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manifesto

In ricordo di Giorgio Lunghini

di Andrea Fumagalli

La scomparsa di Giorgio Lunghini è un segno dell’inaridirsi del presente. Con lui se ne va un protagonista finissimo della critica economica di questo Paese. Nato nella libertaria Ferrara, laureatosi in Bocconi con Di Finizio, Giorgio Lunghini aveva cominciato la sua lunga carriera da docente di economia politica all’Università Statale di Milano negli anni della contestazione studentesca. Ottenuta la cattedra in giovane età, ha poi insegnato alla neo-nata Facoltà di Economia di Pavia per poi approdare allo Iuss pavese e all’Accademia dei Lincei.

Negli anni Settanta, grazie soprattutto al suo ruolo di traino, la facoltà di Economa di Pavia è stata uno dei principali centri del pensiero economico non allineato (insieme a Modena). Ne è testimonianza il convegno Scelte politiche e teorie economiche in Italia (1945-1978), da lui organizzato alla fine del decennio, che ha raccolto il gotha del pensiero economico critico dell’epoca, i cui atti sono stati pubblicati nel 1981 da Einaudi.

Studioso della storia del pensiero economico, Giorgio Lunghini è stato uno dei pochi pensatori (insieme ad Augusto Graziani) che ha saputo coniugare il pensiero di Sraffa con quello di Marx, di Keynes e Schumpeter. Al punto da scrivere importanti saggi su tutti e quattro gli autori, che rappresentano i cardini, pur nella diversità, della critica al pensiero neoclassico dominante del libero mercato.

Economista con una grande cultura filosofica e letteraria (ha scritto saggi anche su Benedetto Croce e Ezra Pound), scrittore finissimo, è stato capace di trasmettere a generazioni di studenti (tra i quali il sottoscritto) un concetto tanto semplice quanto basilare: che l’economia politica è una scienza sociale, storicamente determinata, e mai neutrale. La supposta neutralità dell’economia politica, in particolare delle due variabili economiche che caratterizzano il sistema di produzione capitalistico, moneta e tecnologia, è oggi un dogma che regna sovrano nel panorama accademico italiano (e non solo), strumento dell’attuale governance neoliberista che vuole rendere oggettivamente non discutibile il primato della logica del libero mercato.

La critica alla neutralità dell’economia è stata ribadita da Giorgio Lunghini sia sul piano teorico che metodologico. Riguardo il primo aspetto, Lunghini sostiene, in modo serrato e stringente, l’irrilevanza del concetto di equilibrio, già a partire da un noto articolo pubblicato sui Quaderni Piacentini n. 69 nel 1978 («Su un presunto cambiamento, e una differenza reale, nel concetto di equilibrio»), per poi soffermarsi sull’analisi dell’origine dell’instabilità strutturale del capitalismo (Conflitto, crisi, incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative, Bollati Boringhieri, Torino 2012) e gli effetti sociali della disoccupazione (L’età dello spreco. Disoccupazione e bisogni sociali, Bollati Boringhieri, Torino, 1995).

La critica al metodo è stata viva negli anni della sua gioventù, con interventi rigorosi (uno su tutti: “Calcolo e interpretazione empirica nei modelli economici” in L’industria, 1967, n. 2) che lo hanno portato alla stessa conclusione del Keynes post Treatise on Probability: l’utilizzo della logica formale-matematica non era idonea alla comprensione dei fenomeni economici e il suo abuso in termini di analisi econometrica, poteva essere giustificato solo da esigenze di “controllo delle idee” per ribadire in modo del tutto ingiustificato il potere del sapere dominante. «L’ideologia dominante è sempre stata l’ideologia della classe dominante», scriveva Karl Marx.

La decisione dell’Università Bocconi nel 2010 di chiudere d’imperio il corso progredito Economia Politica – I modelli economici, poi denominato, dal 2007, Teorie Economiche Alternative, che Giorgio Lunghini aveva avviato nel 1975, va esattamente a segnare il ruolo progressivamente assunto dagli imperativi neoliberisti, sin nel cuore degli insegnamenti universitari.

Il corso di Giorgio Lunghini in Bocconi era l’unico in cui si poteva apprendere che non esisteva un unico pensiero ma che la scienza economica era ed è, invece, innervata da una pluralità di impostazioni teoriche e metodologiche. È stato sostituito da un corso di Econometria.

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