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Il volto demoniaco della stupidità al potere

di Marco Dotti

Il segreto di un agitatore politico, scriveva Karl Kraus, è quello di «rendersi stupido come i suoi ascoltatori, così che questi credano di essere intelligenti come lui». È una vecchia lezione. Non di meno, è una lezione inascoltata.

Per quanto contenga un nocciolo di verità universale che la rende applicabile a tutto – dal serpente biblico alla Congiura degli Uguali, dalle sette del nichilismo russo a quelle del nichilismo mediatico odierno e nostrano – richiede pur sempre quel briciolo di fatica che si chiama autocritica.

Così, anche oggi, davanti a un tempo mutato e nuovo molti preferiscono la via breve e facile del sarcasmo (pensiamo al fenomeno dei “meme” o ai profili fake dei politici, che ironizzano, senza mai sovvertirlo, l’ordine del discorso violento). Il sarcasmo è certamente un’arma, ma solitamente esplode tra le mani di chi la usa e quando re e buffone coincidono nella stessa figura, la questione si fa maledettamente pericolosa.

 

Passaggio all’atto

Sul Venerdì di Repubblica del 18 gennaio, l’attenta Gabriella Saba (del suo libro parleremo nella prossim puntata della rubrica) presenta un personaggio che potrebbe offrire infiniti spunti a chi è vena di sarcasmo.

Olavo de Carvalho, però, è un vero agitatore politico. Guai a sottovalutarlo. Anche perché è guru non di un guappo qualsiasi ma del neopresidente brasiliano Bolsonare. Un tipetto – osserva Christian Laval – che ha già iniziato a far danni inenarrabili.

Olavo de Carvalho è un astrologo, un giornalista, un ex islamico sufi e si autoproclama filosofo. Anche se, osserva Gabriella Saba, non ha mai dato esami all’università perché la ritiene un covo di comunisti. Eppure comunista lo è stato, prima di passare dall’altra sponda. Ora è un negazionista a tutto campo, ma insiste in particolare sull’Aids, sull’Inquisizione, sull’evoluzione: pure invenzioni, dice.

C’è qualcosa di terribilmente comico e di comicamente tragico nella figura di Olavo de Carvalho. Eppure è seguito sui suoi profili social da centinaia di migliaia di persone. D’altronde, il titolo di uno dei suoi libri ha il sapore dell’autoprofezia: O imbecil coletivo, l’imbecille collettivo.

Ha anche scritto un libro con Alexander Dugin, il filosofo russo adorato dai leghisti, altra figura che, sottovalutata (non da tutti, in verità, basta ricordare cosa ne scrisse Walter Laqueur), da anni va tessendo la sua rete. Ora i nuovi Rasputin stanno tirando i fili. E i pesci abboccano.

Olavo vive nei boschi della Virginia, ha una moglie ben più giovane di lui e un cane che ha chiamato Big Mac. Ama le armi ed è riuscito a far nominare al Bolsonaro come ministri «due uomini di sua strettissima fiducia, che lo adorano e si proclamano suoi allievi».

 

Il volto demoniaco della contropolitica

Ma a colpire, in queste figure, più che il patchwork di mezze idee o l’incoerenza di fondo (incoerenza rispetto a cosa? A chi?) è la presa immediata e non più indiretta sulla realtà politica. Non sono banali sussurratori o membri, più o meno autorevoli, di un consilium principis. Sognano in grande, sognano rivoluzioni. Sono, appunto, agitatori politici. E grazie ai social network hanno un loro “popolo”. Inoltre, non perseguono il male come mediazione interessata (corruzione, etc.) col bene. Hanno, al contrario, un’idea di totalità, di totale dedizione a una causa. Fanatici che creano fanatici. Non giocano per vincere, ma per annientare il gioco.

Continuare a riderci su, anziché affrontare il problema – ma forse ci troviamo già ben oltre la deadline e non ce ne siamo accordi– ci consegnerà all’insignificanza nei confronti del “male” nel e del nostro tempo. Parola desueta, “male”. Ma non è desueto un volumetto, da poco anche in edizione italiana: Il demoniaco. Contributo a un’interpretazione del senso della storia (traduzione e cura di Luca Crescenzi, Ets). L’ha scritto nel 1926 Paul Tillich (1886-1965), uno dei maggiori teologi e filosofi protestanti del Novecento, e per più un decennio le poche pagine di questo saggio rimasero pressoché sconosciute.

