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Francia e Gilets jaunes: un cuneo nel cuore del capitalismo occidentale!

di Carlo Lozito

C'è un filo conduttore tra la marcia degli honduregni, le migrazioni dall' Africa e i Gilets jaunes. Si tratta dei disastri sociali provocati dalle politiche mondiali neoliberiste? Della crisi della sinistra da tempo schierata con gli interessi del capitalismo e ormai incapace di rappresentare il malcontento sociale? Certo ma siamo ancora in superficie, c'è qualcosa di più profondo che produce i movimenti, per ora sparsi nel mondo e scoordinati, che rabbiosamente reclamano una vita dignitosa. È la crisi del capitalismo con i suoi effetti sociali devastanti. Essa spiega anche la convergenza delle politiche della destra, della sinistra e di chiunque governi contro i diseredati, tutte interpreti delle necessità del capitale e ispirate dal sempre più duro scontro imperialistico al costo di devastare la società con colpi durissimi al tenore di vita della popolazione e, non dimentichiamolo, all'ambiente.

Spiega anche la crisi di rappresentanza delle istituzioni e dei partiti tradizionali, l'ascesa del populismo e persino il suo rapido declino quando esso si cimenta in esperienze di governo.

É l'epoca della grande contraddizione, nuova solo per intensità: mentre ricchezza, scienza e tecnologia esprimono la loro potenza e si concentrano nelle mani di pochi, il mondo sprofonda nell'abisso.

Il proletariato è stato ridotto alla precarietà, alla difficoltà di arrivare a fine mese col suo misero salario, privato di ogni sicurezza e assistenza, disperso in mille aziende decentrate mentre la piccola borghesia si è velocemente proletarizzata perdendo ogni certezza e toccando con mano una condizione che diviene insopportabile. Il cosiddetto ceto medio che nelle piazze esprime, anche violentemente, la sua rabbia è indubbiamente una novità. Altrettanto il suo divenire il detonatore di un'esplosione generalizzata che trascina dei settori del proletariato. Sta avvenendo in Francia da metà novembre, nonostante il vasto spiegamento della forza repressiva del governo, in uno dei paesi capitalistici più ricchi del mondo e con il consenso della maggior parte della popolazione. Si tratta di piccola borghesia impoverita, operai, disoccupati, lavoratori precari, pensionati, insegnanti, studenti senza futuro. Protestano in piazza e nelle strade, senza più alcuna illusione di prosperità e senza la consapevolezza di appartenere a un'unica classe sfruttata, il nuovo proletariato, figlio della nuova rivoluzione tecnologica che ha mutato radicalmente la divisione internazionale e l’organizzazione del lavoro.

Si tratta di fenomeni importanti e nuovi. Innanzi tutto l'organizzazione spontanea, dal basso, del movimento e la sua capillare mobilitazione nelle zone rurali che converge nel centro parigino con vaste manifestazioni nei fine settimana. La rete è ancora una volta (fin dalle ormai lontane Primavere arabe), lo strumento tecnologico di comunicazione e collegamento di chi lotta. Significativo che si tratti di una mobilitazione contro chi, non molto tempo fa, lo stesso movimento in buona parte aveva votato: Macron e il governo di centro destra. Ma anche che sia estraneo alla rappresentanza di sinistra e del sindacato, trascinata dalla crisi economica in una mortale caduta di consenso. La crisi del capitalismo accelera ogni processo, compreso quello del rapido deterioramento del consenso di chi governa, di qualsiasi colore esso sia.

Poi è il sussulto del nuovo proletariato che vive nel ricco capitalismo occidentale e che pone in primo piano delle rivendicazioni che urtano immediatamente con gli interessi della borghesia. Non siamo certo all'insurrezione, ci vuol altro, ma rimane il fatto che un vasto movimento, seppure socialmente composito, esprime in forma radicale il suo disagio mettendo in discussione le politiche fin qui adottate per gestire la crisi. È una tappa importante del possibile processo di ripresa della lotta di classe, della lotta del nuovo proletariato diffuso sul territorio che vive sostanzialmente i medesimi problemi in ogni angolo della terra e che viene costretto a reagire dalla crisi strutturale del capitalismo. Naturalmente arretrato politicamente e impregnato di nazionalismo.

Infine una radicalità con pochi precedenti. Già Nuit debout, nella stessa Francia, aveva espresso tale radicalità due anni fa ma il movimento era politicamente diverso: ispirato da élite politiche neoriformiste e radicali che volevano un rinnovamento democratico e partecipativo per una nuova redistribuzione della ricchezza. Oggi invece il movimento grida forte il suo no a ulteriori tassazioni, non ha ispiratori politici precisi ma si rivolge immediatamente, pur con le inevitabili istanze contraddittorie che esprime, contro le politiche di impoverimento sociale e con questo, senza averne la benchè minima consapevolezza, contro il capitalismo. Punti forti sono la richiesta di aumenti salariali, la modifica della fiscalità a sfavore dei grandi patrimoni, la sfiducia nel governo, la ferma volontà di proseguire la lotta nonostante l'appello di Macron a non manifestare dopo l'attentato terroristico di Strasburgo. Oggi, 15 dicembre, nel quinto sabato consecutivo di manifestazioni, in Francia ci sono ancora 250 blocchi stradali, manifestazioni e scontri con la polizia a Parigi.

Il  movimento è politicamente eterogeneo, ancora poco connotato e per questo inevitabilmente aperto alle influenze borghesi (significativo l'attivismo al suo interno dei gruppi della destra radicale e di quelli populisti) ma è anche un crogiuolo di esperienze che potrebbe avviare, in alcune sue parti avanzate, dei processi di crescita della coscienza anticapitalistica nonostante l'attuale arretratezza politica entro cui albergano il nazionalismo e la fierezza dell'essere francesi. Ma potrebbe essere diversamente? Ecco il grande pericolo per il movimento: lo spontaneismo e l'incomprensione delle cause vere della crisi sociale e della loro soluzione, di conseguenza l'assenza di un qualsiasi, anche minoritario, orientamento rivoluzionario.

Intanto, per il fatto di esistere, la lotta segna le coscienze mostrando che è possibile rialzare la testa, far indietreggiare il governo, tornare a essere protagonisti per difendersi. Ciò costituisce un esempio per tutto il proletariato. E' compito delle avanguardie favorire la consapevolezza delle parti più avanzate del movimento riguardo la necessità di andare oltre il capitalismo e costituire un punto di aggregazione per il rilancio del programma comunista. Non sappiamo se questo è presente nel movimento ma siamo convinti che sia il passaggio decisivo, in Francia come nel Centro America e in ogni situazione in cui si esprime la rabbia del nuovo proletariato.

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