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effimera

Aspettando il G20 di fine novembre

di Franco Berardi Bifo

Caldo estivo, ormai, nelle strade del quartiere Palermo. Prendo un po’ di respiro nel viale alberato poi raggiungo El Banco Nacional per cambiare un po’ di soldi. Una folla affannata nell’enorme salone interno della banca. Spingo il pulsante per avere il numerino che mi permetta di andare allo sportello.

Ho il numero 187, guardo lo schermo e vedo che siamo al numero 41. Quante ore debbo restare in mezzo a questa bolgia? Aspetto che scatti il numero successivo, poi calcolo moltiplicando sette minuti per centoquarantasei. Debbo passare quattro ore qua dentro? No, rinuncio a cambiare, vado al bancomat, digito il mio pin, chiedo 2000 pesos (50 euro), e lo schermo mi annuncia che per questa transazione mi trattengono il dodici per cento.

Fantastico.

Non sono un economista, quindi non posso interpretare i segni numerici degli indici di borsa, i saliscendi delle quotazioni, il valore dei titoli di stato e i buoni del tesoro, però sono uno psicomante, uno che annusa l’aria, guarda le facce tirate della gente e cerca di immaginare come va a finire. Guardate, non so se sia scientifico però generalmente funziona molto di più che la previsione economica, che come è risaputo non prevede mai niente.

Le facce tirate della gente nelle strade di Buenos Aires mi dicono che sta per arrivare una tempesta che al confronto quelle passate erano solo un alito di vento.

Ricapitoliamo: questo paese ha subito una delle più straordinarie operazioni di rapina finanziaria durante gli anni Novanta. Un tizio di nome Carlos Saul Menem, eletto perché si presentava come populista (una parola del cazzo che non significa niente per cui tutti la usano per dire qualsiasi cosa, a favore o contro) impose una svolta liberista a questo paese, che aveva conosciuto il populismo peronista (un populismo vero, che potremmo anche definire come socialismo autoritario di stato).

Tradendo le sue promesse in maniera clamorosa, Menem portò privatizzazioni, finanziarizzazione dell’economia, debito alle stelle, fino a quando, all’inizio del nuovo secolo, arrivò il crack. Una signora di mia conoscenza aveva investito i risparmi di una vita in buoni del tesoro argentini perché un funzionario di una banca di Bologna le aveva detto che erano molto redditizi. Certo che lo erano: promettevano di pagare interessi del non mi ricordo quanto per cento, più del doppio dei buoni del Tesoro di qualsiasi altro paese.

Poi venne la tempesta (ma non era che un alito di vento rispetto a quella che sta per arrivare oggi), e i buoni dl tesoro che la povera anziana signora aveva comprato ridussero in cenere i risparmi della sua vita: avrebbe potuto comprarsi un pacchetto di caramelle con tutti quei soldi che il funzionario di banca le aveva consigliato di investire nei buoni di Menem.

La signora la prese un po’ male come non capirla, ma niente rispetto a quello che accadde allora nelle strade delle città argentine.

Era l’anno 2001, lo ricordate luglio? Marciavamo a ranghi serrati nelle strade di Genova verso i plotoni assassini di un governo assassino che difendeva gli assassini associati del G8.

A proposito, una parentesi: gli ultimi giorni di Novembre si terrà il summit G20 a Buenos Aires, e se il caldo non mi fonde il cervello cercherò di raccontarlo.

Era l’anno 2001, lo ricordate settembre? Un aereo sbucò dal cielo scintillante, e come fosse un ditone di Allah si infilò dritto dritto nelle finestre del cinquantesimo piano della torre sinistra scatenando l’inferno su Manhattan. Corpi carbonizzati volavano giù dalle finestre e tutti restammo a bocca aperta per giorni davanti alla tivù.

Poi venne dicembre. Lo ricordate il corralito? Il governo argentino ridusse a pochi pesos le somme di denaro che si potevano ritirare dalle banche perché il Ministro dell’economia Domingo Cavallo voleva togliere il denaro degli argentini e consegnarlo al Fondo Monetario e alle altre istituzioni della finanza globale.

Nessuno poteva ritirare i suoi soldi dalle banche, la fame aleggiava sulle strade di Buenos Aires, qualcuno macellava il cavallo. Gli erroristi organizzavano manifestazioni con forchettone di latta gridando: Comemos Comemos.

Il 19 dicembre centinaia di migliaia di persone scesero nelle strade gridando “Que se vajan todos”, il presidente Fernando de la Rua dichiarò lo stato di assedio, ma fu costretto a dare le dimissioni il giorno dopo da una folla inferocita che riempiva le strade della città. Il successivo presidente Adolfo Rodriguez Saa, tenne il potere per pochi giorni poi fu costretto a salire su un elicottero che stava parcheggiato sul tetto della Casa Rosada e a fuggire mentre dalle strade intorno disoccupati studenti lavoratori donne lo salutavano con un boato.

Sulla faccenda dell’elicottero ci torneremo perché è ritornata di gran moda negli ultimi tempi.

La città era insorta, le fabbriche abbandonate dai padroni vennero occupate dai lavoratori, un hotel cinque stelle in Avenida Corrientes, occupato da camerieri con le maniche rimboccate era diventato il quartier generale dell’insurrezione, in ogni quartiere si creavano comitati di autogestione, il potere insurrezionale vinceva in Argentina, e negli anni seguenti il rifiuto di ogni rappresentanza politica permise alla società di autorganizzarsi. Ancora oggi quel che è vivo, quel che è solidale, quel che è efficiente in Argentina è nato dalla insurrezione di dicembre. Anche il mercato biologico dove vado a mangiare le empanadas è stato occupato in quei giorni e per il momento resiste.

