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Gilet gialli, i giacobini del web

di Carlo Formenti

Spulciando le cronache sulla rivolta dei gilet gialli che sta sconvolgendo la Francia mi è capitato di imbattermi in quella che ritengo la definizione più azzeccata del fenomeno: in un articolo sul Corriere del 2 dicembre Massimo Nava li ha battezzati i sanculotti del web.

Perché mi piace questa definizione? Mettendo fra parentesi il riferimento alla mobilitazione online (che è ormai caratteristica scontata di tutte le mobilitazioni), mi piace perché evoca quella che è senza dubbio un’analogia forte fra la rabbia delle plebi parigine di fine del Settecento contro gli aristocratici e quella delle plebi postmoderne contro le élite economiche, politiche e professionali delle società neoliberiste.

Rivolte di cittadini impoveriti allora – quando non esisteva ancora un proletariato industriale in grado di egemonizzare il movimento – rivolte di cittadini impoveriti oggi – dopo che decenni di offensiva padronale hanno disarticolato il proletariato moderno, riducendolo a massa informe di individui senza una comune identità sociale.

Certo parliamo di blocchi sociali assai diversi: ieri una massa di piccoli artigiani, miserabili, servi della gleba, piccolo borghesi insofferenti dei privilegi di clero e nobiltà, oggi un miscuglio di disoccupati e sotto occupati, piccoli risparmiatori rovinati dalla crisi, lavoratori e ceti medi impoveriti.

Ieri ceti urbani progressisti contro province vandeane, oggi ricchi parigini che si possono permettere di rinunciare a certi consumi senza subire riduzioni di status e di reddito in nome di “valori immateriali” come il miglioramento dell’ambiente, contro una provincia che considera come un lusso e un privilegio quelle rinunce, che per loro significano ulteriore impoverimento.

Insomma un giacobinismo “rovesciato” dove termini come progresso e conservazione assumono connotati inediti. Ed è per questo che il populismo, grazie alla sua capacità federare una sommatoria di minoranze perdenti e indifese e di portarle alla soglia del potere, si rivela di gran lunga la forma più efficace di mobilitazione contro il sistema esistente, ed erode sempre di più lo spazio politico delle sinistre, che quella capacità politica hanno perso da tempo, o perché si attardano a rappresentare una realtà sociale che non esiste più, o perché sono passate armi e bagagli dalla parte dei vincitori.

Il filosofo argentino Ernesto Laclau ha descritto assai bene questo meccanismo di aggregazione che, in situazioni di gravi crisi sistemica qual è quella che l’intero mondo capitalistico occidentale sta oggi vivendo, consente di costruire una catena equivalenziale fra domande inevase – anche assai diverse fra loro – che il potere non riesce a soddisfare. Ma ha anche spiegato perché questa aggregazione può diventare un popolo, può cioè passare da jacquerie a rivoluzione cittadina, solo in presenza di forze politiche organizzate – di un partito giacobino appunto – in grado di guidarla.

Le “tecniche” populiste per ottenere tale risultato sono più d’una: populismi  di destra come quelli di Salvini e Marine Le Pen, seguono logiche diverse da quelle dei populismi di sinistra come quelli di Sanders, Corbyn, Podemos e Mélenchon, e anche gli esponenti del regime liberista (vedi Berlusconi, Renzi e Macron) possono provarci. Ma siccome il popolo non è una massa passiva e facilmente manipolabile, capisce presto quando qualcuno cerca di prenderlo per il naso.

La partita che deciderà chi riuscirà a prevalere nella sfida per conquistare l’egemonia politica su questi processi è appena iniziata ed è destinata a durare a lungo. Non c’è alcuna necessità storica (diversamente da quanto pensano certi marxisti) che possa regalare la vittoria ai nuovi Giacobini, oppure ai Girondini, o alla Restaurazione, quel che è certo è che non si torna indietro.

