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operaviva

La temporalità plurale

La storia e le storie nel pensiero marxiano

di Vittorio Morfino

Pubblichiamo un estratto della relazione che verrà presentata al convegno 200 Marx. Il futuro di Karl, al Museo Macro di Roma, dal 13 al 16 dicembre. Qui il sito dell’iniziativa

Per affrontare la questione della storia al singolare o al plurale nel pensiero marxiano, vorrei servirmi di una duplice tradizione: la prima è quella che ho chiamato, con un gesto arbitrario e con un colpo di forza teorico, tradizione marxista della temporalità plurale: Bloch, Gramsci, Althusser e – perché no? – Chakrabarty. In essa la temporalità plurale viene fatta emergere dai testi marxiani, spesso con sviluppi originali rispetto ad analisi di congiunture differenti. Tuttavia per dare consistenza teorica a quelli che sono di fatto abbozzi di una teoria, è stato necessario costruire una sorta di preistoria, quella che potremmo chiamare, mimando un’espessione althusseriana, corrente sotterranea della temporalità plurale: Lucrezio, Machiavelli, Spinoza, Herder, Darwin, Freud. Con tutti i limiti che la metafora della corrente porta con sé, è possibile rintracciare una comune opposizione in questi autori alla temporalità unilineare, sia essa pensata nella forma del circolo o della linea. La metafora del sottosuolo indica invece tanto la posizione subalterna rispetto al pensiero dominante, quanto i fraintendimenti di cui questi pensatori sono stati fatti oggetto dal pensiero dominante stesso, rendendo invisibile questa tradizione sulla superficie. Questo è il circolo, vizioso o virtuoso che sia, che ho messo in campo per leggere a contropelo alcuni testi di Marx.

Ma che cosa significa evocare il concetto di temporalità plurale rispetto al testo marxiano, quale operazione sto effettivamente facendo? Quali caratteri della temporalità marxista intendo discutere o mettere in tensione, mettendo in luce la presenza di una controtendenza sotterranea? Mi sembra che il riferimento a quella che ho chiamato temporalità plurale, la cui presenza nei testi di Marx è tutta da dimostrare, appaia come sintomo dell’insufficienza di un modello lineare e stadiale di sviluppo storico. Il modello lineare a cui mi riferisco è naturalmente quello dominante nella tradizione marxista. In questo senso i testi a cui si potrebbe fare riferimento sono numerosi. Nel Manifesto Marx ed Engels designano un cammino lineare e ascendente della storia che dal feudalesimo conduce al comunismo, cammino i cui stadi o fasi sono scanditi con estrema precisione. Il tempo fondamentale è quello dell’espansione delle forze produttive. Nella Prefazione del ’59 il medesimo modello di contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione sta alla base di una concezione della storia come successione di modi di produzione: asiatico, schiavistico, feudale, capitalistico. Nell’Anti-Dühring questo cammino non abbraccia più solamente un segmento della storia, ma disegna un percorso che va dalla natura alla storia, dalla Wechselwirkung delle forze naturali al comunismo come autotrasparenza infine raggiunta dei rapporti sociali (dalla sostanza al soggetto, nel gergo hegeliano):

[Nel comunismo], in un certo senso, l’uomo si separa definitivamente dal regno degli animali e passa a condizioni di esistenza realmente umane. La cerchia delle condizioni di vita che circondano gli uomini e che sinora li hanno dominati passa ora sotto il dominio [Herrschaft] e il controllo degli uomini; che adesso, per la prima volta, diventano coscienti ed effettivi padroni [Herren] della natura, perché e in quanto diventano padroni della propria organizzazione in società [Vergesellschaftung]. Le leggi della loro attività [Tuns] sociale che sino allora stavano di fronte agli uomini come leggi di natura estranee e che li dominavano, vengono ora applicate dagli uomini con piena cognizione di causa [Sachkenntnis] e quindi dominate. L’organizzazione in società propria degli uomini che sinora stava loro di fronte come una legge elargita dalla natura e dalla storia, diventa ora la propria libera azione. Le forze obiettive ed estranee che sinora hanno dominato la storia passano sotto il controllo degli uomini stessi. Solo da questo momento […] le cause sociali da loro poste in azione, avranno prevalentemente, e in misura sempre crescente, anche gli effetti che essi hanno voluto. È questo il salto dell’umanità dal regno della necessità al regno della libertà1.

Ora, il punto chiave di questo modello di temporalità storica è costituito dal concetto di rivoluzione. Posto che la lotta di classe è il terreno costitutivo della storia, la rivoluzione si dà nel Manifesto sotto forma di «collisione tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione e di scambio che incatenano questo sviluppo»2, nella Prefazione come «contraddizione»3. Così come la società capitalistica nasce nel seno della società feudale, così la società comunista nasce nel seno di quella capitalistica: in questo senso nel capitolo 24 del Capitale Marx dirà che la «violenza è la levatrice della storia», nella misura in cui essa non crea ma aiuta la nascita di una nuova società già presente nel seno della vecchia.

Ora, ciò che vorrei mostrare è che, sulla scorta delle indicazioni offerte da Gramsci, Bloch, Althusser Chakrabarty, è possibile rintracciare nel pensiero di Marx stesso una sorta di controtendenza rispetto a quella lineare, progressiva e stadiale. È possibile rintracciare nel pensiero di Marx, attraverso tutta la sua produzione, l’emergenza del tema della temporalità plurale, dall’Introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto, alle Lotte di classe in Francia e al Diciotto Brumaio, all’Introduzione del 1857, al capitolo 24 del libro primo del Capitale e ai tempi eterogenei dell’accumulazione originaria, all’intreccio di tempi (produzione, circolazione e rotazione) che presiede alla riproduzione nel libro II, infine agli scritti sulla comune rurale russa, ai Quaderni etnologici e gli Estratti da Kowalevskij.

Non è possibile qui prendere in considerazione l’insieme di questi riferimenti sia per ragioni di tempo, sia per lo stato di avanzamento della mia ricerca. Fornirò dunque tre esempi, presi da tre periodi differenti della vita di Marx: «Introduzione» alla Critica del diritto statuale hegeliano del 1843, Il Diciotto Brumaio del 1852 e le lettere sulla comune rurale russa del 1881. Ogni volta sarà interessante analizzare tanto l’emergenza del tema della temporalità plurale, nelle sue forme differenti, quanto i limiti precisi del discorso di Marx.

Note
1.
F. Engels, Anti-Dühring, in Marx Engels Werke, Bd. 20, Dietz, 1986, p. 264, tr. it. a cura di F. Codino, in Marx Engels Opere, vol. 25, Editori Riuniti, 1974, p. 273.
2.
K. Marx, F. Engels, Manifest der Kommunistischen Partei, in Marx Engels Werke, Bd. 4, Berlin, Dietz, 1959, p. 467, tr. it. in Marx Engels Opere, vol. 6, Editori Riuniti, 1973, p. 491.
3.
K. Marx, «Vorwort» a Zur Kritik der politischen Oekonomie, in Marx Engels Werke, Bd. 13, Dietz, 1974, pp. 8-9, tr. it. a cura di N. Merker, in La concezione materialitica della storia, Editori Riuniti, 19982, pp. 130-131.

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