economica del diritto è rimasta solo quella “microfondata” dei neoliberali (o quella meta-monoteistica e, ora tecno-religiosa, di Hayek).

Marx insegnava che era l’economia il motore del mondo (il primum agens): non la politica. La politica è l’unico strumento che contrasta l’atto di pura forza del capitale sul lavoro.

Ma per far sì che sia la politica ad essere al centro della risoluzione dei conflitti e dei problemi sociali, è l’economia che deve correttamente rientrare al centro dei problemi della politica: e questo è prima di tutto un problema di coscienza della classe politica (e dei suoi consulenti: in senso scientifico e morale).

Non esiste la “malvagità” della finanza, del capitalismo o dell’imperialismo come se questi fossero idee astratte da risolvere con un’astratta retorica “rivoluzionaria” o, magari, col positivismo giuridico di Kelsen. Per legge.

La miseria o la schiavitù non si risolvono «per legge»; ma attraverso la lotta politica, la legislazione progressiva e la distribuzione del reddito. Attraverso la socializzazione economica e politica.

Ma per far questo occorre produrre coscienza; ma prima di discutere su come produrre coscienza fino ad arrivare ad una qualche massa critica politicamente influente, è necessario che l’avanguardia sia cosciente che nel capitalismo il primato è dell’economia; e, se si è fortunati, si può contare sull’antagonismo di una costituzione antiliberista. È quindi necessario capire come portare l’economico nel sociale, così come vorrebbe la nostra Costituzione: ovvero, è necessario capire come riportare la società civile dentro lo Stato. Ovvero — in definitiva — come riappropriarsi dello Stato affinché si possano — in primis! — attuare politiche economiche.

Questa entità che deve entrare e rimpossessarsi dell’ente statale si chiama popolo; popolo che, essendo dotato di una volontà politica unitaria, si identifica nella nazione.

Per potersi riappropriare delle leve della politica economica è necessario riappropriarsi della fonte più importante delle dinamiche sociostrutturali, della madre di tutte le contraddizioni; ovvero delle banche centrali (prima che le banche d’affari comincino a far circolare le loro monete private tramite le blockchain).

Un popolo sovrano che dispone delle leve necessarie a governare la politica economica può pensare di riportare il mercato a più miti consigli. Può pensare di fare in modo che la proprietà privata sia subordinata ai fini sociali. Proprio perché l’anticapitalismo si manifesta in primis come antiliberismo.

Altrimenti non si fa altro che dar fiato alle trombe mentre si predispone il tappeto rosso al capitale trionfante; proprio come fa la sinistra moralista suddivisa nelle varie sette di bonobi.

Il giorno in cui la politica avrà il primato sull’economia ci sarà stata la Rivoluzione.

Add comment

Submit