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senso comune

Marx a Bruxelles. Domenico Moro sulla crisi europea

di Matteo Bortolon

L’ultima fatica del noto economista marxista Domenico Moro, La gabbia dell’euro. Perché uscirne è internazionalista e di sinistra (Imprimatur 2018) è un testo che contiene molti pregi. Il primo è la comprensibilità: si tratta di un libro che riesce ad usare un linguaggio semplice, senza quel gergo quasi esoterico che a volte si vede trattando di argomenti come euro ed Europa. Il secondo è la brevità: si tratta di un centinaio scarso di pagine che non obbliga a ricorrere a periodi di ferie o malattia per conoscere il pensiero dell’autore. Il terzo è che il contenuto è abbastanza sorprendente rispetto al titolo.

L’autore è un economista di fama orientato al marxismo. Nelle sue pubblicazioni troviamo un Compendio del Capitale (di Marx); ma anche testi che affrontano temi differenti come Il gruppo Bilderberg (Aliberti 2014), il famoso gruppo di pressione di politici e capitani di industria che dá luogo a tanti scritti complottisti; La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico (Imprimatur 2016), riguardante temi di attualità internazionalistica; e Globalizzazione e decadenza industriale (Imprimatur 2015), che ci approssima all’argomento del più recente contributo sull’euro. A tal proposito va notato che Moro è ricercatore all’Istat su temi di impresa. E lo si vede dal modo con cui affronta i temi inerenti a tale mondo, con grande attenzione ai dati e con una concretezza rara in marxisti tendenti ad analisi troppo astrattamente dirette a vedervi fonte di sfruttamento e accumulazione senza considerarne le specificitá.

Piuttosto inaspettatamente, questa Gabbia dell’euro non costituisce una versione più vicina al socialismo di testi come Il tramonto dell’euro di Bagnai, o di analoghe opere di altri autori (Giacché, Cesaratto) che affrontano le meccaniche dell’unione monetaria e di come essa prema le classi lavoratrici. Moro aveva del resto già esposto una sua elaborazione in merito nel lungo articolo Perché e come l’euro va eliminato (la cui nettezza lasciava pochi dubbi sulla posizione dell’economista). Al contrario, la maggior parte del testo riguarda i presupposti politici riguardanti euro e UE.

Nei tre capitoli l’autore passa in rassegna un buon numero di questioni centrali di carattere meramente politico, attingendo a piene mani dal patrimonio classico del pensiero legato al movimento operaio (Lenin, Luxemburg), ma svolgendoli in modo tale da provocare una sincope alla maggior parte delle sinistre che di esso sarebbero gli eredi storici.

In primo luogo si fa i conti con i concetti di nazione e di Stato, facendo giustizia della saccente superficialità di tutti coloro per cui tornare a parlare di questione nazionale è sintomo di slittamento a destra: la concezione di nazione è ambivalente, può essere emancipativa oppure reazionaria quando si genera una forma di nazionalismo suprematista. Ma, fedele alle radici marxiane, Moro spiega che ciò deve essere interpretato alla luce della sottostante struttura economica: il nazionalismo da fine ‘800 – primo ‘900 non esiste più come ideologia dominante, che oggi si declina come visione globalista. Il nazionalismo odierno è reattivo, non genera alcun imperialismo come acquisizione diretta di colonie, per quanto venga deplorata come un’opzione politica illusoria e nociva. Al contrario, le offensive militari odierne quali la guerra contro la Libia derivano da una accumulazione capitalistica su scala sovranazionale. Dall’altro lato si collocano le guerre di liberazione nazionale e l’internazionalismo di classe, che significa agire in convergenza con modalità collettive, ma con una solida prospettiva attenta alle specificità nazionali per il successo dell’acquisizione di consenso e potere.

Stesso discorso per lo Stato nazione che è visto non come un Leviatano malefico al servizio delle borghesie nazionali ma come campo contendibile le cui caratteristiche presentano un terreno più o meno favorevole alle rivendicazioni delle classi subordinate.

Se su tali temi l’autore sfida una vulgata di sinistra ancora massicciamente e dogmaticamente serrata su se stessa, la concezione della Ue e dell’euro presentata dall’Autore rovescia il luogo comune per cui una seria opposizione ad essi, e la messa in discussione della integrazione europea, rappresenterebbero pericolosi scivolamenti a destra. Usando categorie marxiane, Moro mostra come il progetto europeo rappresenti la punta di lancia dell’attacco oligarchico contro le classi popolari: la struttura rafforzativa dei governi sui parlamenti; l’effetto dell’euro come elemento di squilibrio del commercio internazionale (nel testo sulla globalizzazione l’autore mostra una disinvolta competenza a destreggiarsi sui saldi dell’export) che preme sul lavoro e sulle PMI promuovendo solo le aziende più internazionalizzate; la compressione di bilanci e spesa pubblica; la divergenza fra core germanocentrico e meridione europeo. Tutti temi che portano a due conclusioni nette: primo, non si può parlare seriamente di emancipazione delle classi lavoratrici senza parlare di euro. Secondo, farlo è necessario per ripoliticizzare i rapporti fra classi sociali, cioè per unificare in una prospettiva di emancipazione sociale le varie lotte e i temi che da soli sono o troppo settoriali (migranti, rivendicazioni salariali specifiche) o troppo isolate (vertenze territoriali).

Un’osservazione conclusiva: la visione di Moro pare salda sui temi di fondo derivanti dal marxismo – dalla centralità della accumulazione per comprendere la società, alla necessità di forme di lotta politica a favore delle classi popolari – mentre sul posizionamento in merito a nazione, Stato, ecc. si dimostra aperto all’analisi empirica e flessibile sul piano strategico. Si vede come sia importante per capire la contemporaneità e per fondare una coerente e seria prospettiva politica un saldo fondamento teorico (che può anche non essere marxista, purché sia rigoroso), rispetto a cui la buona volontà di un approccio umanitario o l’ostinata verve contrastiva e antagonista non può costituire un valido sostituto.

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