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jesopazzo

Wu Ming, Proletkult (2018)

Recensione senza spoiler ad uso delle masse

“Questi vent'anni ci hanno insegnato che per cambiare il mondo devi cogliere l'occasione. Anche se non è il momento giusto, perché non è mai il momento giusto. E anche se il risultato che ottieni non è il meglio che ti aspettavi, lo devi difendere. Se non sei disposto a farlo, tanto vale che non ci provi nemmeno ...] La Storia è più impaziente di te.”

Dopo mesi di attesa febbrile, chi ha comprato Proletkult il 23 Ottobre scorso forse è rimasto deluso al primo impatto: se la Rivoluzione Francese aveva richiesto un volume – l’Armata dei Sonnambuli – piuttosto spesso e consistente, Proletkult si presenta molto più agile, quasi esile. Forse che la Rivoluzione Bolscevica non valeva, al confronto, almeno due tomi? La delusione, in realtà, era dovuta alla constatazione immediata ed oggettiva che il libro ci avrebbe abbandonato presto; la storia, e la Storia, la spazzeranno presto via.

Proletkult racconta le vicende di una misteriosa ragazzina, Denni, le cui ricerche si incrociano con la vita e il passato di Bogdanov, una delle figure di punta del bolscevismo, uscito sconfitto da un forte scontro teorico con Lenin ma ancora stimato, o quantomeno rispettato. Siamo nel 1927: Lenin è morto da tre anni, lo “stalinismo” non è ancora iniziato, si celebra la Rivoluzione dopo dieci anni, quando tutto è ancora possibile.

Abbiamo davanti un romanzo, non troppo lungo, ma in realtà sono due (anche tre, forse quattro). Come per l’Armata gli autori riconoscono il debito a Novantatre di Victor Hugo, in Proletkult il “romanzo ombra” è “La stella rossa”, un’opera fantascientifica di Bogdanov che descrive il socialismo realizzato su Marte. Il terzo romanzo è la Storia, quella della Rivoluzione in particolare, della quale, nel 1927, tutti i protagonisti sentono di star scrivendo le pagine nuove. C’è poi, forse – è una domanda per gli autori – “Il problema dei tre corpi”, di Cixin Liu, ambientato negli anni della Rivoluzione Culturale in Cina, premio Hugo – guarda un po’! – nel 2015.

Un romanzo russo e un romanzo di fantascienza e un racconto storico: a che serve un oggetto narrativo non identificato di tal fatta, nel 2018? Sappiamo tutti che bisogna sognare, ma i bei sogni sono quelli che hanno uno scenario nitido, una storia avvincente, che pongono dei quesiti e ci lasciano, al risveglio, pieni di nuove idee per la testa. Proletkult fa tutto questo. Proletkult innanzitutto entra come un bisturi nella complessità del processo rivoluzionario e, ancor di più, nella costruzione del mondo nuovo: tutte le difficoltà, i dubbi, le speranze e le delusioni sono incarnate nei pensieri del malinconico protagonista e negli scambi, fulminanti, che ha con i suoi storici compagni di lotte quando decide di affiancare Denni nelle sue ricerche. Memorabile, in tal senso, il dialogo con la Kollontaj, che riassume al meglio lo scontro anche aspro tra chi sognava la società perfetta e non sa gestire le delusioni e chi, invece, vede la costruzione del socialismo come un processo di lunga durata, per cui accanto ai limiti non può fare a meno di riconoscere, ed esaltare, gli avanzamenti.

Proletkult è il romanzo della speranza: nel 1927 siamo in una fase durante la quale esistono ancora diverse opzioni per l'andamento della rivoluzione bolscevica. Perché scegliere questa fase storica? Per denunciare il successivo andamento del processo di costruzione del socialismo? Noi crediamo di no, e pensiamo che si affannerebbe chi provasse a leggere, tra le righe, un’adesione degli autori ad un tardivo bogdanovismo o una riaffermazione di fedeltà verso i principi del leninismo. Proletkult ci ricorda, semplicemente, ad ogni pagina, che il futuro non è scritto: a testimoniarlo ci sono i vecchi rubli che Denni porta con sé, segno del valore fino a dieci anni prima, diventati all’improvviso carta straccia. Il futuro non è scritto nemmeno negli esperimenti scientifici di Bogdanov, nei maneggiamenti elettrici di Denni, nelle proiezioni di un altrove – il pianeta rosso del socialismo realizzato – che diventa un altroquando.

Proletkult ci parla del presente, ed entra a gamba tesa nella complessa relazione dialettica tra soddisfazione piena del bisogno umano e rispetto della finitezza e della scarsità delle risorse naturali. La questione ambientale entra, nel romanzo, con una forza straniante, dovuta all’effetto spiazzamento di ritrovarcela lì, in pieno sviluppismo di inizio secolo scorso.

Proletkult è un romanzo di conflitti dialettici senza sintesi. Il primo è quello “storico” tra materialismo ed empiriocriticismo: Bogdanov tenta di elaborare una scienza del socialismo, in grado di tenere tutto dentro, prevedere gli effetti di ogni azione, predeterminare bisogni e necessità. Lenin, invece, appare più che mai come lo scienziato dell’occasione, il teorico dell’opportunità di ogni momento, il cultore della potenza della soggettività rivoluzionaria, anche se l’atto risulta imperfetto. L’altro conflitto, tutto letterario, che attraversa il romanzo è tra realismo o fantascienza. Alla storia del socialismo in costruzione si contrappone la ricostruzione immaginifica del socialismo realizzato altrove. Ma realismo e fantascienza sono così opposti o sono, in realtà, due indagini dello stesso oggetto, il reale com’è e il reale come potrebbe essere? Ad ogni modo, in un’epoca di mezze misure, la potenza dello scontro che fa da scenario al romanzo è abbagliante. Proletkult, insomma, è un libro necessario: che siate appassionati di fantascienza, o di storia, o di socialismo, o di trasfusioni, andate in libreria e compratelo!

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