Ma le buone idee, non solo le pessime come abbiamo visto, lavorano “sottotraccia”. Così lo storico Gerhard Ritter si basò su queste pagine per il suo capolavoro: Il volto demoniaco del potere. E Thomas Mann ne trasse le idee chiave del suo Doktor Faustus. Horkheimer e Adorno, da parte loro, lo ripresero nella Dialettica dell’illuminismo.

La via profana all’eliminazione del demoniaco (…) ha fatto svanire quasi completamente il demoniaco medesimo dalla coscienza generale del presente. La forma bidimensionale del pensiero è diventata un’ovvietà. Quando si parla di demoniaco se nel parla nel senso indebolito di forza dominante. (…) La battaglia contro il demoniaco di un’epoca diventa un inderogabile dovere politico-religioso. La politica consegue la profondità di un agire religioso. La religione acquista la concretezza di una lotta contro “spiriti e poteri”

Paul Tillich, Il demoniaco

Il demoniaco, nella lettura di Tillich, è la forma assunta dal potere del male, dalla sua componente distruttiva. Domarla è un esercizio continuo perché è sempre pronta riaffiorare nella storia. «L’opposizione dei due principi attraversa ogni individuo e ogni istituzione».

Gerhard Ritter spiegava che: «il demoniaco non è la pura e semplice negazione del bene, non è la sfera della totale oscurità che si contrappone alla piena luce, ma è quella della mezza luce crepuscolare, dell’ambiguità, dell’incerto, di ciò che vi è di più profondamente sinistro. Demoniaco è l’esser posseduti. E il demoniaco del potere non è altro che l’esser posseduti da quella volontà senza di cui non ha luogo nessuna grande creazione di potenza, ma che nello stesso tempo racchiude in sé forze pericolosamente distruttrici» [Il volto demoniaco del potere, Il mulino, Bologna 1958, p.13].

 

«Non abbandoniamo la politica al male»

E la politica? Possiamo salvarla da una totale compromissione col male o, peggio, dalla sua ingenua inconsapevolezza che il male abita l’uomo, la sua storia, il mondo??

La politica, osserva Thomas Mann in uno dei suoi Moniti all’Europa, testi scritti tra il ’22 e il ‘45, raccolti nel 1947 da Lavinia Mazzucchetti per un volume ora Mondadori, «racchiude in sé molta durezza, necessità, amoralità, molte expediency e concessioni alla materia, molti elementi troppo umani e contaminati di volgarità, tanto che non è forse mai esistito un uomo politico il quale, dopo aver raggiunto grandi fini, non abbia dovuto domandarsi poi se gli restasse il diritto di annoverarsi ancora fra le persone rispettabili».

Il demoniaco non è la pura e semplice negazione del bene, non è la sfera della totale oscurità che si contrappone alla piena luce, ma è quella della mezza luce crepuscolare, dell’ambiguità, dell’incerto, di ciò che vi è di più profondamente sinistro. Demoniaco è l’esser posseduti. E il demoniaco del potere non è altro che l’esser posseduti da quella volontà senza di cui non ha luogo nessuna grande creazione di potenza, ma che nello stesso tempo racchiude in sé forze pericolosamente distruttrici

Gerhard Ritter, Il volto demoniaco del potere

Tuttavia – e questa è la lezione di Mann – «come l’uomo non è parte soltanto del regno della natura, così la politica non rimane circoscritta al male. Essa non potrà mai spogliarsi del tutto della sua componente ideale e spirituale, mai rinnegare totalmente la parte etica e umanamente rispettabile della sua natura, riducendosi alla mera e immortale volgarità, alla menzogna, all’assassinio, all’inganno e alla violenza, senza con ciò degenerare in una realtà di demoniaca corruzione, senza deformarsi a nemica dell’umanità, senza ridurre la sua forza creativa già spesso accomodante ad una sterilità indegna e criminosa».

Una politica di questo tipo, conclude Mann, «non sarebbe più arte, né ironia capace di realizzazione mediatrice e feconda, bensì cieco e disumano disordine, inetto a creare una qualunque realtà, ma tale soltanto da cogliere un passeggero successo che incute paura, mentre già entro breve termine avrà un effetto universalmente deleterio, nichilistico e anche di autodistruzione; giacché ciò che è assolutamente immorale è altresì avverso alla vita».

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