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Eros Barone
Sunday, 09 December 2018 21:59
Vi sono tre possibili approcci interpretativi alla rivolta dei ‘gilets jaunes’. Il primo è quello di stampo demopsicologico e trae origine da Gustave Le Bon e da Karl Kautsky; il secondo è di stampo maoista; il terzo è quello marxista-leninista. Ragionando nei termini del primo approccio, va detto, seguendo Le Bon, che credere che nella folla predominino gli istinti rivoluzionari significa commettere un grave errore psicologico, poiché le esplosioni di rivolta o di distruzione sono sempre molto effimere. Kautsky, dal canto suo, ha individuato le caratteristiche che emergono dalle azioni delle masse non organizzate: la loro valenza solo distruttiva; il modo improvviso e imprevedibile in cui si manifestano; l’instabilità e il rapido alternarsi del sentimento della propria forza con quello della propria impotenza, che porta le masse a disperdersi con la stessa facilità con cui si sono concentrate; l’esito contraddittorio dei risultati di azioni che possono portare alla ribalta sia elementi reazionari che rivoluzionari.
Ragionando nei termini del secondo approccio, va detto che il movimento dei “gilets jaunes”, essendo composto da un ceto medio fortemente proletarizzato, per un verso ha messo a nudo l’estrema debolezza del consenso mediatico alla politica di Macron, l’uomo del capitale finanziario, e, per un altro verso, ha dato prova di notevole creatività adottando come segno di riconoscimento collettivo una dotazione altrettanto collettiva, cioè il ‘gilet jaune’ che devono indossare gli automobilisti nei casi di emergenza stradale. Inoltre, l’origine periferica e rurale del movimento conferma la lezione maoista, secondo cui solo dalle campagne e non dalle città deve partire la lotta contro l’imperialismo e i monopoli (oggi è la campagna francese che assedia la metropoli, ovvero Parigi, che è quanto dire la testa del capitale finanziario e bancario). Il terzo approccio è quello marxista-leninista. Ragionando nei suoi termini, va detto innanzitutto che il malcontento accumulato negli anni contro una politica al servizio esclusivo dei monopoli capitalistici e dei gruppi finanziari, politica che rientra nelle direttrici dell’Unione Europea, si esprime non solo nella rivolta dei ‘gilets jaunes’, ma anche nella mobilitazione degli studenti delle scuole superiori, del personale ospedaliero e medico e della classe operaia. L’imposta sul carburante ha così polarizzato e scatenato tutta la rabbia che non riusciva ad esprimersi. Per milioni di lavoratori è la scintilla che appicca il fuoco. Occorre, però, la massima vigilanza contro i tentativi d’infiltrazione da parte dei gruppi fascisti. Ma la migliore vigilanza sta nella massiccia partecipazione del movimento operaio a questa rivolta. I ‘gilets jaunes’, dal canto loro, devono rendersi conto che il movimento sindacale organizzato su basi di classe è il loro miglior alleato, così come i lavoratori che partecipano alla rivolta dei ‘gilets jaunes’ sanno che devono opporsi a tutti quei sindacati collaborazionisti che sono membri della confederazione europea dei “sindacati”, espressione della politica dell’Unione Europea, la quale sostiene a sua volta il governo di Macron. La politica di cui vi è un assoluto bisogno è quella che dirige i suoi colpi contro le forze che difendono un mondo dove la povertà si sta diffondendo, dove non vi è più spazio per il tempo libero, dove la disoccupazione è una spada di Damocle che incombe su tutti i lavoratori, dove è più difficile farsi curare, dove l’educazione rafforza la selezione di classe, dove i poveri pagano sempre più tasse e dove i capitalisti pagano sempre meno e incassano sempre di più. Insomma, la politica di cui vi è assoluto bisogno è quella comunista: una politica contro il putrido sistema capitalistico dominato dai monopoli e dal parassitismo delle élite finanziarie; una politica per il socialismo/comunismo, in cui tutti i lavoratori dirigono o controllano chi dirige.
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