Durante i giorni dello stato di assedio furono uccise dalle forze di polizia 39 persone, nove delle quali minorenni.

La rivolta del 2001 fu una rivolta della società contro il dominio finanziario, contro la violenza delle istituzioni che prestano soldi per strangolare il futuro. La battaglia che i greci persero nel 2015 perché accettano l’inganno della democrazia gli argentini la avevano vinta nel 2001 perché alla fregatura della democrazia rappresentativa risposero: vadano tutti a farsi fottere.

Tutti, senza eccezioni. Nessun potere, tutto il potere alla società che si auto-organizza.

Se c’è una lezione da trarre dalle esperienze degli ultimi quindici anni è che la società ha pagato (a carissimo prezzo) l’errore fondamentale che il movimento operaio ha compiuto nella seconda parte del ventesimo secolo: l’errore di credere nella democrazia rappresentativa, di credere che il gioco (truccato nella maniera più sporca ed evidente) delle elezioni, dei parlamenti, della decisione a maggioranza potesse offrire una soluzione decente per la sopravvivenza sociale in condizioni di capitalismo.

Stupidaggine infinita: la democrazia esiste soltanto quando il fucile è in spalla agli operai (o quando i cognitari possono connettersi in condizioni di autonomia sociale, ma per il momento questo concetto è confuso).

Nestor Kirchner vinse le elezioni nel 2003, dopo un periodo di agitazione permanente che diede alla società argentina una forza politica i cui effetti sono ancor oggi evidenti.

Le sinistre europee e soprattutto i comunisti sovietici ci fecero credere che il peronismo fosse soltanto una forma di fascismo.

Non c’è dubbio che il peronismo ha espresso un certo grado di violenza autoritaria, almeno dopo il 1955, ma dai racconti che mi hanno fatto gli anziani compagni che hanno conosciuto il peronismo degli anni ’40 e 50 mi è parso di capire che prima di tutto il peronismo fu uno straordinario esperimento di redistribuzione della ricchezza, di egualitarismo, di stato sociale.

Giustizia sociale e libertà economica significava socialismo e nazionalismo. Ma si trattava il nazionalismo antimperialista, anti-inglese, anti-nordamericano, ben diverso dal nazionalismo dei paesi imperialisti europei.

Com’è come non è (una storia del peronismo non possiamo certo raccontarcela qui) il peronismo finì per coprire l’intero arco dell’espressione politica, e riemerge come socialdemocrazia progressiva negli anni del kirchnerismo, durante i quali il potere finanziario (cui il lurido Menem aveva aperto la porta) viene cacciato fuori dalla finestra.

Fino a che è stato possibile, fino a quando la crisi globale seguita al 2008 non ha finito per riaprire i giochi, provocando la crisi del kirchnerismo.

Anche questo tema della crisi della sinistra “sovranista” latinoamericana lo rimandiamo a un’altra volta. Venezuela, Brasile, Argentina, secondo linee molto diverse (cedimento neoliberale del PT brasiliano, strangolamento e precipitazione politica in Venezuela…) hanno finito per conoscere lo stesso destino. In Argentina come in Brasile la vendetta della destra si è servita della corruzione per far fuori la sinistra.

Anche questa storia della corruzione meriterebbe di essere approfondita. Non c’è dubbio che la sinistra nel mondo, da Craxi in poi, si è distinta per la sua tendenza ad appropriarsi delle risorse pubbliche, non c’è dubbio che il PT ha usato Petrobras come un bancomat, e che Cristina ha coperto una vasta area di corruzione. Ma la corruzione politica sottrae risorse alla società cento volte di meno di quanto fanno le grandi corporazioni capitaliste e centomila volte meno di quanto il sistema bancario sottrae alla società. In Italia a partire dagli anni ‘80 ci siamo lasciati fregare da questa fissazione dell’onestà. Gli onesti hanno fatto fuori Craxi, d’accordo, ma ci hanno regalato Berlusconi. Per questo quando sento la parola onestà io metto mano alla pistola, perché sono certo che qualcuno si prepara a mandarmi in galera e fregarmi il portafoglio (che in ogni caso è generalmente vuoto).

Torniamo a bomba. Ieri l’agenzia di rating Fitch ha retrocesso a B il rating dell’Argentina con outlook negativo.

https://tradingeconomics.com/argentina/rating

In altri termini, Fitch prevede (ma lo prevedono tutti, in verità) che il prestito fantastiliardario che la signora Christine Lagarde ha concesso al signor Mauricio Macri non potrà essere restituito nei termini previsti. Con quel che segue: gli avvoltoi si precipiteranno sulla carcassa dell’economia argentina, e si porteranno via la soja e quel poco che resta. Poco, perché Menem ha già provveduto, nel corso degli anni ’90, a privatizzare a man bassa, poi il Fondo Monetario e le grandi banche prestatrici hanno costretto il governo kirchnerista a restituire poco alla volta il debito accumulato da Menem. Ora si ricomincia, ma se negli anni ’90 la carne della società argentina era abbastanza florida ora il corpo è ridotto pelle e ossa.

Quando arriverà a scadenza il nuovo debito che Macri ha contratto con grandi sorrisi della signora Lagarde saranno lacrime e sangue.

Il contesto nel frattempo è quello di una catastrofe della democrazia latinoamericana, di una miseria crescente dal Venezuela al Brasile, e di un’espansione inarrestabile del nazismo trumpista nel mondo.

Hasta pronto.

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